Genova 15 - 2-70
Ottavio carissimo,
l'indifferenza, il qualunquismo e l'ambizione che dominano nell'ambiente alpinistico in genere ma soprattutto in quello genovese, sono tra le squallide cose che mi lasciano scendere senza rimpianto la famosa "lizza" della mia stagione alpina.
Da ormai parecchi anni, mi ritrovo sempre più spesso, a predicare agli amici che mi sono vicino, l'assoluta necessità di trovare un valido interesse nell'esistenza; un interesse che si contrapponga a quello quasi inutile (e non nascondiamocelo, forse anche noi stessi) dell'andar sui sassi, che ci liberi dal vizio di quella droga che da troppi anni ci fa sognare e credere semidei o superuomini chiusi nel nostro solidale egoismo, unici abitanti di un pianeta senza problemi sociali, fatto di lisce e sterili pareti, sulle quali possiamo misurare il nostro orgoglio virile, il nostro coraggio, per poi raggiungere, (meritato premio) un paradiso di vette pulite perfette e scintillanti di netta concezione tolemaica, dove per un attimo o per sempre possiamo dimenticare di essere gli abitanti di un mondo colmo di soprusi e di ingiustizie, di un mondo dove un abitante su tre vive in uno stato di fame cronica, due su tre sono sotto alimentati vedo ove su sessanta milioni di morti all'anno, 40 milioni muoiono di fame!
Per questo penso, anche noi dobbiamo finalmente scendere giù in mezzo agli uomini a lottare con loro, allargando fra tutti gli uomini la nostra solidarietà che porti al raggiungimento di una maggiore giustizia sociale, che lasci una traccia, un segno, tra gli uomini di tutti i giorni e ci aiuti a rendere valida l'esistenza nostra e dei nostri figli.
Ma probabilmente queste prediche le rivolgo soprattutto a me stesso; perché, anche se fin dall'età della ragione l'amore per la giustizia sociale e per i diritti dell'uomo sono stati in me il motivo dominante, sinora ho speso pochissime delle mie forze per attuare qualcosa di buono in questo senso.
Come vedi mi sono accinto all'arduo compito di rispondere alla tua lettera.
Caro Ottavio, tu sei forse l'unico tra i miei amici, che sin dai primi giorni della nostra amicizia ti sei interessato oltre che alle scuole di alpinismo ... anche alle questioni sociali e mi sei sempre servito da stimolo e da esempio.
Qualche volta mi ricordo di una sera al rifugio della Valle Stretta, quando a bruciapelo mi chiedesti: - Tu sei comunista? - ed io prontamente risposi - Si – pensando ... questa volta mi sono giocato un compagno di corda e un amico!
Qualche cosa da allora è cambiato, la paura del rosso, (come dicono gli studenti parigini) oggi è proprio solo rimasta alle bestie cornute!
Risponderò alle tue domande a grandi linee, mi è più facile.
In una società altamente sviluppata come Stati Uniti ed alcune grandi città europee, sono sostanzialmente d'accordo con Marcuse, (del quale ti riassumerò la prefazione di "Saggio sulla liberazione").
Penso che sia giunto il momento di opporre alle società stabilite il "grande rifiuto".
Si deve sottrarre l'uomo all'apparato che soddisfacendone i bisogni ne perpetua la servitù: la libertà diverrebbe l'ambiente naturale di un organismo non più capace di adattarsi alle prestazioni competitive richieste dal benessere, né di tollerare l'aggressività, la bruttezza del modo di vita imposto dalle società capitalistiche.
Al dominio mondiale del capitalismo fondato sulle grandi società per azioni e alla loro capacità di assoggettare la maggioranza della popolazione alla produttività schiacciante comincia ad insinuarsi un'alternativa. Uomini e donne di tutto il mondo resistono e negano il massiccio potere di sfruttamento del capitalismo azionario anche nelle sue più comode e liberali realizzazioni e lottano per l'edificazione di una società libera: tale cioè da comprendere anche la liberazione dalle libertà dell'ordine sociale sfruttatore. Nel proclamare il "grande rifiuto", essi hanno risuscitato uno spettro (e questa volta uno spettro che ossessiona non soltanto la borghesia ma tutte le burocrazie sfruttatrici): lo spettro di una rivoluzione che subordina lo sviluppo delle forze produttive e l'elevazione del tenore di vita alla creazione di una solidarietà tra gli uomini, che porti alla abolizione della povertà e del bisogno, al di là di ogni frontiera nazionale e di sfera di interessi, e al raggiungimento della pace.
