il problema attuale non è più la lotta della democrazia contro il fascismo ma quello del fascismo nella democrazia (G. Galletta)

Amicus Plato, sed magis amica veritas



venerdì 18 marzo 2011

Unità d'Italia: Giuliano Galletta racconta Mameli e la costituzione

Non amo, normalmente, fare il copia e incolla di cose scritte da altri, ma, su argomenti molto precisi, come nel caso dell'8 marzo, con l'estratto dall'autobiografia di Camilla Ravera, la ricerca di qualcosa di personale può rasentare la presunzione.
Mentre stavo cercando un po di documentazione per un post sulle celebrazioni dell'Unità d'Italia e sulle cialtronerie dei Ministri leghisti , spergiuri per gli obblighi di fedeltà alla Repubblica, mi sono imbattuto su questo scritto di Giuliano Galletta, lo stesso della citazione che troneggia in questo blog sul fascismo.
Altre considerazioni sono superflue, lascio quindi alla lettura del pezzo.
Loris

la fonte è http://genova.mentelocale.it



Unità d'Italia: Giuliano Galletta racconta Mameli e la costituzione



Quando ero bambino, mio nonno - che era un falegname, suonava la tromba in una banda e aveva fatto la prima guerra mondiale - mi aveva insegnato ad alzarmi in piedi quando sentivo l'inno di Mameli e io lo facevo, attirandomi gli sberleffi degli amichetti, ma quello che diceva il nonno per me era sacro.
Mentre crescevo, l'inno passava sempre più di moda, ma anche nel pieno degli anni Settanta, a me continuava a piacere; certo non era la Marsigliese e nemmeno l'Internazionale, ma non era per niente male. Così, pervicacemente, lo difendevo nei periodici dibattiti che ne proponevano l'abolizione, anche se non avrei mai pensato, nella vita, di dovere prendere la parola, in un'occasione come quella di oggi.
Un fatto comunque indiscutibile è che dietro a quell'inno ci sono stati uomini e donne che avevano delle idee, idee in cui credevano e a cui conformavano con entusiasmo, passione e coraggio la loro vita. Molti di loro erano giovani o giovanissimi, come furono giovani e giovanissimi i partigiani, i lavoratori dello sciopero generale del 1900, i portuali del 30 giugno, gli studenti del '68 e i ragazzi del 2001.
Naturalmente il Risorgimento non è stata una cosa sola, ci sono tanti risorgimenti diversi e a volte opposti tra loro, ma le idee migliori di quella stagione sono sopravvissute, attraversando le immani tragedie del Novecento, per confluire in quello straordinario documento che è la nostra Costituzione. Ce lo ricordava Piero Calamandrei in un celebre discorso tenuto ai giovani milanesi nel 1955. Sono parole che voi tutti ben conoscete, ma che mi sembra giusto ricordare qui oggi.
«In questa Costituzione c'è tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie: son tutti sfociati qui negli articoli. E a sapere intendere dietro questi articoli, si sentono delle voci lontane. Quando leggo: nell'articolo 2: 'L'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, politica, economica e sociale' o nell'articolo 11: 'L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli', questo è Mazzini. Questa è la voce di Mazzini. O quando leggo nell'articolo 8: 'Tutte le confessioni religiose, sono ugualmente libere davanti alla legge' questo è Cavour. O quando io leggo nell'articolo 5 'La Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali' vedo Cattaneo. O quando nell'articolo 52 'L'ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica', l'esercito di popolo, e questo è Garibaldi. O quando leggo all'art. 27 'Non è ammessa la pena di morte' ma questo è Beccaria».
«Grandi voci lontane, grandi nomi lontani - proseguiva Calamandrei - Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione. Dietro ogni articolo di questa Costituzione o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa Carta.
«Questa Carta è un testamento, un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano, per riscattare la libertà e la dignità: andate lì, o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione».

Giuliano Galletta

3 commenti:

Francesco Zaffuto ha detto...

L'ho letto solo oggi che i rumori del 17 sono attutiti, ma con gra piacere.
saluti

Ernest ha detto...

grazie un saluto

paoladany ha detto...

Ciao Loris un saluto Paola

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