Già durante la preparazione del decennale di Genova 2001-2011 avemmo modo di affrontare i termini della discussione nata dalla realizzazione del film sui fatti della scuola Diaz a Genova nel 2001. Sicuramente oggi possiamo comprendere più a fondo il perchè da parte delle "vittime", e in particolare da parte del "Comitato Verità e Giustizia" alcune cose diventano essenziali per la comprensione della verità giudiziaria, storica e politica di quanto avvenuto.
Ricevo, pertanto e pubblico, l'intervento di oggi sul Manifesto di Vittorio Agnoletto, che alla luce della visione del film ferma alcuni punti, assolutamente indispensabili, alla ricostruzione degli eventi.
Loris
fonte - Vittorio Agnoletto, il manifesto 11 aprile
2012
Un grande battage
pubblicitario annuncia da mesi l’ uscita del film “Diaz. Don’t clean up this
blood”.
Molti critici e
giornalisti hanno convalidato quanto più volte ripetuto sia dal produttore che
dal regista: “I fatti narrati in questo film sono tratti dagli atti processuali
e dalle sentenze della corte di appello di Genova”; come dire: quello che si
vede nel film è la verità oggi accertata.
Non c’è dubbio che le
lunghe sequenze che mostrano le gravissime violenze agite dalla polizia alla
Diaz e le torture praticate a Bolzaneto rendono visibile per la prima volta
quanto è avvenuto nella scuola e nella caserma; su questo ha ragione Angelo
Mastrandrea (il manifesto 7
aprile).
Questo è senza dubbio un
merito che di per sé può motivare la visione del film. Il rischio dell’oblio è
forte e non c’è dubbio che i nostri governanti siano impegnati, da quasi undici
anni, a cancellare dalla memoria collettiva quei fatti.
Chiunque uscirà dalla
proiezione si sentirà fortemente coinvolto e indignato dalla ferocia delle
violenze istituzionali alle quali avrà assistito. E’ l’efficacia del film, un
pugno nello stomaco che non si dimentica. Ma tale riconoscimento non può
esimerci dall’esercitare, anche in questo caso, un’analisi critica, tanto più
rigorosa quanto più il film tende a essere presentato come aderente alla verità
storica e processuale.
Ecco quindi le mie
principali critiche:
- Il film “sorvola sui
nomi di chi allora quell’operazione condusse e giustificò” scrive su il corriere della sera del 13 febbraio
Giuseppina Manin dopo aver visto il film al festival di Berlino. E racconta che
il produttore Domenico Procacci rispose: “In un primo tempo la sceneggiatura
prevedeva l’elenco completo dei ragazzi e dei responsabili del massacro. Poi
però la parte offesa ci ha chiesto di non citare i loro nomi. E a quel punto
abbiamo deciso di togliere anche gli altri.” Il rispetto per le vittime avrebbe
spinto gli autori a non citare i nomi dei carnefici! Non si capisce quale sia la
connessione. Eppure quei nomi sono scritti proprio negli atti giudiziari ai
quali il film fa riferimento: si ritrovano nella lista dei condannati. Sono
personaggi importanti, di potere, condannati in appello per gravi reati e che
oggi ricoprono ruoli di primissimo piano nelle forze dell’ordine. Nemmeno nelle
poche righe che precedono i titoli di coda compaiono i loro nomi e nemmeno si
spiega che costoro sono stati tutti promossi.
Guardando il film mi è
tornato in mente quanto scrive Luis Mario Borri, uno dei sopravvissuti alla
dittatura argentina, quando commenta le ricostruzioni di quella tragedia
storica: “Da tempo alcuni puntano ossessivamente i riflettori sulla verità con
il subdolo proposito di cacciare nella penombra la giustizia”.
Mi domando qual è il
motivo di tanta cautela e mi chiedo se sia in relazione con la scelta
pubblicizzata dal produttore di inviare, ancora prima di cominciare le riprese
del film, una copia della sceneggiatura all’attuale capo della polizia Antonio
Manganelli. Manganelli, all’epoca vicecapo della polizia, è colui che, stando a
quanto affermato dall’ex questore Colucci, in una telefonata intercettata
durante l’inchiesta, avrebbe detto: “Dobbiamo dargli una bella botta a ’sto
magistrato “, riferendosi al pm Zucca. Difficile capire che titolo avesse
Manganelli per leggere in anteprima la sceneggiatura.
- La responsabilità di
quanto è accaduto nella notte della Diaz sembra venir scaricata sul personaggio
giunto da Roma, che poi sarebbe Arnaldo La Barbera, deceduto da tempo per
malattia. E’ esattamente una delle tesi sostenute a suo tempo dagli imputati.
Nulla emerge dal film sulla figura dell’allora capo della polizia, oggi
potentissimo capo dei servizi segreti, Gianni De Gennaro.
Il Pubblico Ministero
del processo Diaz, Enrico Zucca, in un’intervista rilasciata ad Altreconomia
dopo aver assistito al film, ricorda i filmati d’archivio con “la presenza dei
funzionari che comandavano l’operazione, un direttorio spesso riunito sul campo
che decide nelle svolte cruciali. Quel gruppo…. scompare invece dal
film”.