Essi sanno che la posta in gioco è la loro vita, la vita di esseri umani che è diventata un balocco nelle mani dei politici, degli alti dirigenti e dei generali. Vogliono toglierla da queste mani e renderla degna di essere vissuta.
L'Italia con i suoi gravi contrasti presenta una situazione politica particolare. Prima che si sviluppi e faccia presa fuori dall'ambiente studentesco il "grande rifiuto" sfociato nel "maggio francese", temo proprio che bisognerà attendere la fine dello stato di necessità. D'altronde la situazione non è tanto grave e disperata come in certi stati dell'America latina e dell'Africa, da prospettare tra le soluzioni possibili, una rivoluzione totale, tanto più con gli americani in casa.
Dunque, l'unica possibilità è quella del riformismo e dell'allargamento della sinistra, allargando l'esercizio del diritto dei lavoratori di partecipare al potere decisionale, e questa penso sia la via italiana del P.C.I.
Le lotte sindacali e di questi ultimi mesi hanno avuto per obiettivo - tra gli altri - la democrazia sui luoghi di lavoro, e il diritto dei lavoratori e di indagare sul processo produttivo e sulle condizioni ambientali in cui esso si svolge.
Negli anni ‘70 la lotta dei lavoratori sarà tesa a portare il potere decisionale dal vertice alla base in tutti i campi della vita pubblica.
Problema fondamentale dello sviluppo democratico nazionale è l'intervento dei lavoratori nella produzione industriale. Nuove conquiste sono necessarie. Partendo dallo statuto dei diritti dei lavoratori, perché gli operai possano pesare nell'organizzazione della produzione e per la affermazione e la difesa dei propri diritti di lavoratori e di cittadini.
L'esperienza ha già proposto l'esigenza di forme diverse e articolate di assemblea intorno a tutti i problemi che interessano i lavoratori. Ci batteremo a fondo perché all'assemblea sia riconosciuto il diritto di intervento sulla organizzazione del lavoro, sulle condizioni di vita nella fabbrica, sulla sicurezza nel lavoro, sulla difesa degli organici, sulla piena occupazione e su tutti gli aspetti che riguardano la produzione e i lavoratori. Siamo stufi di promesse e di paternalismo, finalmente vogliamo decidere anche noi della nostra vita e di quella dei nostri figli.
Per dare una risposta a coloro che consideravano la durezza degli ultimi scioperi durante la lotta contrattuale: come "manovre di interessati"; dimostreremo uniti che gli interessati, ci sono e sono i lavoratori e la loro decisa volontà di ottenere l'inizio immediato di una politica di riforme sociali e di rinnovamento democratico, di una energica lotta contro i parassitismi e gli sprechi, colpendo i consumi di lusso, le posizioni di rendita, gli sprechi enormi legati alla caoticità della macchina statale e sociale, le esorbitanti retribuzioni di gruppi privilegiati e di alti burocrati.
I lavoratori uniti lotteranno per realizzare l'espansione del potere pubblico nei punti chiave dell'industria e della ricerca scientifica. Lotteranno per organizzare il passaggio sotto il controllo pubblico di quelle concentrazioni industriali dalle cui scelte dipende non solo la sorte di centinaia di migliaia di lavoratori ma, più ancora, l'orientamento dell'economia e l'avvenire del paese.
Esso comporta misure diverse, ivi comprese le nazionalizzazioni. Questo processo deve abbracciare innanzitutto i settori di base e quelli legati ai consumi sociali indispensabili (chimica, cemento, farmaceutica, zucchero, ecc.). Ogni nazionalizzazione richiede il controllo da parte della collettività e dei lavoratori. Il settore pubblico già assai esteso, sfugge completamente ad ogni forma di controllo democratico. Senza di ciò il settore pubblico diventa (come i fatti provano) subalterno e sussidiario rispetto alle grandi concentrazioni private e al sistema di scelte per gli investimenti e per i consumi dettate dalla logica del massimo profitto.
Perciò l'obiettivo del controllo democratico è essenza stessa di una politica di programmazione e della lotta per essa.
Tale controllo deve esercitarsi, a partire dal settore pubblico, attraverso il Parlamento e gli Enti locali, deve trovare nelle regioni un nuovo e deciso strumento, deve articolarsi nella fabbrica attraverso la partecipazione diretta dei lavoratori, di tutti i lavoratori e delle loro organizzazioni.
Altro problema che si pone con urgenza è la gestione diretta da parte dei lavoratori e delle loro organizzazioni, degli istituti previdenziali. Mutua, pensione, liquidazione, ecc.
Ma soprattutto prendendo nelle proprie mani il problema della difesa della salute.
