La notte tra il 20 e il 21 agosto 1968, le truppe del "patto di Varsavia" ad eccezione della Romania, invadevano la Cecolovacchia ed entravano in Praga, mettendo fine a all'esperienza politica della "primavera di Praga" o del "socialismo dal volto umano".
Erano passati 12 anni dall'invasione dell'Ungheria e i Comunisti Italiani per voce di Pietro Ingrao esprimevano alla Camera dei Deputati la loro posizione nella seduta del 29 agosto.
Di seguito l'intervento estratto dall'archivio stenografico della seduta.
Loris
Erano passati 12 anni dall'invasione dell'Ungheria e i Comunisti Italiani per voce di Pietro Ingrao esprimevano alla Camera dei Deputati la loro posizione nella seduta del 29 agosto.
Di seguito l'intervento estratto dall'archivio stenografico della seduta.
Loris
PRESIDENTE.
E’
iscritto a parlare l'onorevole Ingrao. Ne ha facoltà.
INGRAO
- Signor
Presidente, onorevoli colleghi, siamo qui a discutere stasera di un
grande dramma che ha colpito un popolo, che ha determinato una
lacerazione nel mondo socialista e ha aperto un conflitto tra paesi e
forze politiche le quali hanno avuto e hanno un grande ruolo nella
lotta mondiale per il progresso e per
l'emancipazione
dei popoli.
La
posizione che portiamo qui oggi è che si debba fare da parte di
tutti quanto è necessario perché presto questo conflitto e le sue
pesanti conseguenze siano superati e la Cecoslovacchia possa
procedere in piena libertà, indipendenza e sovranità sulla via del
socialismo, dello sviluppo della democrazia socialista: e ciò nell
'interesse non soltanto della Cecoslovacchia ma dell'Europa e del
mondo, della lotta antimperialista, della causa della pace.
A
questo obiettivo abbiamo mirato noi comunisti italiani in ognuna
delle posizioni e negli atti che abbiamo compiuto in questi giorni,
essendo
consapevoli che siamo una grande forza politica italiana, la quale ha
un posto e una responsabilità di primo piano non solo nel nostro
paese, ma nel movimento operaio internazionale e nel movimento
comunista che ne è componente decisiva.
In
questa direzione abbiamo lavorato con tenacia e con chiarezza non
solo in questi
giorni,
ma anche nei mesi passati, nei contatti internazionali, nelle
discussioni e nelle stesse polemiche che abbiamo avuto con i partiti
fratelli.
Abbiamo
scartato la via delle recriminazioni, delle esasperazioni e dei
calcoli strumentali e abbiamo scelto la via degli atti politici
chiari e al tempo stesso meditati, responsabili,
che
fossero di aiuto reale -
come
appunto mi sembro.
riconoscesse
lo stesso compagno Nenni -
al
popolo e al partito comunista cecoslovacchi, a una unità effettiva
delle forze socialiste, e che spingessero prima ad evitare e poi a
superare il conflitto che si era aperto.
Non
solo non abbiamo taciuto, ma abbiamo agito e cercato di pesare; e di
fronte all'intervento militare dei cinque paesi del patto di Varsavia
abbiamo espresso il nostro grave dissenso
e la nostra riprovazione, non solo perché dinanzi a quegli eventi
ogni forza politica era tenuta a dimostrare chiarezza di giudizio e
assunzione di responsabilità, ma perché abbiamo sperato che la
nostra voce, unita a quella di altri partiti comunisti, potesse
recare un aiuto e impedire il peggio.
Abbiamo
considerato e consideriamo che si dovesse ricercare e favorire, in
quella situazione, una soluzione politica dei contrasti che
consentisse alla Cecoslovacchia di continuare a sviluppare il
processo rinnovatore. In questo senso e in questo quadro abbiamo
ritenuto positivo che si sia giunti al negoziato e sia stata evitata
una esasperazione del conflitto che sarebbe stata tragica.
