il problema attuale non è più la lotta della democrazia contro il fascismo ma quello del fascismo nella democrazia (G. Galletta)

Amicus Plato, sed magis amica veritas



mercoledì 21 agosto 2013

20 agosto 1968 : i comunisti italiani e la fine della primavera di Praga

La notte tra il 20 e il 21 agosto 1968, le truppe del "patto di Varsavia" ad eccezione della Romania, invadevano la Cecolovacchia ed entravano in Praga, mettendo fine a all'esperienza politica della "primavera di Praga" o del "socialismo dal volto umano".
Erano passati 12 anni dall'invasione dell'Ungheria e i Comunisti Italiani per voce di Pietro Ingrao esprimevano alla Camera dei Deputati la loro posizione nella seduta del 29 agosto.
Di seguito l'intervento estratto dall'archivio stenografico della seduta.
Loris

PRESIDENTE. E’ iscritto a parlare l'onorevole Ingrao. Ne ha facoltà.
INGRAO - Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo qui a discutere stasera di un grande dramma che ha colpito un popolo, che ha determinato una lacerazione nel mondo socialista e ha aperto un conflitto tra paesi e forze politiche le quali hanno avuto e hanno un grande ruolo nella lotta mondiale per il progresso e per l'emancipazione dei popoli.
La posizione che portiamo qui oggi è che si debba fare da parte di tutti quanto è necessario perché presto questo conflitto e le sue pesanti conseguenze siano superati e la Cecoslovacchia possa procedere in piena libertà, indipendenza e sovranità sulla via del socialismo, dello sviluppo della democrazia socialista: e ciò nell 'interesse non soltanto della Cecoslovacchia ma dell'Europa e del mondo, della lotta antimperialista, della causa della pace.
A questo obiettivo abbiamo mirato noi comunisti italiani in ognuna delle posizioni e negli atti che abbiamo compiuto in questi giorni, essendo consapevoli che siamo una grande forza politica italiana, la quale ha un posto e una responsabilità di primo piano non solo nel nostro paese, ma nel movimento operaio internazionale e nel movimento comunista che ne è componente decisiva. In questa direzione abbiamo lavorato con tenacia e con chiarezza non solo in questi giorni, ma anche nei mesi passati, nei contatti internazionali, nelle discussioni e nelle stesse polemiche che abbiamo avuto con i partiti fratelli.
Abbiamo scartato la via delle recriminazioni, delle esasperazioni e dei calcoli strumentali e abbiamo scelto la via degli atti politici chiari e al tempo stesso meditati, responsabili, che fossero di aiuto reale - come appunto mi sembro. riconoscesse lo stesso compagno Nenni - al popolo e al partito comunista cecoslovacchi, a una unità effettiva delle forze socialiste, e che spingessero prima ad evitare e poi a superare il conflitto che si era aperto.
Non solo non abbiamo taciuto, ma abbiamo agito e cercato di pesare; e di fronte all'intervento militare dei cinque paesi del patto di Varsavia abbiamo espresso il nostro grave dissenso e la nostra riprovazione, non solo perché dinanzi a quegli eventi ogni forza politica era tenuta a dimostrare chiarezza di giudizio e assunzione di responsabilità, ma perché abbiamo sperato che la nostra voce, unita a quella di altri partiti comunisti, potesse recare un aiuto e impedire il peggio.
Abbiamo considerato e consideriamo che si dovesse ricercare e favorire, in quella situazione, una soluzione politica dei contrasti che consentisse alla Cecoslovacchia di continuare a sviluppare il processo rinnovatore. In questo senso e in questo quadro abbiamo ritenuto positivo che si sia giunti al negoziato e sia stata evitata una esasperazione del conflitto che sarebbe stata tragica.
Comprendiamo le condizioni difficili in cui i dirigenti del partito cecoslovacco, con grande dignità e senso di responsabilità, hanno discusso a Mosca: esprimiamo qui la nostra solidarietà. ad essi e insieme l'augurio, la speranza, l'esigenza che rapidamente l'attuale pesante situazione possa essere totalmente superata e si giunga al ritiro delle truppe dei cinque paesi e la Cecoslovacchia possa continuare il suo lavoro, il suo impegno per il socialismo, per il progresso, per la pace.
Sono esigenze ragionevoli, responsabili, dettate da una profonda fede nell'avvenire del socialismo e dei paesi socialisti, che noi, anche da questa tribuna, chiediamo che siano ascoltate e tenute in conto dai partiti comunisti e dai paesi socialisti, dall'Unione Sovietica in primo luogo, insieme con la quale abbiamo condotto e conduciamo tante lotte difficili ed essenziali.
Questa è la prima esigenza che ci sta di fronte; e ad essa purtroppo, senatore Medici, non ha saputo corrispondere il Governo con le sue dichiarazioni attuali. Dirò dopo dei richiami all'indipendenza che il ministro degli esteri ha fatto qui e del suono che essi assumevano per noi, che ricordiamo altre risposte che ci venivano da quei banchi a proposito di altri paesi, del Vietnam prima di tutto.
Ma parlerò dopo di questo; mentre ora desidero occuparmi dell'atteggiamento assunto in questi giorni dal Governo italiano. Sostengo che il rilancio dell'atlantismo, la palese strumentalizzazione che a questo scopo è stata fatta degli avvenimenti cecoslovacchi e che abbiamo sentito ancora stamane nelle d
ichiarazioni del Governo, e peggio ancora le tirate oratorie, la rozza agitazione antisovietìca che l'onorevole Rumor poco fa ha portato in quest'aula, possono solo rendere più difficile il processo di distensione internazionale. (Proteste al centro).
Onorevole Rumor, ella con le sue parole poco fa ha presentato qui la democrazia cristiana come una forza provinciale tesa ad una piccola speculazione di parte. (Vive proteste al centro). Noi crediamo che questo non giovi al paese e nemmeno al prestigio del suo partito.
(Vive proteste al centro).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, finora la discussione si è svolta con assoluta pacatezza. Invito perciò tutti i colleghi a non turbare questa atmosfera, consona alla gravità dei temi in discussione.
INGRAO. Noi critichiamo queste posizioni prima di tutto per il danno attuale ed immediato che recano ad una situazione quanto mai tesa ed irta di pericoli. E se non si tratta di un consapevole disegno, cogliamo in ciò una leggerezza.
Ma non vogliamo solo parlare qui dell'immediato e delle difficoltà urgenti che ancora ci stanno di fronte e che sono da superare.
Noi siamo ben consapevoli che gli avvenimenti cecoslovacchi chiamano non solo i governi, ma tutte le forze politiche, e prima di tutto le forze operaie, ad una riflessione di fondo, ad una ricerca, ad un impegno nuovo sulle questioni che travagliano oggi le grandi masse umane.
E’stato detto che noi comunisti italiani ci siamo fermati ad un giudizio limitato al fatto singolo, all'intervento militare, e abbiamo eluso le questioni di fondo. Respingo questa accusa. Noi non abbiamo mai isolato, in questi giorni e nelle settimane passate, i fatti cecoslovacchi da un discorso generale sulla situazione internazionale e sui compiti che si pongono alle forze operaie e popolari dell'Europa e del mondo. Ne è consapevole testimonianza il rapporto del compagno Longo al nostro comitato centrale e più precisamente l'affermazione esplicita in esso contenuta, secondo cui l'impegno nostro era determinato dalla coscienza che gli avvenimenti cecoslovacchi coinvolgevano interessi e questioni riguardanti tutto, dico tutto, il movimento operaio internazionale.
Abbiamo collocato subito la nostra posizione in una visione di classe ed internazionaIista, l'abbiamo motivata in nome della nostra concezione dell 'internazionalismo proletario e dell'interesse nazionale, l'abbiamo verificata alla luce della nostra elaborazione teorica, quella a cui da circa cinquant'anni ormai siamo stati impegnati sotto la guida di Gramsci e di Togliatti.Confessate l'imbarazzo, onorevole Rumor, e siate chiari: per anni avete detto che quella nostra elaborazione era solo una frase e adesso vi trovate in difficoltà e imbarazzati di fronte alla prova della coerenza tra la nostra ricerca teorica e le nostre posizioni politiche. Siamo stati la prima forza politica italiana che si è pronunciata con assoluta tempestività, e abbiamo potuto farlo, in condizioni che pure erano difficili, attraverso una semplice consultazione telefonica con il segretario del nostro partito che era nell' Unione Sovietica - perché quella posizione era la conseguenza delle nostre discussioni e delle nostre posizioni di marzo e di luglio, era la conseguenza di una linea meditata e responsabile ed aveva dietro di sé una elaborazione teorica. e politica di lungo impegno. E, del resto, si guardi ai fatti: abbiamo convocato in questi giorni il nostro comitato centrale e lo abbiamo aperto con una relazione che non si è fermata solo all’immediato, ma ha aperto un discorso di fondo e di strategia. E su questo discorso abbiamo condotto in questi giorni una discussione non solo libera, ma che, come già nel 1956, respinge le recriminazioni e gli sfoghi e non si ferma ad un'analisi di errori di singoli e di gruppi, ma cerca di intendere i processi oggettivi, i problemi strutturali che stanno dietro agli errori dei singoli e alle difficoltà in atto.
Che cosa invece ha saputo fare la democrazia cristiana e che cosa ha saputo portarci ella qui, onorevole Rumor, di diverso da una rumorosa agitazione anticomunista? Ella, e così anche il compagno Nenni, ha voluto qui parlare del processo di rinnovamento che è in atto in Cecoslovacchia. Ebbene, nemmeno questo fatto, il quale dimostra che là erano i comunisti che conducevano questo rinnovamento (Proteste al centro), nemmeno questo ha rotto il vecchio modulo che adoperate verso il comunismo e vi ha spinto a cercare di capire il nostro sviluppo, la nostra ricerca, il travaglio ed anche le rotture che si possono determinare nel nostro movimento, in quanto grande forza politica di dimensioni mondiali. Dobbiamo dolerci che anche da parte delle forze socialdemocratiche non sia venuto un contributo adeguato ai temi, che non fosse la ripetizione di posizioni politiche che sono state irrimediabilmente superate dal cammino della storia.
Con quali titoli allora la democrazia cristiana, che dà prova di questa incapacità, afferma che noi non andremmo al fondo' delle cose? Forse perché ci rifiutiamo e ci rifiuteremo di procedere a quella che viene chiamata la condanna del sistema? Ma c'è qualcuno il quale pensi realmente che un partito operaio ed un partito progressista - e non solo il nostro - possa liquidare il grande patrimonio di conquiste politiche e sociali che hanno tratto origine dalla rivoluzione d'ottobre? Ricordiamolo per un momento, al di fuori di ogni polemica, onorevoli colleghi,'questo patrimonio, che non è soltanto nostro, nelle sue componenti fondamentali: la cacciata e l'espropriazione. per la prima volta nella storia, dei capitalisti e degli agrari; l'organizzazione per la prima volta nella storia di un potere politico proletario e la sua difesa dagli attacchi armati; la pianificazione dell'economia; la liquidazione in una serie di paesi della disoccupazione di massa; ...
CARIGLIA. . .. e della libertà. (Proteste all'estrema sinistra).
INGRAO. Tratterò di questi problemi e della nostra riflessione su di essi, onorevole Cariglia. ... l'industrializzazione accelerata e il primo esperimento nella storia di socializzazione dell'agricoltura; la liberazione dall'analfabetismo di milioni di esseri umani; il contributo decisivo dato alla sconfitta del nazismo e al sorgere ed all' affermarsi di grandi movimenti di liberazione. Queste sono conquiste storiche che non riguardano solo noi ma anche voi. compagni socialisti, che hanno influenzato e condizionato tutto il nostro cammino, nostro, non solo di noi comunisti. Qualsiasi forza progressista italiana sarebbe più debole oggi se esse non ci fossero state. Persino il nostro vocabolario, le categorie politiche che adoperiamo, le esperienze su cui ci misuriamo e ci scontriamo non possono prescindere da quelle vicende. Se parliamo di pianificazione e ci combattiamo e discutiamo sulla pianificazione, questo è perché in quei paesi è stato avviato un primo gigantesco esperimento di economia pianificata; se discutiamo oggi in certi termini di rinnovamento della scuola, questo è perché per la prima volta in quei paesi e nell'Unione .Sovietica è stata liquidata una scuola di classe. Quelle conquiste perciò, non possono non dico essere liquidate ma nemmeno contestate; e la consapevolezza dei prezzi, delle durezze, degli errori che esse hanno portato con sé - e che noi non vogliamo nascondere - può essere solo uno stimolo per andare avanti, non certo per tornare indietro.
La vera questione che sta dinanzi a noi perciò è un'altra: è quella di intendere di identificare i limiti che oggi bisogna superare i confini nuovi che devono essere raggiunti..:

ALMlRANTE. Non bastano quelli che avete raggiunto ?
INGRAO.  … e in sostanza i problemi  nuovi che queste stesse conquiste hanno generato; problemi che non possono essere risolti con i vecchi metodi.
Perché questo è il senso di fondo del travaglio che hanno attraversato e attraversano le società socialiste. A mano a mano che in una serie di paesi i grandi obiettivi storici che ho ricordato venivano raggiunti, certo maturavano nuovi bisogni; e maturavano sia per le energie che le conquiste raggiunte mettevano in movimento, sia per il peso delle condizioni difficili, delle lotte aspre, della scarsità dei beni, dell'arretratezza secolare, della dura coercizione in cui quelle conquiste erano state realizzate. Maturavano impetuosamente esigenze di sviluppi nuovi nell'economia e nella sovrastruttura politica: esigenze di una articolazione delle scelte produttive, di un decentramento del piano, di una gerarchia dei consumi che non fosse affidata a una burocrazia centrale né a spinte anarchiche"'o corporative della società; esigenze di approfondire la divisione internazionale socialista del lavoro superando chiusure autarchiche, senza però sacrificare le autonomie nazionali; esigenze di uno sviluppo della cultura e della scienza che desse loro il massimo di libertà creativa, e di un rapporto nuovo, qumdi, tra partito e cultura, tra partito e spinte della società.
Si presentavano dunque, ne siamo consapevoli, dilemmi; si rendevano necessarie esperienze e forme di organizzazione sociale più avanzate ed aperte; e prima di tutto di fronte a ciò si manifestò la crisi e l'insufficienza della ferrea linea staliniana: crisi che si espresse nella spinta del XX congresso. Le forme di dittatura giacobina, di dominio del partito, di ferrea determinazione dal centro e dall'alto che erano state la via mediante la quale le nuove società erano state edificate non erano in grado di dare una risposta a questi nuovi problemi, di garantire il nuovo balzo della società; e anzi, facevano pesare sulla vita politica la rigidità di apparati burocratici, bloccavano la ricerca teorica e politica e portavano a gravi illegalità, a degenerazioni, come disse Togliatti.

