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Quando si è mangiato a sufficienza, ogni altro boccone provoca malessere. Il pianeta è in stato comatoso, non esistono più le condizioni per inseguire il mito della crescita: è urgente ritrovare il senso di sazietà, imparare a fare i conti col senso del limite e nel contempo garantire sicurezze e dignità a tutti. Il nuovo e attualissimo saggio di Francesco Gesualdi è un invito a scrollarsi di dosso il senso di impotenza, a liberarsi dall'idea che non esiste altro sistema economico all'infuori di questo. Un'altra economia è possibile: è l'economia del benvivere, punto di incontro tra sobrietà e solidarietà.
L’economia mondiale ha
deragliato perché da oltre un ventennio è guidata da piloti in
stato di ebbrezza. L’ubriacatura neoliberista: niente Stato, il
mercato totalmente libero di seguire l’istinto predatorio. Alla
fine l’auto ha sbandato, è finita fuori strada ed è rotolata giù
per la scarpata. Ma era prevedibile: quando si guida in maniera
spericolata l’incidente è inevitabile. I giornali hanno imputato
la crisi a scelte bancarie azzardate, ma questa è solo l’ultima
parte della storia. Se vogliamo capire cosa è successo dobbiamo
ripartire dalla globalizzazione. Siamo a fine anni
Ottanta, le multinazionali scalpitano per uscire dai confini
nazionali, rivendicano la possibilità di poter collocare i loro
prodotti da un capo all’altro del mondo senza vincoli di sorta.
Tramano, brigano, sbraitano, e ce la fanno a raggiungere il loro
obiettivo, ma poi scoprono che il grande mercato mondiale non esiste:
solo il 30-35% della popolazione terrestre ha i soldi in tasca per
assorbire i loro prodotti, tutti gli altri sono inutile zavorra.
Finisce che tante imprese cercano di contendersi pochi clienti, si
lanciano in una concorrenza feroce basata anche sulla riduzione dei
prezzi. Alle imprese interessa il profitto, se sono costrette a
ridurre i prezzi si ingegnano per ridurre anche i costi, così il
lavoro finisce sotto attacco. Nei settori ad alta tecnologia la
strategia prescelta è l’automazione, negli altri settori si opta
per il trasferimento della produzione nei Paesi a bassi salari.
Emerge un nuovo mondo contrassegnato da un Sud affollato da
lavoratori in semischiavitù e un Nord con un crescendo di
disoccupati e lavoratori precari malpagati. Il risultato è una
classe lavoratrice mondiale più povera, ma i padroni si fregano le
mani: dal 2001 al 2005 la quota di ricchezza mondiale finita ai
profitti è cresciuta dell’8%. Il che ha due conseguenze. Prima di
tutto l’esplosione della finanza, un effetto dovuto alla sfiducia
dei capitalisti nella capacità di vendita del sistema. Il loro ragionamento è
semplice: quando la massa salariale scende, le prospettive di vendita
si riducono e diventa inutile investire in nuove attività
produttive. Meglio buttarsi nella speculazione, l’arricchimento
tramite l’azzardo, la compravendita di immobili e titoli, non
importa se veri o fasulli. L’importante è stare al tavolo del
gioco, portare a casa soldi ad ogni puntata. Poi si vedrà. La seconda conseguenza è
l’esplosione del debito: quando le buste paga si fanno leggere, il
rischio è che non si chiuda più il cerchio fra ciò che si produce
e ciò che si vende. Per ritrovare stabilità servirebbe una più
equa distribuzione della ricchezza, ma al sistema questa prospettiva
non piace: finché può, rinvia la decisione con rimedi
tampone, cerca la quadratura del cerchio nell’indebitamento. A ogni
angolo di strada banche, istituti finanziari, concessionarie,
supermercati, pronti a offrire a poveri e meno poveri, mutui,
acquisti a rate, prestiti al consumo: il sogno di una vita al di
sopra delle proprie possibilità a portata di mano. Ovunque le
famiglie hanno abboccato. In Italia nel 2008 il
debito totale delle famiglie corrispondeva al 70% delle loro entrate
annuali, qualcosa come 16.000 euro a nucleo. Tuttavia il Paese dove
le famiglie si sono inguaiate di più sono gli Stati Uniti,
l’attrattiva è stata l’acquisto della casa.Nell’euforia degli
affari sono stati offerti mutui anche a famiglie economicamente
deboli, mutui inaffidabili presi a base di complesse attività
speculative che hanno coinvolto banche, assicurazioni, fondi
d’investimento, fondi pensione. Tutto è filato liscio finché i
tassi di interesse sono rimasti bassi, le case hanno continuato a
rivalutarsi, ma quando c’è stata l’inversione di tendenza, molte
famiglie non ce l’hanno più fatta e l’intero castello è
crollato. Sono cominciati i primi
fallimenti bancari, più nessuno si è fidato dell’altro, l’intera
attività creditizia si è paralizzata per mancanza di fiducia
reciproca, banche ed imprese hanno cominciato ad annaspare per
mancanza di fondi. In fondo la finanza è più psicologia che
scienza. Col manifestarsi della
crisi finanziaria, anche il marcio di fondo è venuto a galla: intere
economie si sono inceppate per l’incapacità dei consumi di
assorbire la produzione. A fine 2008 il sistema ha dovuto ammettere
lo stato di crisi ed ha chiesto ai governi, gli unici con
carro-attrezzi adeguati, di intervenire. Con un unico obiettivo:
tirare l’auto fuori dalla scarpata e rimetterla in condizione di
riprendere la sua corsa. Per risollevare banche e imprese sono stati
stanziati miliardi di euro, a forza di strattoni, probabilmente
l’auto verrà tirata su e sarà rimessa in carreggiata. Ma ci sono
forti dubbi che possa riprendere a correre perché nel frattempo
anche la strada si è gravemente danneggiata: a forza di passarci si
sono formate buche ovunque, in molti punti il ciglio è franato, se
l’auto pretende di correre si fracasserà. L’unica possibilità è
rallentare, dotare l’auto di ammortizzatori più solidi, mettere
alla guida un autista più prudente. Fuor di metafora, le risorse si
stanno assottigliando, il clima sta impazzendo, le tensioni sociali
si stanno aggravando. Per evitare il tracollo dovremo passare
dall’economia della crescita, all’economia del limite,
dall’economia del cowboy all’economia dell’austronauta, ma
anche dall’economia della precarietà all’economia della
sicurezza, dall’economia dell’avidità all’economia dei
diritti. Potremmo chiamarla economia del benvivere o economia del
rispetto, un’economia equa, sostenibile e solidale, capace di
garantire a tutti un’esistenza
dignitosa nel rispetto del pianeta. Una strada da imboccare al più
presto perché la doppia crisi, ambientale e sociale, non ci lascia
più tempo.
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