Comprendiamo
le condizioni difficili in cui i dirigenti del partito cecoslovacco,
con grande dignità e senso di responsabilità, hanno discusso a
Mosca: esprimiamo qui la nostra solidarietà.
ad
essi e insieme l'augurio, la speranza, l'esigenza che rapidamente
l'attuale pesante situazione possa essere totalmente superata e si
giunga al ritiro delle truppe dei cinque paesi e la Cecoslovacchia
possa continuare il suo lavoro, il suo impegno per il socialismo, per
il progresso, per la pace.
Sono esigenze
ragionevoli, responsabili, dettate da una profonda fede nell'avvenire
del socialismo e dei paesi socialisti, che noi, anche da questa
tribuna, chiediamo che siano ascoltate e
tenute
in conto dai partiti comunisti e dai paesi socialisti, dall'Unione
Sovietica in primo luogo, insieme con la quale abbiamo condotto e
conduciamo tante lotte difficili ed essenziali.
Questa è la
prima esigenza che ci sta di fronte; e ad essa purtroppo, senatore
Medici, non ha saputo corrispondere il Governo con le sue
dichiarazioni attuali.
Dirò
dopo dei richiami all'indipendenza che il ministro degli esteri ha
fatto qui e del suono che essi assumevano per noi,
che
ricordiamo altre risposte che ci venivano da quei banchi a proposito
di altri paesi,
del
Vietnam prima di tutto.
Ma parlerò dopo di questo; mentre ora desidero occuparmi dell'atteggiamento assunto in questi giorni dal Governo italiano. Sostengo che il rilancio dell'atlantismo, la palese strumentalizzazione che a questo scopo è stata fatta degli avvenimenti cecoslovacchi e che abbiamo sentito ancora stamane nelle dichiarazioni del Governo, e peggio ancora le tirate oratorie, la rozza agitazione antisovietìca che l'onorevole Rumor poco fa ha portato in quest'aula, possono solo rendere più difficile il processo di distensione internazionale. (Proteste al centro).
Ma parlerò dopo di questo; mentre ora desidero occuparmi dell'atteggiamento assunto in questi giorni dal Governo italiano. Sostengo che il rilancio dell'atlantismo, la palese strumentalizzazione che a questo scopo è stata fatta degli avvenimenti cecoslovacchi e che abbiamo sentito ancora stamane nelle dichiarazioni del Governo, e peggio ancora le tirate oratorie, la rozza agitazione antisovietìca che l'onorevole Rumor poco fa ha portato in quest'aula, possono solo rendere più difficile il processo di distensione internazionale. (Proteste al centro).
Onorevole
Rumor, ella con le sue parole poco fa ha presentato
qui la democrazia cristiana come una forza provinciale tesa ad una
piccola speculazione di parte. (Vive
proteste al centro). Noi
crediamo che questo non giovi al paese e nemmeno al prestigio del suo
partito.
(Vive
proteste al centro).
PRESIDENTE.
Onorevoli colleghi, finora la discussione si è svolta con assoluta
pacatezza. Invito perciò tutti i colleghi a non turbare questa
atmosfera, consona alla gravità dei temi in discussione.
INGRAO.
Noi critichiamo queste posizioni prima di tutto per il danno attuale
ed immediato che recano ad una situazione quanto mai tesa ed irta di
pericoli.
E
se non si tratta di un consapevole disegno, cogliamo in ciò una
leggerezza.
Ma
non vogliamo solo parlare qui dell'immediato e delle difficoltà
urgenti che ancora ci stanno di fronte e che sono da superare.
Noi
siamo ben consapevoli che gli avvenimenti cecoslovacchi chiamano non
solo i governi, ma tutte le forze politiche, e prima di tutto le
forze operaie, ad una riflessione di fondo, ad una ricerca, ad un
impegno nuovo sulle questioni che travagliano oggi le grandi masse
umane.