Noi salutammo il XX congresso soprattutto perché esprimeva una coscienza di questa situazione e - pur indeterminati limiti - sollecitava una correzione di fondo. E a nostro parere la crisi è esplosa così drammaticamente in Cecoslovacchia perché là più che altrove per anni sotto la direzione del regime di Novotny venne rifiutata una qualsiasi correzione, con testarda ostinazione.
E abbiamo dato il nostro pieno, consapevole appoggio al nuovo corso inaugurato in gennaio dal partito cecoslovacco perché eravamo consapevoli della crisi che era in atto in quel paese, perché sentivamo il distacco che si era creato tra il partito e le masse e perché al di là di questioni singole, anche importanti, il nuovo corso tendeva a dare uno sbocco alla crisi sulla base di tre linee che ci sembravano e che ci sembrano importanti: un ritorno alla democrazia di partito; un impulso alla partecipazione delle masse; un rapporto tra partito e società socialista che rompeva con il paternalismo e con il burocratismo, che ritrovava il contatto con i problemi della società e ricercava la base della sua forza nel consenso delle masse, nella conquista politica dunque di una egemonia.
Abbiamo visto in ciò l'impegno – ecco il punto essenziale per noi - ad una nuova organizzazione e ristrutturazione del potere politico sociale, che ci appare indispensabile per rispondere ai problemi insorti  e per dare nuovi sviluppi oggi alle conquiste delle società socialiste. Certo, nel momento in cui il nuovo gruppo dirigente cecoslovacco doveva affrontare pesanti problemi di riorganizzazione economica e doveva procedere a questa ristrutturazione e riorganizzazione del potere politico socialista, si presentavano pericoli di inserimenti reazionari e di slittamenti riformisti (Commenti al centro e a dèstra) o semplicemente di spinte anarchizzanti. È noto che il dissenso nostro sull'intervento militare dei cinque paesi non nasce dall'ignorare questi pericoli, anche se noi attraverso le cose che conosciamo abbiamo dato sempre una valutazione diversa della loro entità e della loro consistenza. Il dissenso nostro dai compagni dell 'Unione Sovietica e dei quattro paesi del patto di Varsavia nasce dalla profonda convinzione che l'intervento militare non era la via giusta, la via accettabile e nemmeno la via efficace per combattere questi pericoli.
Probabilmente sulle decisioni dei dirigenti sovietici e degli altri paesi intervenuti hanno influito queste componenti: a) il timore che dal processo di democratizzazione avviato in Cecoslovacchia potesse derivare una spinta che essi consideravano disgregatrice, e che facesse sentire la sua influenza anche in altri paesi socialisti; b) una concezione della coesione e della forza del potere socialista in cui il momento della coercizione  statale è dominante; c) una visione del vigore p, della coesione del campo socialista mondiale, in cui la forza economica e militare degli Stati socialisti diviene la misura, il metro prevalente, anche perché è soprattutto ad essa, in sostanza, che viene affidato l'avvenire della rivoluzione e della trasformazione del mondo.
Noi sentiamo, noi abbiamo la convinzione che orientamenti di questo genere non solo non sono in grado di fronteggiare pericoli di involuzione a destra in Cecoslovacchia o altrove, ma rischiano anche di acutizzarli. E lo sentiamo perché l'esigenza di nuovi balzi produttivi, di nuovi traguardi, di una articolazione e di un arricchimento della società socialista non può essere soddisfatta senza che si allarghi la partecipazione delle masse, e prima di tutto della classe operaia, alla gestione del potere economico e politico, e in questo modo si sviluppino le energie rinnovatrici, la coscienza socialista, l'unità politica dal basso e la tensione morale e creativa che sono necessarie per adempiere questi compiti.
Appena riflettiamo sulla situazione cecoslovacca cogliamo che lì non si trattava soltanto di elevare i livelli di reddito e di produttività, ma insieme di saldare il cammino della scienza e della cultura alla trasformazione della società: di elaborare il piano dal basso in modo che le scelte produttive e la gerarchia dei consumi non fossero imposte burocraticamente; di riattivare il dibattito e la tensione politica socialista e lo spirito internazionalista, che facessero comprendere i sacrifici necessari e combattessero le spinte corporative e provincialistiche. Tutto ciò richiede un balzo in avanti nella democrazia, non solo come garanzia delle libertà essenziali, ma anche come potere e partecipazione reale e sempre più ampia della classe operaia e dei lavoratori alle scelte fondamentali, alle questioni stesse che riguardano le strutture.
Qui è la grande questione che reca in sé l'esperimento cecoslovacco e sulla quale non sono leciti equivoci e dobbiamo discutere e confrontare le nostre idee, se vogliamo avere un dibattito reale, se vogliamo realmente misurare almeno quali sono i termini del nostro dissenso e .della nostra ricerca: perché l'interesse del!' esperimento cecoslovacco - non potete negarlo, onorevoli colleghi - non era in uno sbocco di tipo svedese o inglese. Questi modelli li abbiamo già dinnanzi, sono stati già provati, e sappiamo - voi stessi lo sapete - che sono in crisi, prima di tutto per la loro incapacità di dare una risposta proprio a questo tema: la libertà dell'operaio, del produttore (Commenti al centro), la libertà storicamente concreta di pesare sulle scelte che decidono sulla vita reale dell'uomo e sullo sviluppo della società. Questa libertà nuova, questa articolazione e sviluppo della democrazia operaia, di masse lavoratrici, è il grande tema posto dalla vicenda cecoslovacca.
È su questa via che deve compiersi secondo noi una più profonda saldatura tra democrazia e socialismo. Dubcek, il comunista Dubcek, al di là di possibili rischi e di profonde difficoltà della situazione, a questo obiettivo è impegnato. Noi siamo perché questa prospettiva vada avanti, e il compito che indichiamo a noi stessi e alla classe operaia occidentale è di lavorare per questa saldatura nuova, articolata, profonda, tra democrazia e socialismo.
E abbiamo preso posizioni e portiamo avanti . una ricerca teorica che mirano appunto a far maturare questo sbocco.