Il progresso sociale e scientifico ha mutato profondamente la patologia umana facendo scomparire o quasi le malattie infettive. Ma in pari tempo si è accresciuta quella che viene chiamata "patologia degenerativa". Sotto forma di malattie dell'apparato circolatorio, di tumori maligni, allergie, malattie da usura e da sostanze tossiche. Sono dunque in causa i ritmi stressanti di lavoro e di vita e dall'altra le sostanze chimiche sempre nuove che inquinano l'aria, il terreno, l'acqua e i cibi. Entrambi questi tipi di fattori di malattia colpiscono prevalentemente la classe operaia. Queste nuove malattie, proprio perché a differenza di quelle infettive, non sono determinate da agenti fisici o biologici presenti in natura, bensì da fattori creati artificialmente dall'uomo più che del progresso si potrebbero chiamare "malattie del profitto".
Sono malattie non causate dall'evoluzione tecnica ma dalle sue distorsioni, perciò non mali inevitabili ma frutto del prevalere delle leggi del profitto sulle esigenze dell'uomo.
La durata della vita si è allungata - altro segno, si dirà, della società del benessere - con una media di 65 anni; ma è stato calcolato che i lavoratori addetti a mestieri logoranti vivono di meno: ad esempio il lavoro del minatore accorcia la vita media di 10 anni, un operaio addetto ad una catena di montaggio di una fabbrica metalmeccanica è già vecchio a 40 anni e, in generale, l'invecchiamento è più rapido nei settori dove è più alta la produttività.
Gli infortuni sul lavoro.
Nel 1954 su un totale di 19 milioni 69.000 occupati si ebbe un valore del prodotto industriale interno netto di 10 miliardi e 153 milioni e parallelamente 1 milione 55.828 infortunati sul lavoro e di cui 3.748 mortali.
Nel 1968 con 18 milioni 569.000 occupati si è avuto un prodotto di 42 miliardi 887 milioni e 1 milione 592.830 infortunati sul lavoro, di cui 4.779 mortali.
Ecco in queste cifre la dimostrazione, nei suoi termini più elementari e drammatici, di un sistema e di una classe dirigente che è riuscita ad estorcere in 15 anni, un valore produttivo quattro volte maggiore da un numero di lavoratori inferiore di mezzo milione.
Una tale impresa, anche per l'assenza di adeguati investimenti per l'ammodernamento degli impianti, poteva riuscire ad una sola condizione: accentuando lo sfruttamento, esasperando i ritmi di lavoro. Le conseguenze sono mezzo milione in più di infortuni l'anno ed un aumento di mille morti l'anno per infortuni sul lavoro. A questo punto sarebbe facile fare delle previsioni per gli anni ‘70, facile e terrificante se si ritenesse che la vita degli italiani continuasse a svolgersi secondo gli stessi schemi dettati da un sistema economico e sociale dominati dalla legge del massimo profitto.
Difendere la salute dentro e fuori la fabbrica e assicurare il progresso del sapere scientifico sono aspetti di un unico problema: un problema di democrazia, un problema di passaggio di potere, dal meccanismo del profitto alla volontà cosciente dei lavoratori.
In questa trasformazione occorre dare priorità anche ai grandi consumi collettivi e sociali (scuola, salute, trasporti, organizzazione del territorio), dai quali dipende un elevamento della produttività generale.
Nel programma di riforme, quattro esigenze si presentano particolarmente urgenti:
1) una riforma della scuola che ne spezzi l'attuale struttura autoritaria e classista, si fondi sulla realizzazione del diritto allo studio, sulla autonomia e sull'autogoverno delle università e concepisca l'università come il centro di formazione di una cultura diretta a rinnovare la società;
2) una riforma urbanistica che restituisca il suolo urbano, liberato dal peso della speculazione, alla collettività, dando nuovi poteri agli enti locali per rendere razionale l'uso del territorio, per combattere lo sviluppo caotico e disumano della città e per una moderna politica della casa, che sia concepita come un decisivo servizio sociale a basso prezzo;
3) una riforma agraria che dia la terra a chi la lavora;
4) una riforma sanitaria che garantisca un'assistenza adeguata, efficace e gratuita a tutti i cittadini.
Il servizio nazionale dovrà assumersi i seguenti compiti:
a) cambiare gli ambienti di lavoro di vita: la fabbrica, le città, le campagne, per preservarne la salute;
b) porre freno alla vergognosa speculazione dei monopoli farmaceutici mediante l'intervento diretto dello stato nella produzione dei farmaci;
c) assicurare ai lavoratori in caso di malattia e senza limiti di tempo una indennità pari alla retribuzione.