E’stato
detto che noi comunisti italiani ci siamo fermati ad un giudizio
limitato al fatto singolo, all'intervento militare, e abbiamo eluso
le questioni di fondo. Respingo questa accusa.
Noi
non abbiamo mai isolato, in questi giorni e nelle settimane passate,
i fatti cecoslovacchi da un discorso generale sulla situazione
internazionale e sui compiti che si pongono alle forze operaie e
popolari dell'Europa e del mondo. Ne è consapevole testimonianza il
rapporto del compagno Longo al nostro comitato centrale e più
precisamente l'affermazione esplicita in esso contenuta, secondo cui
l'impegno nostro era determinato dalla coscienza che gli avvenimenti
cecoslovacchi coinvolgevano interessi e questioni riguardanti tutto,
dico
tutto,
il
movimento operaio internazionale.
Abbiamo
collocato subito la nostra posizione in una visione di classe ed
internazionaIista, l'abbiamo motivata in nome della nostra
concezione dell 'internazionalismo proletario e dell'interesse
nazionale,
l'abbiamo
verificata alla luce della nostra elaborazione teorica, quella a cui
da circa cinquant'anni ormai siamo stati impegnati sotto la guida di
Gramsci e di Togliatti.Confessate
l'imbarazzo, onorevole Rumor, e siate chiari: per anni avete detto
che quella nostra elaborazione era solo una frase e adesso vi trovate
in difficoltà e imbarazzati di fronte alla prova della coerenza tra
la nostra ricerca teorica e le nostre posizioni politiche. Siamo
stati la prima forza politica italiana che si è pronunciata con
assoluta tempestività, e abbiamo potuto farlo, in condizioni che
pure erano difficili, attraverso una semplice consultazione
telefonica con il segretario del nostro partito che era nell' Unione
Sovietica - perché quella posizione era la conseguenza delle nostre
discussioni e delle nostre posizioni di marzo e di
luglio,
era la conseguenza di una linea meditata e responsabile ed aveva
dietro di sé una elaborazione teorica.
e
politica di lungo impegno. E, del resto, si guardi ai fatti: abbiamo
convocato in questi giorni il nostro comitato centrale e lo abbiamo
aperto con una relazione che non si è fermata solo all’immediato,
ma ha aperto un discorso di fondo e di strategia. E su questo
discorso abbiamo condotto in questi giorni una discussione non solo
libera, ma che, come già nel 1956, respinge le recriminazioni e gli
sfoghi e non si ferma ad un'analisi di errori di singoli e di gruppi,
ma cerca di intendere i processi oggettivi,
i
problemi strutturali che stanno dietro agli errori dei singoli e alle
difficoltà in atto.
Che
cosa invece ha saputo fare la democrazia cristiana e che cosa ha
saputo portarci ella qui, onorevole Rumor, di diverso da una rumorosa
agitazione anticomunista? Ella, e così anche il compagno Nenni, ha
voluto qui parlare del processo di rinnovamento che è in atto in
Cecoslovacchia. Ebbene,
nemmeno
questo fatto, il quale dimostra che là erano i comunisti che
conducevano questo rinnovamento (Proteste
al centro), nemmeno
questo ha rotto il vecchio modulo che adoperate verso il comunismo e
vi ha spinto a cercare di capire il nostro sviluppo, la nostra
ricerca, il travaglio ed anche le rotture che si possono determinare
nel nostro movimento, in quanto grande forza politica di dimensioni
mondiali.
Dobbiamo
dolerci che anche da parte delle forze socialdemocratiche non sia
venuto un contributo adeguato ai temi, che non fosse la ripetizione
di posizioni politiche che sono state irrimediabilmente superate dal
cammino
della storia.