Qui invece emerge il limite profondo, il segno conservatore delle posizioni che abbiamo visto assumere dai dirigenti della democrazia cristiana. Sì, voi dite « democrazia", onorevole Rumor; ma quando siete stati disposti o vi siete impegnati a promuovere, ad avviare questa libertà nuova dell'operaio, del lavoratore, o almeno a sostenerlo nella lotta, nello scontro quotidiano con il dispotismo padronale? E se siete disposti, come mai vi fate gestori e siete tuttora gestori di una società in cui il dominio del grande capitale e perfino dell'agrario e di ceti speculatori è così duro e pesante, come noi vediamo concretamente nel nostro paese? Questo è il quesito a cui dovete dare una risposta, questo è l'interrogativo, e questa è la questione che noi poniamo anche al compagno Nenni, il quale ha parlato qui di una nuova organizzazione del potere. lo non sto ora a chiedere chiarimenti o illuminazioni che ci permettano di capir meglio la soluzione che egli intende dare a questo problema. Lo voglio ricordare all'onorevole Nenni che egli è stato nel Governo di centro-sinistra, è stato Vicepresidente del Consiglio, e non era cosa da poco, ed egli stesso ci disse che il partito socialista era entrato nella « stanza dei bottoni ». Ebbene, ci sarebbe piaciuto che, al momento stesso in cui poneva quel problema, l'onorevole Nenni avesse ricordato un esempio, una prova, un avvio di tale nuovo modulo di potere! Perché, vede, onorevole Nenni, noi ci ricordiamo quante volte in quest'aula abbiamo dovuto ricordare ai governi le fabbriche italiane in cui non esiste nessuna libertà, nemmeno quella di leggere l'Avanti! (Applausi aii'estrema sinistra - Commenti al centro - Interruzioni del deputato Bignardi).
PRESIDENTE. Onorevole Bignardi, la prego di non interrompere. Ogni oratore ha il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero ed io ho il dovere di tutelare l'esercizio di tale diritto.
INGRAO. Il compagno Nenni ha parlato qui di indivisibilità. della libertà. Vedi, Nenni, purtroppo - e tu stesso lo sai - qui da noi la libertà è divisa e la condizione del padrone è profondamente diversa da quella dell'operaio: e non solo perché uno possiede i mezzi di produzione e l'altro è proletario,ma perché persino nell'esercizio delle libertà elementari c'è discriminazione.
Perciò non possiamo parlare qui, in Italia, di una libertà senza aggettivi, perché è questo regime che dà degli aggettivi alla libertà e divide profondamente uomo da uomo. Almeno la coscienza di questa situazione dobbiamo averla, se vogliamo comprendere i problemi con i quali ci dobbiamo misurare.
La domanda che ho posto è collegata strettamente e profondamente al tema, perché ognuno che cerchi realmente una democrazia nuova sa che essa non può nascere in un giorno, ma va preparata con le lotte di oggi, con le scelte di oggi, che riguardano, ad esempio, l'autonomia, l'unità e la libertà del sindacato, se vogliamo davvero preparare una dialettica nuova, da far vivere nello Stato proletario; che riguardano il decentramento e la formazione dal basso del piano, se vogliamo effettivamente battere le soluzioni burocratiche e tecnocratiche; che riguardano le libertà dei lavoratori nelle fabbriche, se vogliamo davvero preparare forme nuove di partecipazione e di controllo delle masse già nell'intimo della produzione. Noi ricaviamo dalla riflessione sulla vicenda cecoslovacca un impulso a rafforzare tutta questa battaglia per l'autogoverno delle masse e crediamo che anche in questo modo e soprattutto in questo modo sia possibile testimoniare e prendere posizione e ricavare una lezione dalle vicende cecoslovacche.
Perciò con il rapporto di Longo abbiamo subito proposto un rilancio di tutta questa tematica, abbiamo chiamato il partito non solo a pronunciarsi e a intendere la vicenda cecoslovacca ma anche a cercare le conseguenze politiche che dovevamo trame per la nostra strategia e per lo sviluppo della nostra lotta.
La stampa borghese dalla vicenda cecoslovacca e dall'intervento militare dei cinque paesi comunisti vuole ricavare la liquidazione del socialismo; noi, invece, riteniamo che dalla vicenda cecoslovacca emerga la necessità di nuovi sviluppi della società socialista, di una lotta più intensa e più compiuta per il socialismo. Il giornale della democrazia cristiana ricava dai fatti cecoslovacchi ogni giorno una lezione conservatrice: noi, invece, sentiamo ed affermiamo che ne deriva una esigenza di accelerazione della trasformazione della società in cui viviamo, per recare il nostro contributo alla lotta generale per il mutamento del mondo e per la instaurazione di nuovi rapporti di forza nello scontro con l'avversario di classe. E quando - vediamo strumentalizzare le vicende cecoslovacche per il piccolo, mediocre calcolo del rilancio del centro-sinistra, e per ricondurre i socialisti all'ovile, noi diciamo che il centrosinistra non è in grado di risolvere nemmeno uno dei grandi problemi che le vicende di questi mesi hanno riproposto dinanzi a noi. E ciò non può essere nascosto nemmeno da una qualche frettolosa riverniciatura riformista, perché il riformismo è in crisi, e non lo dimostra solo la vicenda. italiana; non è riscaldando la vecchia minestra andata a male che daremo uno sbocco alle domande che sono nell'animo nostro in questi giorni. E andando avanti, non già tornando indietro, che possiamo misurarci con i problemi.
Sappiamo, onorevoli colleghi, che questo cammino verso il futuro non può essere compiuto guardando solo all'Italia, o rinchiudendoci in un orticello nostrano, di fronte alle nuvole che oscurano l'orizzonte internazionale.
Noi abbiamo affermato il diritto del popolo cecoslovacco all'autodecisione, alla piena sovranità ed indipendenza, ed il diritto del partito comunista cecoslovacco alla piena autonomia; e queste, lo abbiamo detto con grande fermezza, sono per noi posizioni di principio irrinunciabili, a cui giungiamo sulla base di una motivazione teorica alla quale Togliatti dette un contributo decisivo, e che del resto, prima ancora che delle posizioni emerse dal XX congresso e del memoriale di Yalta, furono parte essenziale dell'insegnamento leninista. Tali questioni di principio si fondono, sono una cosa sola con la nostra visione internazionalista; non abbiamo parlato della vicenda cecoslovacca come se si trattasse di un affare altrui, ma abbiamo collocato tale vicenda nel vivo dello scontro di classe al livello mondiale, nel quadro generale della lotta che popoli e masse sterminate di lavoratori conducono per la loro emancipazione e per la pace. Ed abbiamo ben chiaro il valore grande che ha, non solo per la Cecoslovacchia, ma per noi tutti, la difesa del potere socialista, della collocazione antimperialista di quel paese. Sappiamo che questo è affare che ci riguarda, che interessa tutti, e a questa causa tutti siamo chiamati a dare un contributo. Ma sentiamo che questa solidarietà internazionalista - che vuol dire connessione tra le nostre lotte e le lotte delle forze operaie e popolari degli altri paesi - può vivere solo sulla base dell'indipendenza di ogni paese, sulla base dell'autonomia di ciascun partito operaio e rivoluzionario. In primo luogo perché il principale protagonista della lotta, il partito rivoluzionario, non può vivere di luce riflessa e di forza esterna; senza autonomia si burocratizza, perde il suo contatto con la società e la realtà. nazionale, diventa incapace di forza egemonica (Commenti al centro); in secondo luogo perché la lotta contro l'imperialismo e contro le centrali del grande capitale monopolistico richiede oggi contenuti e forme nuove di collegamento, richiede un massimo di articolazione e di iniziativa autonoma e di aderenza alla realtà nazionale. E per colpire i modi e gli strumenti, molteplici e articolati, con cui l'imperialismo americano interviene, controlla, condiziona la vita di continenti e di nazioni, dobbiamo oggi riuscire a suscitare una mobilitazione anche di forze sociali e politiche che giungono all'impegno antìmperialista per origini, per strade, per motivazioni diverse l'una dall'altra.