Infine altro problema urgente è quello di democratizzare l'intero sistema delle informazioni di massa, a cominciare dalla RAI-TV.
Su questa linea di profondo rinnovamento mi sembra che si muovano le proposte dei comunisti. Purtroppo contrastate dalla volontà antidemocratica delle classi dominanti che, nell'attuale momento, ed in legame al dominio delle grandi concentrazioni monopolistiche, si manifesta con la repressione e con il tentativo di svuotare di potere le conquiste sindacali e gli istituti democratici rappresentativi.
Le tendenze attuali, autoritarie e tecnocratiche, investono non solo l'organizzazione politica del potere, ma anche la vita sociale e civile (vedi aumento dei prezzi, tentativo da parte della FIAT di assorbire il centro siderurgico Italsider di Piombino, ecc.) e tutto questo nonostante le affermazioni del ministro del lavoro che diceva:
- L'aumento retributivo tiene conto dell'andamento economico che il nostro sistema ha registrato negli ultimi tre anni ed appare perfettamente sopportabile. Nel 1967 e ‘68 mentre il reddito nazionale è aumentato del 17, 5 %, le retribuzioni sono salite (tenendo conto della svalutazione monetaria) del 7, 1 %. Nel 1970 il costo del lavoro sfiorerà il 13% circa.
Gli aumenti di produttività previsti possono assorbire il 7% del costo del lavoro, mentre parte dell'onere restante può essere assorbito dagli alti profitti realizzati negli anni passati.
Invece la FIAT con l'aumento del 5% sul prodotto e con aumento della produzione ha quasi recuperato l'aumento del costo del lavoro.
Nel quadro di questa battaglia sappiamo che le classi dominanti mantengono un'ostilità di fondo nei confronti del sistema democratico. Il pericolo che esse facciano ricorso alla violenza è sempre aperto. Lo sviluppo dell'organizzazione politica e sindacale e con la partecipazione di larghe masse, servirà ad impedire a queste classi il ricorso ad avventure a colpi di mano reazionari.
E' inoltre indispensabile all'Italia una nuova politica estera che garantisca la pace.
L'Italia deve restare fuori da qualsiasi conflitto convenzionale o nucleare. Ciò è possibile solo con una politica di piena indipendenza nazionale. La politica atlantica ha avuto per l'Italia la conseguenza di una subordinazione sempre più pesante e in tutti i campi alla politica e agli interessi dell'imperialismo americano.
Sono state costruite sul suolo italiano basi straniere atomiche missilistiche. La sicurezza nazionale è in pericolo. Le più gravi decisioni potrebbero essere prese da comandi stranieri all'insaputa delle stesse autorità italiane, con il rischio di fare del nostro territorio l'avamposto dell'imperialismo americano e coinvolgere il nostro paese in disastrose avventure.
L'unica prospettiva reale di pace sta nello svincolamento dell'Italia dal Patto Atlantico e nell'uscita dalla NATO.
In vista della scadenza ventennale del "patto atlantico" occorrono iniziative di lotta che scuotano tutto il paese. Sarà questo un essenziale banco di prova per tutte le forze che intendono richiamarsi ai principi di pace del movimento cattolico democratico.
Con le lotte dell'autunno caldo il movimento operaio italiano ha dimostrato, a chi pensava come ad una ripetizione dell'esperienza del maggio francese, di saper fare di più e meglio.
La classe operaia ha saputo rifiutare il discorso strategicamente infantile e semplicistico del "tutto o nulla", non nel senso che il movimento di classe abbia rifiutato la prospettiva di una lotta rivoluzionaria; ma valutando che, nelle società a capitalismo avanzato, la via della rivoluzione sociale non è solo il frutto di minoranze coscienti e combattive, ma è invece risultato delle conquiste agli ... della classe operaia di ampi strati sociali, di uno sforzo da condurre ogni giorno, nella fabbrica e nella società per limitare il potere dei gruppi monopolistici.
In questo senso è perciò giusto parlare dell'esperienza italiana come di un movimento che ponendo al suo centro il problema di una profonda trasformazione dei rapporti sociali si è sviluppato attraverso la costruzione di un ampio fronte di lotta che saldando tra loro i problemi delle lotte rivendicative e quelli delle riforme, ha posto il problema degli sbocchi politici come frutto di una originale combinazione tra costruzione di un nuovo potere operaio in fabbrica e lotta per importanti riforme sociali.
Io penso che il compito nostro non sia quello di elaborare modelli delle società future, ma sia proprio questo: capire il movimento reale, di classe concretamente presente oggi, che può portare al superamento dell'attuale società.