Con
quali titoli allora la democrazia cristiana, che dà prova di questa
incapacità, afferma che noi non andremmo al fondo'
delle
cose? Forse perché ci rifiutiamo e ci rifiuteremo di procedere a
quella che viene chiamata la condanna del sistema? Ma c'è qualcuno
il quale pensi realmente che un partito operaio ed un partito
progressista - e non solo il nostro - possa liquidare il grande
patrimonio di conquiste politiche e sociali che hanno tratto origine
dalla rivoluzione d'ottobre? Ricordiamolo per un momento, al di fuori
di ogni polemica, onorevoli colleghi,'questo
patrimonio, che non è soltanto nostro, nelle sue componenti
fondamentali: la cacciata e l'espropriazione. per la prima volta
nella storia, dei capitalisti e degli agrari; l'organizzazione per la
prima volta nella storia di un potere politico proletario e la sua
difesa dagli attacchi armati; la pianificazione dell'economia; la
liquidazione in una serie di paesi della disoccupazione di massa; ...
CARIGLIA.
. .. e della libertà. (Proteste
all'estrema sinistra).
INGRAO.
Tratterò di questi problemi e della nostra riflessione su di essi,
onorevole Cariglia. ... l'industrializzazione accelerata e il primo
esperimento nella storia di socializzazione dell'agricoltura; la
liberazione dall'analfabetismo di milioni di esseri umani; il
contributo decisivo dato alla sconfitta del nazismo e al sorgere ed
all' affermarsi di grandi movimenti di liberazione. Queste sono
conquiste storiche che non riguardano solo noi ma anche voi.
compagni
socialisti, che hanno influenzato e condizionato tutto il nostro
cammino, nostro,
non
solo di noi comunisti. Qualsiasi forza progressista italiana sarebbe
più debole oggi se esse non ci fossero state. Persino il nostro
vocabolario, le categorie politiche che adoperiamo, le esperienze su
cui ci misuriamo e ci scontriamo non possono prescindere da quelle
vicende. Se parliamo di pianificazione e ci combattiamo e discutiamo
sulla pianificazione, questo è perché in quei paesi è stato
avviato un primo gigantesco esperimento di economia pianificata; se
discutiamo oggi in certi termini di rinnovamento della scuola, questo
è perché per la prima volta in quei paesi e nell'Unione .Sovietica
è stata liquidata una scuola di classe. Quelle conquiste perciò,
non possono non dico essere liquidate ma nemmeno contestate; e la
consapevolezza dei prezzi, delle durezze,
degli
errori che esse hanno portato con sé - e che noi non vogliamo
nascondere - può essere solo uno stimolo per andare avanti, non
certo per tornare indietro.
La
vera questione che sta dinanzi a noi perciò è un'altra: è quella
di intendere di identificare i limiti che oggi bisogna superare i
confini nuovi che devono essere raggiunti..:
ALMlRANTE.
Non
bastano quelli che avete raggiunto ?
INGRAO.
… e in sostanza i problemi nuovi che queste stesse conquiste
hanno generato;
problemi
che non possono essere risolti
con
i vecchi metodi.
Perché
questo è il senso di fondo del travaglio che hanno attraversato e
attraversano le società
socialiste.
A
mano a mano che in una serie di paesi i grandi obiettivi storici che
ho ricordato
venivano raggiunti, certo maturavano nuovi bisogni; e maturavano sia
per le energie che le conquiste raggiunte mettevano in movimento, sia
per il peso delle condizioni
difficili,
delle lotte aspre, della scarsità dei beni, dell'arretratezza
secolare, della dura coercizione in cui quelle conquiste erano state
realizzate. Maturavano impetuosamente esigenze di sviluppi nuovi
nell'economia e nella sovrastruttura politica: esigenze di una
articolazione delle scelte produttive, di un decentramento del piano,
di una gerarchia dei consumi che non fosse affidata a una burocrazia
centrale né a spinte anarchiche"'o
corporative della società; esigenze di approfondire la divisione
internazionale socialista del lavoro superando chiusure autarchiche,
senza però sacrificare le autonomie nazionali; esigenze di uno
sviluppo della cultura
e della scienza che desse loro il massimo di libertà creativa, e di
un rapporto nuovo,
qumdi,
tra partito
e
cultura, tra partito e spinte della società.
