il problema attuale non è più la lotta della democrazia contro il fascismo ma quello del fascismo nella democrazia (G. Galletta)

Amicus Plato, sed magis amica veritas



lunedì 8 ottobre 2012

Acciaio:lavoro, ambiente, salute.


...parto un po da lontano, ma forse diventa utile per comprendere.
Uno dei primi stabilimenti a ciclo integrato fu quello di Piombino. Era il 1865, le maestranze impiegate erano per il 50% detenuti. Quando passò di proprietà al Credito immobiliare italiano oltre alla quota di detenuti risultavano iscritti tra le maestranze adolescenti tra gli 11 e i 15 anni. La strada di congiunzione tra Portovecchio e Piombino fu costruita solo in un secondo tempo come se l'impianto fosse una cosa a se, slegato dalla città, una cosa sporca, forse per i ritmi di lavoro un inferno!

La lavorazione dei materiali ferrosi e la produzione dell'acciaio è nella sua evidenza un ciclo che impone serie considerazioni sull'impatto ambientale, aver vissuto per tutta la vita nelle vicinanze di un altro stabilimento a ciclo integrato come quello di Genova Cornigliano sicuramente da qualche titolo per testimoniare come vengono condizionate le vite di chi a ridosso di quello stabilimento viveva.
Vedere le persiane fasciate dai sacchetti neri della spazzatura nel tentativo di arginare una coabitazione coatta anche dentro le mure domestiche con le polveri prodotte dalle lavorazioni, da solo una minima idea di quale sia stato l'impatto di questo impianto.

Lo stabilimento di Cornigliano di fatto prese forma nel dopoguerra essendo stato in parte smantellato dai tedeschi durante l'occupazione. Materialmente fu lo “Stato” attraverso l' IRI a finanziare gli impianti che cambiavano i nomi a secondo dell'assetto societario, ma, anche a fronte di una politica nazionale sulla siderurgia si restava nelll'ambito delle “Partecipazioni Statali”, che al suo interno aveva anche società che progettavano e manutenevano gli impianti stessi.

Lo Stato era quindi parte attiva in quelle che erano le decisioni che riguardavano gli standard qualitativi degli impianti che venivano messi in essere, a Genova come a Taranto a Terni come a Bagnoli.

La politica delle dismissioni e gli spacchettamenti delle ex aziende a partecipazione statale tra la fine degli anni 80 e la fine dei 90 ha infine messo nelle mani dei privati quel che rimaneva della siderurgia italiana con annessi impianti, che come dimostra il caso Taranto sono polpette avvelenate che inevitabilmente avrebbero cortocircuitato con la questione ambientale e con il diritto alla salute di ogni cittadino.

Lo Stato quindi sapeva cosa veniva dato in mano ai privati, e i privati sapevano cosa acquistavano dallo Stato. Che nel passato i limiti ambientali fossero di manica più ampia è cosa nota, le conseguenze non hanno invece tempo, e l'immobilismo del “tiriamo a campare” non può più essere tollerato da alcun sia.

Se Genova, grazie ai comitati territoriali e alle “donne di Cornigliano” si è liberato del problema dell'area a caldo, attraverso la protesta e gli accordi tra Riva e le istituzioni, a livello nazionale il problema lo si è decentrato a Taranto ignorando colpevolmente il deterioramento ambientale e le incidenze negative sulla salute dei lavoratori e dei cittadini di Taranto.

Semplicistica sarebbe oggi la semplice chiusura degli impianti che sicuramente interromperebbe le fonti di inquinamento aprendo il problema occupazionale ma sopratutto compenserebbe la proprietà che dopo aver spremuto lavoratori e territorio sarebbe in grado di godersi i proventi ricavati dall'attività non rispondendo del danno sociale causato.


Credo che ci sia il know out per progettare e trasformare quegli impianti in impianti compatibili con la salute e l'ambiente. Credo che prima che il percorso diventi senza ritorno la strada da intraprendere sia quella proprio di attivare queste competenze, ancor prima di decreti che cerchino di salvare improbabili profitti. Forse potrebbe essere un modo anche per rilanciare il lavoro e la produzione dell'acciaio lasciato colpevolmente ai paesi così detti emergenti ma sicuramente più inquinanti e senza diritti.
Chi ha causato questo disastro paghi materialmente sia la bonifica sia la riconversione degli impianti, e le responsabilità penali per il disastro ambientale siano perseguite fino in fondo sia su chi materialmente inquinava sia su chi politicamente avvallava.
Loris


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