il problema attuale non è più la lotta della democrazia contro il fascismo ma quello del fascismo nella democrazia (G. Galletta)

Amicus Plato, sed magis amica veritas



martedì 27 gennaio 2009

Tra sindacato territorio e politica

Giorni fa commentando un post di Gap (la scissione dell’atomo 2) ho virgolettato le ultime righe perchè ho ripreso fedelmente la frase estrapolata dall’autobiografia di un compagno, sconosciuto forse ai più, ma molto ben presente nella storia del movimento operaio genovese, e in quel tessuto sociale dove il movimento operaio ha radici profonde a Genova. Il ponente Genovese.
Franco Sartori ha incarnato questa peculiarità ne ha studiato gli sviluppi, ne ha trovato un linguaggio e ha ridisegnato l’integrazione tra fabbrica e territorio.
La sua mente di intellettuale gli ha consentito di analizzare e di ipotizzare soluzioni innovative sia per quello che concerne lavoro e territorio, sia per le implicazioni in campo politico sul territorio.
Franco ci ha lasciato nel 1996 e circa due anni fa è nata l’associazione culturale Franco Sartori che oltre alle iniziative mirate su problemi specifici all’articolo 2 dello statuto recita ,nello spirito che animava Franco Sartori ,” …Come ulteriore e specifico campo di intervento l’associazione viene fondata per essere elemento unificante per la ricostruzione della sinistra in Italia e per fornire stimoli, idee e proposte utili al raggiungimento di questo scopo…”

Propongo due sintesi della biografia e della autobiografia che stiamo rendendo pubbliche nell’ambito dell’associazione perché nonostante 15 anni siano passati dalle riflessioni di Franco la lucidità del ragionamento e la sua capacità di osservare il contesto rende assolutamente attuali queste riflessioni.

Biografia sintetica di franco Sartori (tracciata sull’autobiografia curata da Francesco Bollorino e da lui inviata il 30 dicembre 1994 a Massimo Razzi, giornalista dell’inserto ligure “Il Lavoro” su “La Repubblica”)
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Franco Sartori è nato a Sestri Ponente nel 1941 all’inizio di via Biancheri, nella stessa casa dove insieme alla madre abitava ancora al momento della sua morte. Facendo parte di una vasta famiglia operaia e comunista, fin da bambino ha frequentato le sezioni locali del PCI e ha preso parte alle loro attività.
Da ragazzo ha cominciato, dopo aver interrotto gli studi, a riparare macchine da caffè per bar sotto il controllo professionale di suo padre il quale, pensando che dovesse migliorare il mestiere, si è avvalso della possibilità di far assumere i figli e lo ha portato a lavorare con sè nell’ASGEN di Campi. Con l’ingresso in fabbrica del 1961, nel reparto di elettromeccanica dove avrebbe dovuto rimanere soltanto fino al perfezionamento della sua manualità, è cominciato invece in modo duraturo il suo impegno politico e sindacale che lo ha portato a lavorare continuamente perchè la comprensione dei cambiamenti economico-sociali in atto fosse strettamente coniugata all’obiettivo di rappresentare efficacemente le classi subalterne e di lottare per un miglioramento della qualità della vita in tutti i suoi aspetti. In quella fase, che è durata fino al 1970 cercando di sviluppare l’alleanza studenti-lavoratori come elemento vitale dell’esperienza sessantottina, egli ha ritenuto dunque inscindibili l’obiettivo di cambiamento politico generale e lo sviluppo della democrazia operaia, saldando le rivendicazioni interne ai luoghi di lavoro con la presenza continua sul territorio.
Con questo tipo di impegno egli ha esordito diventando responsabile del PCI all’ASGEN e contemporaneamente ha sviluppato l’azione sindacale di superamento della Commissione Interna con i Comitati di Reparto, arrivando ad un rapporto di stima reciproca e collaborazione con Bruno Trentin che considererà “padre politico” per il resto della sua vita. L’uscita dalla fabbrica, vissuta da lui come momento di sconfitta, lo ha portato a svolgere l’incarico di funzionario della FIOM a Sestri Ponente nei successivi quattro anni, dopo i quali è stato mandato a svolgere l’attività sindacale a Roma. Anche questo passaggio è stato da lui considerato come una uscita imposta dall’ala sindacale operaista che tendeva a limitare la rivendicazione in fabbrica invece di espanderla all’esterno.
Tuttavia la sua permanenza a Roma ha affinato le sue capacità contrattuali e lo ha fatto diventare un sindacalista di peso, conosciuto e stimato in molte parti d’Italia e il suo ritorno a Genova, da lui fortemente voluto come fine di un “esilio”, è avvenuto nel 1982 con l’ingresso nella segreteria genovese della FIOM ed è proseguito con un trasferimento alla segreteria regionale della CGIL.
Infine, quando i contrasti di linea sono riaffiorati e sembrava necessario un suo ritorno a Roma, è riuscito ad inventare un esperimento di CGIL nel Ponente in linea con la sua vecchia tendenza a creare un rapporto fabbrica-territorio aperto e non corporativo, attento ad ogni problema di quella parte di città.
Questa attività è stata continuata fino alla sua morte, avvenuta nel 1996, che ha lasciato a moltissimi compagni un grandissimo vuoto affettivo e politico.
Per delicatezza e rispetto postumo abbiamo evitato di estrapolare dalla sua sincera autobiografia i passaggi dedicati in modo intimo alla sua vita personale.
Preferiamo, con una nota di ricordo nostalgico, riportare integralmente la parte finale dell’autobiografia stessa perchè nel suo ragionare accessibile spiega, ben meglio di come possiamo farlo noi, una parte essenziale dei motivi che ci hanno spinto a fondare l’Associazione a lui intitolata.