Si
presentavano dunque, ne siamo consapevoli, dilemmi; si rendevano
necessarie esperienze e forme di organizzazione sociale più avanzate
ed aperte; e prima di tutto di fronte a ciò si manifestò la crisi e
l'insufficienza della ferrea linea staliniana: crisi che si espresse
nella spinta del XX congresso. Le forme di dittatura giacobina, di
dominio del partito, di ferrea determinazione dal centro e dall'alto
che erano state la via mediante la quale le nuove società erano
state edificate non erano in grado di dare una risposta a questi
nuovi problemi,
di
garantire il nuovo balzo della società;
e anzi, facevano pesare sulla vita politica la rigidità di apparati
burocratici, bloccavano la ricerca teorica e politica
e portavano a gravi
illegalità,
a degenerazioni, come disse Togliatti.
Noi
salutammo il XX congresso soprattutto perché esprimeva una coscienza
di questa situazione e - pur indeterminati
limiti -
sollecitava una correzione di fondo. E a nostro parere la crisi è
esplosa così drammaticamente in
Cecoslovacchia perché là più che altrove per anni sotto la
direzione del regime di Novotny venne rifiutata
una qualsiasi correzione, con testarda ostinazione.
E
abbiamo
dato il nostro pieno, consapevole appoggio
al nuovo corso inaugurato in gennaio dal partito cecoslovacco perché
eravamo consapevoli
della
crisi che era in
atto in quel paese, perché sentivamo il distacco che si era creato
tra il partito e le masse e perché al di là di questioni singole,
anche importanti, il nuovo corso tendeva a dare uno sbocco alla crisi
sulla base di tre linee che ci sembravano e che ci sembrano
importanti: un ritorno alla democrazia di partito; un impulso alla
partecipazione delle masse; un rapporto tra partito e società
socialista che rompeva con il paternalismo e con il burocratismo, che
ritrovava il contatto con i problemi della società e ricercava la
base della sua forza nel consenso delle masse, nella conquista
politica dunque di una egemonia.
Abbiamo
visto in ciò l'impegno – ecco il punto essenziale per noi - ad una
nuova organizzazione e ristrutturazione
del potere politico sociale, che ci appare indispensabile per
rispondere ai problemi insorti
e
per dare
nuovi sviluppi
oggi
alle conquiste delle società socialiste.
Certo,
nel momento in cui il nuovo gruppo dirigente cecoslovacco doveva
affrontare pesanti problemi di
riorganizzazione
economica e doveva procedere a questa ristrutturazione e
riorganizzazione del potere politico socialista, si presentavano
pericoli di inserimenti reazionari e di slittamenti riformisti
(Commenti
al centro e a dèstra) o
semplicemente di spinte anarchizzanti. È noto che il dissenso nostro
sull'intervento militare dei cinque paesi non nasce dall'ignorare
questi pericoli, anche se noi attraverso le cose che conosciamo
abbiamo dato sempre una valutazione diversa della loro entità e
della loro consistenza. Il dissenso nostro dai compagni dell 'Unione
Sovietica e dei quattro paesi del patto di Varsavia nasce dalla
profonda convinzione che l'intervento militare non era la via giusta,
la via accettabile e nemmeno la via efficace per combattere
questi pericoli.
Probabilmente
sulle decisioni dei dirigenti
sovietici e degli altri paesi intervenuti hanno influito queste
componenti:
a)
il
timore che dal processo di democratizzazione avviato
in Cecoslovacchia potesse derivare una spinta che essi consideravano
disgregatrice, e che facesse sentire la sua influenza anche in altri
paesi socialisti; b)
una
concezione della coesione e della forza del potere socialista in cui
il momento della coercizione statale è dominante; c)
una
visione del vigore p, della coesione del campo socialista mondiale,
in
cui la forza economica e militare degli Stati socialisti diviene la
misura,
il
metro prevalente, anche perché è soprattutto ad essa, in sostanza,
che viene affidato l'avvenire della rivoluzione e della
trasformazione del mondo.