Vogliamo dire che il cammino dell'emancipazione dei popoli, che la loro convergenza nella lotta comporta oggi - lo sentiamo - un'ampiezza di schieramento e una complessità nuove. E perciò il segretario del nostro partito ha affermato: le frontiere del socialismo non coincidono oggi con le frontiere dei paesi socialisti, è il movimento rivoluzionario antimperialista non può essere limitato al ceppo dei partiti comunisti. Questo vuole significare che dinanzi a noi sta oggi un compito più vasto, ma anche una possibilità di lotte più avanzate. E d'altra parte avvertiamo che solo mediante questo schieramento nuovo e più vasto l'imperialismo può essere fronteggiato, colpito, fatto arretrare.
Guardiamo al Vietnam. Sarebbe sciocco e assurdo negare il ruolo che nella difesa del Vietnam hanno avuto il sostegno e i mezzi economici, le armi fornite dall'Unione Sovietica e dagli altri paesi socialisti. Lo abbiamo ricordato altre volte in quest'aula, contro gli oblii e le denigrazioni. E tuttavia sentiamo che il campo impegnato nella lotta per la libertà del Vietnam è andato assai oltre e si è espresso non solo nell'ampiezza che il fronte di liberazione che combatte nel Vietnam del sud ha, ma anche in masse di operai, di contadini, di studenti che hanno combattuto nelle metropoli capitalistiche; e nel sostegno dato dai movimenti di liberazione dell'Asia, dell' Africa, dell'America Latina; nella lotta difficile e coraggiosa che un'avanguardia progressista ha saputo combattere conduce negli stessi Stati Uniti d'America; e nelle riserve e nei dissensi di Stati che pure non sono socialisti.
Questa unità difficile, epperò più incisiva, è andata oltre i blocchi, ha superato le frontiere dei paesi socialisti, è andata oltre il ceppo nostro comunista. Questa unità va arricchita, consolidata, allargata ad altri obiettivi e su contenuti più complessi; non può essere ridotta senza andare incontro ad indebolimenti gravi e a perdite. E perché questo approfondimento e questo sviluppo siano possibili sono necessarie una autonomia, un confronto libero, una ricerca comune, uno scambio di esperienze tra le diverse forze chiamate alla lotta.
Dunque, quando noi parliamo di un nuovo internazionalismo, noi esprimiamo la nostra persuasione che spinte antimperialistiche e rinnovatrici possono maturare anche per la mediazione di forze politiche che non sono comuniste, anche per motivazioni ideologiche che non sono le nostre, come avviene oggi per certi movimenti di liberazione nazionale, come avviene per certe componenti del mondo cattolico e socialista, come avviene per esperienze originali quali quelle del movimento studentesco. Ma senza autonomia e libertà di ricerca questa ricchezza e maturazione di schieramenti nuovi non diviene possibile. Perciò l'autonomia di ciascuna forza rivoluzionaria nel movimento operaio internazionale, il contatto, la ricerca, il dialogo con altre forze progressiste di sinistra non significano per noi isolamento, ma ci impegnano ad un contributo più avanzato e debbono, possono dare più forza ed efficacia alla lotta generale per la pace e contro l'imperialismo.
E quando il compagno Togliatti parlò di unità nella diversità non intese dunque una frantumazione  o un ripiegamento, ma, cogliendo la novità e la gravità della situazione sollecitò un effettivo respiro mondiale all’azione del nostro movimento.
E nel quadro di questa concezione dell'internazionalismo che noi poniamo oggi la nostra proposta di un impegno più forte e conseguente di tutte le forze di sinistra per un superamento dei blocchi militari contrapposti. Questa proposta nostra dice dunque con tutta chiarezza che la strategia della coesistenza pacifica non è e non può essere intesa come conservazione dello statu quo, come congelamento dei rapporti di forza, come pace fondata sull’equilibrio del terrore o, peggio, come spartizione del mondo in sfere di influenza.
Respingiamo le suggestioni che a questo proposito ci sono venute persino dall'onorevole La Malfa e da altri. Un regime di coesisteza pacifica è effettivo solo in quanto garantisce e promuove l'autodecisione dei popoli, il- loro libero cammino verso l'emancipazione, la creazione di nuove strutture e di nuovi rapporti internazionali.
E noi chiediamo il superamento dei blocchi perché vogliamo aprire questa prospettiva di movimento, perché sappiamo che la avanzata del socialismo in Italia non possiamo affidarla ad eventi esterni al nostro paese, ma dobbiamo esserne noi i protagonisti; e perché sappiamo che, quanto prima e più concretamente sarà superata la politica e la logica dei blocchi, tanto più saranno agevoli sviluppi positivi delle società socialiste verso nuovi traguardi.
Questa linea politica, che è coerente alla nostra visione strategica della lotta per la pace e contro l'imperialismo, l'abbiamo convalidata non solo con la  nostra azione degli anni passati, ma con gli atti politici di questi giorni, con le motivazioni di principio e di fondo che di essi abbiamo dato.
Dunque, onorevoli colleghi, non siamo stati fermi. Di fronte alla crisi in atto, ai pericoli, al turbamento, abbiamo indicato una linea, abbiamo sviluppato la nostra piattaforma, abbiamo arricchito la nostra proposta strategica rivolta alle altre forze di sinistra. E purtroppo ci siamo trovati di fronte a questo Governo che non ha saputo uscire dalla vecchia linea.
Onorevole Medici, sfrondiamo il suo discorso dalle parole di circostanza, andiamo al nocciolo. Ella, purtroppo, non ha saputo proporci nuIla - dico nulla - che non fosse la continuazione dell' atIantismo.
MEDICI, Ministro degli affari esteri. Siccome ella vuole uscire dai blocchi, mi vuole insegnare  come si fa ?
INGRAO. Prima di tutto chiedendo al Governo del nostro paese che non faccia una politica di rilancìo dell'atlantismo. (Commenti al centro).
MEDICI, Ministro degli affari esteri. Siccome il Parlamento è fatto per parlare, nella mia qualità di ministro degli esteri chiedo ad un grande partito politico come il vostro che mi dica chiaramente come crede di procedere per uscire dai blocchi mentre la cortina di ferro cala in forma drammatica. (Applausi al centro).
INGRAO. Le rispondo in modo molto preciso, onorevole Medici: rinunciando ai << rilanci>> del blocco atlantico e prendendo delle misure che si muovano nell'opposta direzione.(Commenti al centro).
Per esempio, prendèndo delle iniziative che promuovano la riduzione degli armamenti, che favoriscano la creazione di zone disatomizzate in Europa (Interruzioni al centro - Richiami del Presidente), che liquidino le discriminazioni verso i paesi socialisti, ecc.