In quanto "all'uomo nuovo" o a migliorare l'uomo, personalmente ho già una grande fiducia in quello attuale e penso che basterebbe poterlo inserire in una società come questa: - Aperta a tutti i valori e tutte le concretezze umane, alla originalità di tutte le coscienze; una società dalla quale sia bandita la "concorrenza come suprema legge dell'economia" e "il profitto come motore essenziale del progresso economico".
Una società che non si fondi sul dominio del denaro che genera la schiavitù dell'uomo, nella quale il valore di ciascuno non si misuri dal denaro che possiede.
Una società nella quale ogni attività abbia realmente una funzione comunitaria, originale contributo della persona messo a disposizione della crescita degli altri; una società che sia veramente una comunità di lavoratori egualmente responsabili, uomini liberi e uguali, nella comunione con gli altri ai quali devono portare il loro autentico originale contributo; una società nella quale l'autorità, invece di pretendere l'integrazione della vivacità una e spirituale nel suo schema artefatto, sia un servizio alla crescita della libertà per l'arricchimento della comunità; una società guidata da uno stato profondamente laico, nella quale possono incontrarsi, dialogare e vicendevolmente arricchirsi le varie coscienze, le diverse concezioni della vita, senza posizioni di privilegio per chicchessia; una società nella quale lo stato più che difendere i diritti di alcune classi e di alcune religioni, difenda i diritti dell'uomo, di ogni uomo. -
(Don Nicola Calbi)
A questo punto io smetto, prima che tu mi mandi a quel paese, anche se ho dimenticato qualche cosetta.
Ho scritto tutto questo per farti sapere che i problemi li conosciamo e più o meno bene sappiamo come risolverli e a costo appunto di perdersi - nel riformismo o nel sindacalismo - vogliamo che tutti raggiungano la fine dello "stato di necessità", e dopo, per la prima volta in vita nostra, saremo liberi di pensare a ciò che dovremo fare.
Ti mando queste recensioni sulla "Storia" di Spriano (naturalmente tratte dall'Unità!).
Di Russell e di Marcuse avrei molto da leggere ma sempre più me ne manca il tempo.
Qualche sera fa sono stato a proiettare quelle diapositive su Genova in casa Pertusio, erano presenti oltre la famiglia (nonna ottantenne compresa), urbanisti architetti e giù di lì; la parte storica è stata molto apprezzata, quella sociale un po' meno: un tipo è arrivato a dirmi che - le bandiere rosse finali c’entravano come i cavoli a merenda - comunque sono stato invitato ufficiosamente al "centro studi Pirelli" di Milano e a " Italia Nostra" sembra, per dimostrare il carattere estremamente democratico della nostra società, aperta a tutte le opinioni!
Da poco mi hanno eletto con regolari votazioni "delegato di reparto", come previsto dall'ultimo contratto (uno ogni 300 dipendenti). Inizia qui e probabilmente finisce la mia carriera di sindacalista. Avrei voluto rimanerne fuori, ma mi hanno messo alle strette, dicono che parlarne solo non basta! E fin dal primo giorno sono partito all'attacco, tanto per tre o quattro anni non potranno buttarmi fuori.
Siamo stati la prima settimana di febbraio a Canazei. Ho fatto delle discrete fotografie e dei bellissimi giri in sci con alcuni amici dell'Italsider. Sabina ha imparato scendere a spazzaneve, spero proprio nel prossimo anno di poter portarla con me.
Chiarella mi aveva telefonato per il pranzo del CAI di Chiavari, ma per una serie di circostanze non ci sono andato. Vorrei andarlo a trovare, ma penso che forse sarebbe meglio combinare un giro in Apuane secondo le sue possibilità, cosa ne pensi?
Tu cosa fai? Vai spesso a Torino? Hai visto che quelli non scherzano sono tutti i redattori... e sempre molto impegnati!
Il tuo tempo libero come lo impieghi? Ti interessi ancora di statistica e di economia? e di lotte sindacali?
Qui mi saresti di estrema utilità per i consigli legali che potrei scroccarti!
Nell'applicazione spicciola del contratto i cavilli e le contestazioni nascono come funghi.
Ti vedrei molto bene inserito nella realtà di qualche sindacato o partito politico, a promuovere e curare gli interessi di coloro che pur essendone coscienti, non hanno alcun potere sull'impiego della propria esistenza.
Comunque ora ben più importanti eventi ti attendono.
Annabella sta bene? Ricordati che ha bisogno in questo momento di molta protezione e serenità.
Vedi un po’ di perdonarmi!
Vi abbraccio
Guido Rossa
Salutami tua madre
4 marzo 1970
I FUNERALI DI GUIDO ROSSA