Noi
sentiamo, noi abbiamo la convinzione che orientamenti di questo
genere non solo non sono in grado di fronteggiare pericoli di
involuzione a destra in Cecoslovacchia o altrove, ma rischiano anche
di acutizzarli. E lo sentiamo perché l'esigenza di nuovi balzi
produttivi, di nuovi traguardi, di una articolazione e di un
arricchimento della società socialista non può essere soddisfatta
senza che si allarghi la partecipazione delle masse, e prima di tutto
della classe operaia, alla gestione del potere economico e politico,
e
in questo modo si sviluppino le energie rinnovatrici, la coscienza
socialista, l'unità politica dal basso e la tensione morale e
creativa che sono necessarie per adempiere questi compiti.
Appena
riflettiamo sulla situazione cecoslovacca
cogliamo che lì non si trattava soltanto di elevare i livelli di
reddito e di produttività, ma insieme di saldare il cammino della
scienza e della cultura alla trasformazione della società: di
elaborare il piano dal basso in modo che le scelte produttive e la
gerarchia dei consumi non fossero imposte burocraticamente; di
riattivare il dibattito e la tensione politica socialista e lo
spirito internazionalista, che facessero comprendere i sacrifici
necessari e combattessero le spinte corporative e provincialistiche.
Tutto ciò richiede un balzo in avanti nella democrazia, non solo
come garanzia delle libertà essenziali, ma anche come potere e
partecipazione reale e sempre più ampia della classe operaia e dei
lavoratori alle scelte fondamentali, alle questioni stesse che
riguardano le strutture.
Qui
è la grande questione che reca in sé l'esperimento cecoslovacco e
sulla quale non sono leciti equivoci e dobbiamo discutere e
confrontare le nostre idee, se vogliamo avere un dibattito reale, se
vogliamo realmente misurare almeno quali sono i termini del nostro
dissenso e .della
nostra ricerca: perché l'interesse del!' esperimento cecoslovacco -
non potete negarlo, onorevoli colleghi - non era in uno sbocco di
tipo svedese o inglese. Questi modelli li abbiamo già dinnanzi, sono
stati già provati, e sappiamo - voi stessi lo sapete - che sono in
crisi, prima di tutto per la loro incapacità di dare una risposta
proprio a questo tema: la libertà dell'operaio, del produttore
(Commenti
al centro),
la
libertà storicamente concreta di pesare sulle scelte che decidono
sulla vita reale dell'uomo e sullo sviluppo della società. Questa
libertà nuova, questa articolazione e sviluppo della democrazia
operaia, di masse lavoratrici, è il grande tema posto dalla vicenda
cecoslovacca.
È
su questa via che deve compiersi secondo noi una più profonda
saldatura tra
democrazia
e socialismo. Dubcek,
il
comunista Dubcek,
al
di là di possibili rischi e di profonde difficoltà della
situazione, a questo obiettivo è impegnato. Noi siamo perché questa
prospettiva vada avanti, e il compito che indichiamo a noi stessi e
alla classe operaia occidentale è di lavorare per questa saldatura
nuova, articolata,
profonda,
tra democrazia e socialismo.
E
abbiamo preso posizioni e portiamo avanti .
una
ricerca teorica che mirano appunto a far maturare questo sbocco.