Onorevole Medici, ella si è richiamato ai principi ed ha ricordato qui una serie di impegni delle Nazioni Unite e del trattato di non proliferazione che affermano la non ingerenza negli affari interni di un paese. Ma ella ha mai sentito parlare di un luogo che si chiama Vietnam e della guerra che laggiù è in atto ora, oggi, in questi giorni? (Applausi all' estrema sinistra - Commenti al centro).
lo non voglio qui soffermarmi, senatore Medici, a ricordare la « comprensione» che avete dato al massacro dei vietnamiti, anche se è una macchia che non potete lavare dai governi cui avete partecipato. Non voglio soffermarmi a ricordare le giustificazioni dell'intervento americano che ci avete portato in quest'aula più e più volte, e il rifiuto di dissociare da esso le vostre responsabilità, e persino di chiedere la cessazione immediata dei bombardamenti. Lascio da parte il passato.Parlo dell'oggi, e vi domando: quale linea avete sulla questione del Vietnam, che sia coerente con l'affermazione che ella ha fatto, senatore Medici, sull'indipendenza di ogni paese? Avete cambiato linea? E allora, perché non ce lo dite? Avete mantenuto la vecchia linea? E allora, con quale faccia ella ci parla qui del diritto dei popoli all'indipendenza? (Applausi all'estrema sinistra -Commenti al centro).
Onorevole Rumor, anch'ella ha parlato di indipendenza. E’ ella capace, oppure no. di dire che gli Stati Uniti stanno compiendo una aggressione infame nel Vietnam?
MARTELLI. E’: un genocidio criminale!(proteste del deputato Ciccardini).
INGRAO. Ritiene, onorevole Rumor, che a motivare questo giudizio bastino o no i morti, le Vittime, i massacri, di cui abbiamo notizia? L'onorevole Rumor ha sentito le voci di cattolici americani che hanno parlato di delitti infami compiuti in quel continente dall'imperialismo contro forze e paesi che non erano e non sono comunisti? Ascoltando almeno quelle voci, siete capaci di indicare e di denunciare quelle aggressioni americane? (Proteste al centro). E quando anche avrete fatto questo, siete capaci di far seguire a questi giudizi gli atti, la protesta presso gli americani, la richiesta pubblica della cessazione immediata dei bombardamenti o almeno il riconoscimento di quella realtà nuova che è oggi la repubblica democratica del Vietnam o di quella grande realtà, asiatica e mondiale, che è la Cina popolare? Voi non siete capaci nemmeno di compiere questo minimo gesto di indipendenza, di affermare cioè che la Cina esiste, che è uno Stato con cui bisogna avere dei rapporti.
Ecco allora che noi chiediamo coerenza e qualche cosa di più; chiediamo coscienza del fatto che la situazione internazionale sta giungendo a un punto limite e che non si può chiedere, come noi anche abbiamo chiesto - e l'abbiamo detto con grande chiarezza - autodecisione per la Cecoslovacchia, democrazia e libertà, senza assumere una posizione chiara e forte sui delitti dell'imperialismo americano, sulla sua spinta al dominio mondiale, sulla pressione intollerabile che esso esercita su tutta la situazione internazionale.
E questo va chiesto non solo perché non sono possibili confusioni, perché non si può
dimenticare qual è la fonte prima dei. pericoli per la pace, ma anche perché, onorevoli colleghi, noi parliamo in Italia, in un paese dove vi sono basi straniere, presenza militare americana e dove, persino quando abbiamo discusso del settore più delicato delle forze armate, dei servizi segreti, abbiamo dovuto temere e parlare di una penetrazione americana.
Indipendenza è sostanza, autonomia dei popoli, prima di tutto autonomia dall'imperialismo. E noi lo conosciamo, lo vediamo operante qui, Bel nostro paese, l'imperialismo americano! In questa luce è inaccettabile che voi facciate qui la difesa dell'alleanza atlantica e dei suoi vincoli e che il Governo abbia addirittura parlato nei giorni passati di rafforzare l'integrazione militare.Non facciamo solo questione dei vincoli militari connessi alla NATO, ma anche della collocazione, del segno politico di questa alleanza.
Non facciamo gli ipocriti, colleghi della democrazia crist i alla! Lo sappiamo: questa è stata l'alleanza conservatrice con cui sono state fermaLe le spinte popolari nel secondo dopoguerra in tutta una serie di paesi - queste cose una volta le diceva anche Pietro Nenni - e al centro di questa alleanza sta la più grande potenza capitalistica del mondo. il bastione della conservazione mondiale.
Che significa allora che voi, in questo momento, ci veniate a confermare questo rilancio dell'atlantismo ed esaltiate questo blocco? Significa che rimanete legati al passato, che non siete capaci di cercare nuovi orizzonti, pur di fronte ad una crisi che richiede da tutti uno sforzo di ricerca e di pensieri nuovi.(Proteste al centro).
Ecco la divergenza di fondo, sostanziale, che noi non vogliamo nascondere. Voi restate legati al vecchio mondo, alla logica dei blocchi militari; noi guardiamo avanti, ad una società nuova, e dalla crisi... (Vive proteste al centro).
STORTI. Qual è il mondo nuovo? Quello sovietico? (Richiamo del Presidente).
INGRAO. … ricaviamo impulso alla nostra lotta per la trasformazione del mondo. Siamo la forza politica che ha reagito alla crisi, si è mossa, ha compiuto atti di coraggio e di coerenza che non hanno potuto
essere contestati e che ha avviato nelle sue file un dibattito reale, di fondo, su cose che ci sono profondamente care e che impegnano profondamente la storia e la vita del nostro partito.
Non lo diciamo con iattanza. Sappiamo che ciò richiederà a noi, a coloro che operano nei paesi socialisti, a tanti combattenti del nostro stesso campo, tenacia e realismo; tenacia e realismo, perché non si tratta solo di pronunciamenti e di testimonianze, ma di costruire le forze politiche e sociali, gli schieramenti nazionali e mondiali per una fase più avanzata e complessa della lotta per il socialismo.
Il compito non riguarda e non può riguardare soltanto noi; e da ciò il discorso nostro alle altre forze di sinistra, che non è generico appello, ma discorso motivato su precise esigenze, su contenuti qualificati, su scelte di cui abbiamo dato testimonianza e prova in questi giorni e che riguardano tutta una prospettiva strategica, Questa prospettiva., onorevoli colleghi, dobbiamo cominciare a costruirla sin d'ora, con la nostra azione di oggi, se non vogliamo trovarci domani anche noi di fronte a gravi difficoltà.
Il rapporto tra democrazia e socialismo dobbiamo cominciare ad edificarlo ora, nelle fabbriche, nella società, nelle istituzioni. Il nuovo regime di rapporti internazionali possiamo farlo nascere se prima di tutto guardiamo alla nostra terra, alle nostre condizioni, alla nostra politica estera. Parliamo della Cecoslovacchia e al tempo stesso parliamo di noi, di ciò che sapremo fare, di ciò che dovremo fare, non per cercare modelli, ma per imparare dalla stona. E voi sapete quanto profonda è stata la nostra mozione dinnanzi ai fatti cecoslovacchi. Ma la nostra combattività e la nostra fiducia sono intatte, anzi stimolate dalla prova, poiché quando esiste una forza viva, attiva, legata alle masse, che sa guardare alla realtà, anche le prove dure formano e preparano le vittorie di domani.

