Era
la notte tra il 24 e il 25 dicembre 1943 quando i fascisti catturarono i
sette fratelli
Cervi e tre giorni dopo, il 28, li portarono al poligono di tiro
di Reggio
Emilia mettendoli al muro. Sono trascorsi settant’anni da
quell’eccidio, uno degli episodi che più è rimasto scolpito nella storia
dell’antifascismo.
Per
ricordare quei fatti il Museo Cervi di Gattatico ha
organizzato due appuntamenti attraverso i quali “studiare come si sono formati e
consolidati memorie e miti attorno a quei fatti”.
Il
21 dicembre, “un paradigma di democrazia”: un dibattito che ha visto prendere la
parola nella sala del consiglio provinciale di Reggio Emilia il
presidente Gianluca
Chierici, il sindaco vicario Ugo
Ferrari, la presidente dell’Istituto Alcide
Cervi Rossella Cantoni e un’altra esponente del museo, Paola
Varesi, oltre il docente bologneseLuciano
Casali. Il secondo appuntamento, invece, è per il 28 dicembre, giorno
in cui Cervi furono uccisi. Si chiamavano Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando,
Agostino, Ovidio ed Ettore ed avevano tra i 42 e i 22 anni. La loro famiglia era
di estrazione contadina e a iniziare dagli insegnamenti di Alcide
e Genoeffa Cocconi, genitori dei fratelli trucidati, in casa si erano
sempre respirate aria antifascista e simpatie democratiche.
Quando
scoppiò la seconda guerra mondiale, casa Cervi non è più solo un luogo di lavoro
disperato e incessante contro la povertà,
ma un centro nevralgico nel quale si cominciava a organizzare un dissenso
concreto contro il regime mussoliniano. E Alcide, insieme a due dei suoi figli,
va oltre creando anche la banda
partigiana che prenderà parte attiva alla Resistenza.