Qui
invece emerge il limite profondo, il segno conservatore delle
posizioni che abbiamo visto assumere dai dirigenti della democrazia
cristiana. Sì, voi dite « democrazia", onorevole Rumor; ma
quando siete stati disposti o vi siete impegnati a promuovere,
ad
avviare questa libertà nuova dell'operaio, del lavoratore, o almeno
a sostenerlo nella lotta, nello scontro quotidiano con il dispotismo
padronale? E se siete disposti, come mai vi fate gestori e siete
tuttora gestori di una società in cui il dominio del grande capitale
e perfino dell'agrario e di ceti speculatori è così duro e pesante,
come noi vediamo concretamente nel nostro paese? Questo è il quesito
a cui dovete dare una risposta, questo è l'interrogativo, e questa è
la questione che noi poniamo anche al compagno Nenni, il quale ha
parlato qui di una nuova organizzazione del potere. lo non sto ora a
chiedere chiarimenti o illuminazioni che ci permettano di capir
meglio la soluzione che egli intende dare a questo problema. Lo
voglio ricordare all'onorevole Nenni che egli è stato nel Governo di
centro-sinistra, è stato Vicepresidente del Consiglio, e non era
cosa da poco, ed egli stesso ci disse che il partito socialista era
entrato nella « stanza dei bottoni ». Ebbene, ci sarebbe piaciuto
che, al momento stesso in cui poneva quel problema, l'onorevole Nenni
avesse ricordato un esempio,
una prova, un avvio di tale nuovo modulo di potere! Perché, vede,
onorevole Nenni, noi ci ricordiamo quante volte in quest'aula abbiamo
dovuto ricordare ai governi le fabbriche italiane in cui non esiste
nessuna libertà, nemmeno quella di leggere l'Avanti!
(Applausi aii'estrema sinistra -
Commenti
al centro -
Interruzioni
del deputato Bignardi).
PRESIDENTE.
Onorevole Bignardi, la prego di non interrompere.
Ogni
oratore ha il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero ed
io ho il dovere di tutelare l'esercizio di tale diritto.
INGRAO.
Il compagno Nenni ha parlato qui di indivisibilità.
della
libertà. Vedi, Nenni, purtroppo - e tu stesso lo sai - qui da noi la
libertà è divisa e la condizione del padrone è profondamente
diversa da quella dell'operaio:
e
non solo perché uno possiede i mezzi di produzione e l'altro è
proletario,ma perché persino nell'esercizio delle libertà
elementari c'è discriminazione.
Perciò
non possiamo parlare qui, in Italia, di una libertà senza aggettivi,
perché è questo regime che dà degli aggettivi alla libertà e
divide
profondamente uomo da uomo. Almeno la coscienza di questa situazione
dobbiamo averla, se vogliamo comprendere i problemi con i quali ci
dobbiamo misurare.
La
domanda che ho posto è collegata strettamente e profondamente al
tema,
perché
ognuno che cerchi realmente una democrazia nuova sa che essa non può
nascere in un giorno, ma va preparata con le lotte di oggi,
con
le scelte di oggi, che riguardano,
ad
esempio, l'autonomia,
l'unità
e la libertà del sindacato, se vogliamo davvero preparare una
dialettica nuova, da far vivere nello Stato proletario; che
riguardano il decentramento e la formazione dal basso del piano, se
vogliamo effettivamente battere le soluzioni burocratiche e
tecnocratiche; che riguardano le libertà dei lavoratori nelle
fabbriche, se vogliamo davvero preparare forme nuove di
partecipazione e di controllo delle masse già nell'intimo della
produzione. Noi ricaviamo dalla riflessione sulla vicenda
cecoslovacca un impulso a rafforzare tutta questa battaglia per
l'autogoverno delle masse e crediamo che anche in questo modo e
soprattutto in questo modo sia possibile testimoniare e prendere
posizione e ricavare una lezione dalle vicende cecoslovacche.
Perciò
con il rapporto di Longo abbiamo subito proposto un rilancio di tutta
questa tematica, abbiamo chiamato il partito non solo a pronunciarsi
e a intendere la vicenda cecoslovacca ma anche a cercare le
conseguenze politiche che dovevamo trame per la nostra strategia e
per lo sviluppo della nostra lotta.