Con questa fedeltà alla nostra storia, al nostro ideale socialista, con questa collocazione classista ed internazionale, con questo spirito unitario, andremo avanti. (Vivi applausi all'estrema sinistra - Molte congratulazioni).

lunedì 12 agosto 2013

e poi venne il silenzio - Sant'Anna di Stazzema 12 agosto 1944




L'eccidio di S.Anna di Stazzema fu un crimine di guerra commesso dai soldati tedeschi della 16esima SS Panzergrenadier Division "Reichsführer SS", comandata dal generale (Gruppenführer) Max Simon, il 12 agosto 1944 e continuato in altre località fino alla fine del mese. Ai primi di agosto 1944 S.Anna di Stazzema era stata qualificata dal comando tedesco "zona bianca", ossia una località adatta ad accogliere sfollati: per questo la popolazione in quell'estate aveva superato le mille unità. Inoltre sempre in quei giorni i partigiani avevano abbandonato la zona senza aver svolto operazioni militari di particolare entità contro i tedeschi. Nonostante ciò all'alba del 12 agosto 1944 tre reparti di SS salirono a S.Anna, mentre un quarto chiudeva ogni via di fuga a valle sopra il paese di Valdicastello. Alle sette il paese era circondato. Quando le SS giunsero a S.Anna, accompagnati da fascisti collaborazionisti che fecero da guide, gli uomini del paese si rifugiarono nei boschi per non essere deportati, mentre donne, vecchi e bambini, sicuri che nulla sarebbe capitato loro, in quanto civili inermi, restarono nelle loro case. In poco più di tre ore vennero massacrati 560 innocenti, in gran parte bambini, donne e anziani. I nazisti li rastrellarono, li chiusero nelle stalle, o nelle cucine delle case, li uccisero con colpi di mitra e bombe a mano, compiendo atti di efferata barbarie. La vittima più giovane, Anna Pardini, aveva solo 20 giorni. Sebbene fosse viva era gravemente ferita. A trovare la piccola fu una sorella che, miracolosamente superstite, la rinvenne tra le braccia della madre ormai morta. Morì pochi giorni dopo nell'ospedale di Valdicastello. Fu quindi il fuoco a distruggere e cancellare tutto. Non si trattò di rappresaglia. Come è emerso dalle indagini della Procura Militare di La Spezia si trattò di un atto terroristico, di una azione premeditata e curata in ogni minimo dettaglio. L'obiettivo era quello di distruggere il paese e sterminare la popolazione per rompere ogni collegamento fra le popolazioni civili e le formazioni partigiane presenti nella zona.

Questo video comprende il documentario trasmesso dalla RAI, prodotto nel 2009, "E poi venne il silenzio" del regista Irish Braschi.


domenica 11 agosto 2013

Noi siamo i figli di Marcinelle

È di pochi giorni fa il ricordo di Marcinelle in Belgio, dove l’8 agosto 1956 262 minatori, di cui 136 italiani perirono in miniera. Nel 1956 fra i 142.000 minatori impiegati, 63.000 erano stranieri e fra questi 44.000 erano italiani.
Erano gli anni delle valigie di cartone, erano gli anni che il sud Italia era la partenza e il nord un punto d’arrivo. Molti saranno i punti d’arrivo, perché sempre c’era chi stava più a sud degli altri e il lavoro , vero motore di quei flussi migratori, fu per anni il motore principale di quei movimenti di popolazioni, ed inesorabilmente era a nord.
E’ di queste ore la tragedia di Catania dove 6 migranti hanno perso la vita in pochi metri d’acqua cercando di raggiungere la terraferma dopo una settimana per attraversare il mediterraneo in un viaggio dai connotati diversi da quelli dei migranti italiani, ma sempre inesorabilmente da sud verso il nord.
Per molti la priorità che gli fa rischiare la vita in mezzo al mediterraneo, non è solo il miraggio del lavoro, ma il concreto distacco da zone di guerra o di grandi disordini sociali, dove il valore della vita umana è uguale o molto simile allo zero. Territori dove sono multinazionali del nord del mondo a governare le economie e sovvenzionare i signori della guerra locali perché tutelino gli interessi stranieri.
Guerre o disordini indotte il più delle volte per il controllo delle risorse naturali di quei paesi, siano petrolio, gas o diamanti o uranio sono le peggiori pestilenze di questo inizio millennio per quei Paesi.
Per queste ragioni non c’è una indignazione sterile per le vittime di Catania e di tutte le altre che quotidianamente anonimamente scompaiono più o meno vicino alle nostre coste, ma c’è una condivisione umana e politica per una emancipazione contro quelle che sono diventate le “regole del mercato”.
Tolleranza zero, quindi, per beceri nazionalismi e per ogni forma di xenofobia.

Loris






OTTOBRE 1912: relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione al Congresso Americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti.

Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura.
Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane.
Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri.
Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti.
Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci.
Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti.
Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti.
Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro.
Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti.
Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro.
I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali…
…….Si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare.
Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano purché le famiglie rimangano unite e non contestano il salario.
Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell’Italia.
Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più.
La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione.


venerdì 9 agosto 2013

Hiroshima e dintorni

Mi è giunta da Alberto Gabrielli questa utile riflessione. Credo che il fare politica non può fermarsi al lato emozionale, ma cogliere l'insieme e relazionare tra loro gli avvenimenti, gli episodi e le reazioni alle azioni. Alberto in questa paginetta riesce a fare tutto questo restituendoci all'attualità dei nostri giorni.
Loris




Hiroshima
… e domani- 9 agosto - Nagasaki……per finire bene il lavoro….
(a proposito di americani cattivi che finiscono per farci “difendere” altri criminali….)



E’difficile riassumere la guerra 1914-1918, la Rivoluzione Russa, Versailles, la Repubblica di Weimar, la elezione di Hitler, e quindi non ci provo neppure. Ricordo solo che il Capitalismo, come sistema economico, non ha mai potuto tollerare scelte politiche che mettessero in discussione il suo potere assoluto, in questo non amando neppure scelte nazionaliste troppo di destra per due motivi: uno di principio: il nazionalismo, nel bene e nel male, pone una collettività (statuale, nazionale, razziale,…) al centro dei suoi interessi e può, in taluni rarissimi casi, essere persino di ostacolo alla totale libertà del mercato; uno di immagine: non è bello pubblicizzare uno spazzolino da denti dentro una baracca di Auschwitz o essere ufficialmente alleati di criminali riconosciuti tali da tutto il mondo, perché si rischia di non vendere più bene la propria mercanzia. E’ meglio quindi sbarazzarsene di certi regimi. Anche perché (terza ottima buona ragione per il Capitalismo) si acquisiscono dei diritti economici di basilare importanza.
Tutti ricordano il Piano Marshall la cui cioccolata e le cui sigarette hanno comprato la benevolenza di Italiani e Tedeschi massacrati dai bombardamenti statunitensi, e che De Gasperi si prodigava a encomiare garantendo il soddisfacimento delle esigenze del capitale nei Paesi sconfitti.
Pochi ricordano, invece, il Piano Dawes (1924) che permise alla Germania di riprendere il pagamento delle riparazioni di guerra stabilito a Versailles (1919) e che, come era ovvio, la Repubblica di Weimar (prima Repubblica Tedesca di stampo democratico) non era in grado di mantenere.
Il Piano Dawes rallentò con la crisi del 1929 che arrestò i prestiti USA alla Germania, mise completamente in ginocchio la repubblica di Weimar (inflazione, disordini gestiti dalla solita classe media, ….), preparando in tal modo il terreno per l'ascesa di Hitler al potere.
Ma intanto il Piano Dawes aveva fatto si che i tedeschi emettessero un prestito obbligazionario di 200 milioni di dollari, su New York, garantiti dalle azioni della società ferroviaria tedesca e da un'ipoteca sugli introiti fiscali (simile all’ ”ipoteca” che la troika attuale sta imponendo ai popoli europei con il fiscal compact), e che immensi capitali statunitensi affluissero in Germania.
Il Piano Dawes (1924), (come il Piano Marshall del 1947) garantì agli Stati Uniti d’ America di

- esportare in Europa merci e capitali in sovrapproduzione
- legare i mercati europei e soprattutto tedeschi agli USA arginando possibili rivoluzioni “comuniste”
- rilanciare l'economia europea al fine di farsi pagare i debiti di guerra.

   E allora:

- Che gli USA siano stati particolarmente cattivi il 6 ed il 9 agosto del 1945… …è vero.
- Che nel ’45 ci abbiano dato una bella mano a farci liberare di Benito e di Adolf…. … è vero.
- Che in tutto ciò siano costantemente mossi dall’ esigenza imperiale insita, ontologicamente, nell’ economia capitalistica… è altrettanto vero, ma facciamo spesso finta di non accorgercene; e di fronte alla esigenza - tutta capitalistica - di sperimentare dal vivo (sulla carne viva) non solo gli effetti di una bomba con 60 kg di uranio arricchito (Hiroshima), ma anche di quella - assai più economica, con solo 6 kg di plutonio ma di doppia potenza (Nagasaki) - , rischiamo di finire per essere mossi a compassione per chi quella esigenza aveva già fatto sua, si trattasse di Hitler, di Hirohito o, più cialtronamente ma non meno pericolosamente, di Mussolini.

Certo, l’ avere usato il nucleare rappresenta un salto di qualità che assicura al Capitale il diritto alla prepotenza; ma per cancellare questo diritto non si tratta di giocare alle guerre fredde, fare quelle calde, inseguire progetti di competizione militare e nucleare fra stati e nazioni, ma, più semplicemente, anche se non in modo indolore, insabbiare gli ingranaggi del Capitalismo. Come ?, ma con la lotta di classe, ovviamente, la sola che può metterlo davvero in crisi perché incide sul profitto, cuore materiale ed anima metafisica dell’ Economia di Mercato
.
Alberto

venerdì 2 agosto 2013

Genova: si torna alla politica


Si è conclusa una delle settimane più critiche del Consiglio Comunale a guida Marco Doria.
Approvato nella notte il bilancio , si trasforma in realtà il contributo del comune nei confronti di AMT, scongiurando quindi l’unica alternativa che c’era, ossia il portare i libri contabili in tribunale sancendo di fatto il fallimento dell’azienda.
Altra realtà, l’utilizzo dei finanziamenti per lo scolmatore del Fereggiano , che sarebbero tornati indietro nell’ipotesi di esercizio provvisorio da parte del Comune di Genova.
Se è bene ciò che finisce bene, è giusto però comprendere perché in questa settimana la maggioranza è stata vicina al baratro.
In concomitanza al bilancio la giunta aveva presentato una deliberà che affrontava il tema delle “società partecipate”. Questa delibera, che ipotizzava possibili e parziali privatizzazioni aveva il difetto di non essere stata condivisa preventivamente ne con i lavoratori coinvolti e le loro rappresentanze sindacali ne con tutte le componenti della maggioranza di Tursi. Se del merito si può ragionare, sicuramente nel metodo il percorso è quello che ha portato alle giustificate proteste dei lavoratori di AMIU e di ASTER e alle drammatizzazioni con il blocco dell’accesso a palazzo Tursi con i carabinieri in tenuta anti-sommossa.
Dopo un primo accordo che salvaguardava l’approvazione del bilancio e successivamente la discussione sulla delibera sulle partecipate, questa mattina la svolta finale grazie alla volontà di quei consiglieri di maggioranza che si sono adoperati a rimodulare il testo della delibera e soprattutto sono arrivati alla condivisione con tutto il Consiglio Comunale per un rinvio al 10 settembre per la discussione, facendo precedere quella seduta del Consiglio Comunale una ampia condivisione con tutti i soggetti interessati.
Come ha ribadito anche nel suo intervento il Consigliere della lista Doria Padovani, "la partecipazione è stato un cavallo di battaglia durante la campagna elettorale" e la partecipazione necessita dei suoi tempi perché non si risolva a puro slogan.
Loris



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