Uno dei dirigenti di
polizia, la controfigura di Michelangelo Fournier, il funzionario che aveva il
comando operativo del suo reparto durante l’assalto alla Diaz, viene persino
dipinto come una persona logorata da dubbi amletici al punto di scusarsi con le
vittime. Resta da capire quali siano in questo caso le fonti documentali.
Non si dice una parola
invece sui due infermieri che per aver denunciato le torture di Bolzaneto hanno
dovuto abbandonare l’amministrazione penitenziaria, sul poliziotto che per aver
collaborato coi giudici si è trovato le quattro ruote dell’auto tagliate, sul
vice capo vicario della polizia Andreassi che, per aver scelto di non
partecipare all’operazione della Diaz, ha avuto la carriera stroncata. Tutti
fatti, questi, ampiamente documentati.
- Non una parola è
detta sul ruolo dei politici coinvolti nei fatti di Genova: nulla su Fini,
niente su Scajola. Un solo passaggio di repertorio, alla fine, su Berlusconi.
Viene taciuta persino la visita che Roberto Castelli, allora ministro della
Giustizia, fece alla caserma di Bolzaneto nella notte tra il 21 e il 22 luglio
2001. La politica sembra non aver avuto alcuna responsabilità.
- Enrico Zucca
nell’intervista citata, dopo aver ricordato la forte rimozione attuata dalla
politica e dalle istituzioni sulle responsabilità, afferma: “Il film cautamente
si adegua e non solo, in alcuni passi ricostruttivi sceglie la versione degli
imputati (n.d.a. i poliziotti)
rispetto a quella contrastante delle vittime. Se vogliamo l’unico
messaggio netto che ha dato è che i black
bloc erano – anche – alla Diaz”.
Non è un fatto di poco
rilievo. La destra ha costruito tutta la sua campagna di criminalizzazione del
movimento sostenendo la contiguità tra Genoa Social Forum e Black Bloc. Su
argomenti di simile importanza non sono ammesse licenze da romanzo, specie se si
afferma di fare un film basandosi sulle inchieste giudiziarie.
- Il racconto è
completamente decontestualizzato; non viene mai spiegato perché 300.000 persone
quel luglio 2001 si siano recate a Genova. Cosa può capirne un giovane che oggi
ha vent’anni? Per non parlare di chi lo vedrà tra qualche anno. C’è stata un
forte repressione, ma perché? Cosa volevano quelle persone massacrate di botte?
Mistero.
Gli autori replicano che
il loro obiettivo non era raccontare la storia del movimento. Ma sarebbe stato
sufficiente inserire qualche spezzone tratto da filmati di
repertorio, ad esempio dall’intervento di Susan George in
apertura del Forum il 16 luglio 2001, per dare un’idea delle nostre ragioni.
Immagini facilmente recuperabili tra la documentazione video alla quale la
produzione del film ha avuto pieno e illimitato accesso. Se non si spiegano le
ragioni del movimento diventa impossibile spiegare le ragioni della repressione.
Infatti.
Inutile anche cercare di
capire che cosa sia stato il Genoa Social Forum. Non se ne parla, anzi sono
inserite alcune scene dove viene rappresentata una riunione del GSF piena di
zombie totalmente inconsapevoli della realtà che li circonda. Eppure è stata una
delle esperienze più interessanti di organizzazione dei movimenti negli ultimi
decenni. La ricostruzione di quella riunione è semplicemente un’invenzione.
Viene da domandarsi: perché, dopo non averne spiegate le ragioni, si ritiene di
dover squalificare il GSF?
In sintesi: lo
spettatore resta sconvolto dalle violenze commesse dalla polizia, ma legittimato
a pensare di trovarsi di fronte ad episodi isolati, appartenenti al passato e
dovuti all’azione di alcune “mele marce.” Non ad azioni progettate e gestite da
chi ancora oggi è ai vertici delle nostre istituzioni di sicurezza; e tutto ciò
sta nella carte processuali, non nella fantasia di qualche estremista.
Certo se racconti le
responsabilità, le documenti e fai nomi, se racconti tutti i tentativi,
illegali, che sono stati fatti per impedire lo svolgimento dei processi, rischi
la censura dei grandi media e un’ostilità politica generalizzata
come avvenuto per il libro “L’eclisse della democrazia. Le verità
nascoste sul G8 2001 a Genova” che ho scritto insieme a Lorenzo
Guadagnucci, una delle vittime della Diaz..
Se invece si sceglie di
non toccare i punti più delicati e impegnativi, allora non si può affermare di
raccontare nel film quanto emerso dalle verità processuali. La verità è tale se,
oltre a non raccontare falsità, la si racconta tutta, senza scegliere quale
parte di verità raccontare e quale tacere. Per questo concordo con Guadagnucci:
un film così si poteva fare nel 2002, non nel 2012, ad inchieste concluse.
Siamo di fronte a un
film commerciale, costruito con astuzia, che riesce ad essere molto attento e
rispettoso delle compatibilità politiche e degli attuali rapporti di forza negli
apparati, senza pestare i piedi a nessuno, e nello stesso tempo capace di
presentarsi come paladino dei diritti e solidale con le vittime.
Queste cose, almeno tra
di noi, dobbiamo dircele
Ti è piaciuto l'articolo? Vota Ok . Grazie Mille! Puoi votare le mie notizie anche in questa pagina.
Nessun commento:
Posta un commento