Per una nuova sinistra

parte finale dell’autobiografia di franco Sartori del 1994 curata da Francesco Bollorino -

Noi non siamo stati capaci di raccontare ai giovani il passato e i giovani hanno voltato le spalle alla sinistra. E’ colpa delle organizzazioni di massa, del sindacato, delle famiglie. Per non far soffrire i giovani, li abbiamo lasciati da soli: si sono rivolti alla destra, perchè l’hanno sentita più vicina alle cose che vivono: per loro non ci sono più i giardinetti in cui giocare, c’è la televisione, per loro non c’è più il Bar Beretta in cui discutere, c’è la vasca in via Sestri dove mettersi in mostra. Non si pratica più nè la sezione nè la parrocchia e la parrocchia e la sezione non hanno fatto niente per andare in mezzo a loro, con il loro linguaggio.
L’Italia è un paese fatto soprattutto di vita nelle delegazioni, nei quartieri e nei paesi, è lì che bisogna lavorare, immergendosi di nuovo nel territorio, nel mondo reale, con le sue problematiche reali, parlando con le persone non già politicizzate, andando nelle scuole, dicendo a questi giovani che i problemi non sono risolvibili con Berlusconi: in un paese più ingiusto loro saranno i primi a rimetterci.
Alla gente non sembra importare nulla del passato, Berlusconi piace perchè è un vincente, mentre la sinistra sembra imbalsamata, non sa vendere neppure aria fritta. Il vero problema oggi in Italia sono i giovani, è inconcepibile che si siano schierati con Fini e Berlusconi, è successo, non dovrebbe più succedere: bisogna imparare a parlare loro, smettere di guardarli come se fossero dei fessi perchè si vestono con il Barbour.
Il problema della creazione di un nuovo soggetto politico passa attraverso lo scioglimento del nodo dei cascami che la sinistra si porta dietro: il problema non è Rifondazione sì, Rifondazione no, il problema è chi va, fisicamente, in questo nuovo raggruppamento: se si tratta dei soliti vecchi personaggi che da trent’anni stanno sulla breccia, già consociativi, attenti ognuno al proprio orticello, non si farà nulla di buono, non si creerà un movimento realmente capace di affrontare la nuova realtà del paese. Per seguire queste cose, forse è questa l’attività in cui mi dovrei buttare.
La riorganizzazione del Ponente può essere la via: lì in pillole ci sono tutte le schifezze che puoi mettere in un paese come l’Italia, se riesci lì, piano piano, a far vivere meglio la gente, fai un’operazione sperimentale che vale per l’Italia.

5 commenti:

andreacamporese ha detto...

Avremmo bisogno di compagni come lui, di quelli che credono in questa parola "Compagno", per quello che ha rappresentato nella nostra storia. Ora, purtroppo, i comagni fanno solamente a gara a chi lo sia di più, offendendo in questa maniera la memoria e perdendo di vista quale sia il fine.
Saluti

Andrea De Luca ha detto...

concordo

articolo21 ha detto...

Persona che non conoscevo. Grazie per questo post.

Confinidiversi ha detto...

Perfetto lo scritto, davvero.
E' schifosamente vero che non conti rifondazione sì o no, ma le persone e le loro idee politiche:
Quale sinistra votare se non una che faccia sta' c..o di legge sul conflitto d'interessi?
Quanto ai giovani, almeno c'è qualcuno di informato, attento e, soprattutto con ancora l'esercizio della critica, senza timidezza.
E' necessario ripartire dall'ABC, e parlare un linguaggio diverso ai giovani.

Dario (Italianoallestero.com) ha detto...

Un saluto a te e al tuo amico, alla sua memoria prima di tutto.

Piacere, blogger, italy italia.
Io non uso la parola compagno, mi da addirittura fastidio il suo uso (quando è riferita a me, sia chiaro) ma fortunatamente non mi sono mai avvicinato alla destra volgare, quella di Silvio o altri.
La sinistra (italiana) a mio parere ha sbagliato proprio nel non rinnegare chiaramente gli errori del passato, nel non scardinare i simboli di una sinistra invecchiata e anacronistica.
E' solo la mia opinione, diversa ovviamente.
Confesso una cosa: solo i vecchi idealisti di un tempo sembrano avere a cuore le sorti dell'Italia in questo momento, i veri liberali non sembrano esistere.
Ciao.

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