La
stampa borghese dalla vicenda cecoslovacca e dall'intervento militare
dei cinque paesi comunisti vuole ricavare la liquidazione del
socialismo; noi, invece, riteniamo che dalla vicenda cecoslovacca
emerga la necessità di nuovi sviluppi della società socialista, di
una lotta più intensa e più compiuta per il socialismo. Il giornale
della democrazia cristiana ricava dai fatti cecoslovacchi ogni giorno
una lezione conservatrice: noi,
invece,
sentiamo ed affermiamo che ne deriva una esigenza di accelerazione
della trasformazione della società in cui viviamo, per recare il
nostro contributo alla lotta generale per il mutamento del mondo e
per la instaurazione di nuovi rapporti di forza nello scontro con
l'avversario di classe.
E
quando -
vediamo
strumentalizzare le vicende cecoslovacche
per il piccolo, mediocre calcolo del rilancio del centro-sinistra,
e per ricondurre i socialisti all'ovile, noi diciamo che il
centrosinistra
non è in grado di risolvere nemmeno uno dei grandi problemi che le
vicende di questi mesi hanno riproposto dinanzi a noi.
E
ciò non può essere nascosto nemmeno da una qualche frettolosa
riverniciatura riformista, perché il riformismo è in crisi, e non
lo dimostra solo la vicenda. italiana; non è riscaldando la vecchia
minestra andata a male che daremo uno sbocco alle domande che sono
nell'animo nostro in questi giorni.
E
andando avanti, non già tornando indietro, che possiamo misurarci
con i problemi.
Sappiamo,
onorevoli colleghi, che questo cammino verso il futuro non può
essere compiuto guardando solo all'Italia, o rinchiudendoci in un
orticello nostrano, di fronte alle nuvole che oscurano l'orizzonte
internazionale.
Noi
abbiamo affermato il diritto del popolo cecoslovacco
all'autodecisione, alla piena sovranità ed indipendenza,
ed
il diritto del partito comunista cecoslovacco alla piena autonomia; e
queste, lo abbiamo detto con grande fermezza, sono per noi posizioni
di principio irrinunciabili, a cui giungiamo sulla base di una
motivazione teorica alla quale Togliatti dette un contributo
decisivo, e che del resto, prima ancora che delle posizioni emerse
dal XX congresso e del memoriale di Yalta, furono parte essenziale
dell'insegnamento leninista. Tali questioni di principio si fondono,
sono una cosa sola con la nostra visione internazionalista; non
abbiamo parlato della vicenda cecoslovacca come se si trattasse di un
affare altrui,
ma
abbiamo collocato tale vicenda nel vivo dello scontro di classe al
livello mondiale,
nel
quadro generale della lotta che popoli e masse sterminate di
lavoratori conducono per la loro emancipazione e per la pace. Ed
abbiamo ben chiaro il valore grande che ha, non solo per la
Cecoslovacchia, ma per noi tutti, la difesa del potere socialista,
della collocazione antimperialista di quel paese. Sappiamo che questo
è affare che ci riguarda, che interessa tutti, e a questa causa
tutti siamo chiamati a dare un contributo.
Ma
sentiamo che questa solidarietà internazionalista - che vuol dire
connessione tra le nostre lotte e le lotte delle forze operaie e
popolari degli altri paesi - può vivere solo sulla base
dell'indipendenza di ogni paese, sulla base dell'autonomia
di ciascun partito operaio e rivoluzionario. In primo luogo perché
il principale protagonista della lotta, il partito rivoluzionario,
non
può vivere di luce riflessa e di forza esterna; senza autonomia si
burocratizza, perde il suo contatto con la società e la realtà.
nazionale,
diventa
incapace di forza egemonica (Commenti
al centro); in
secondo luogo perché la lotta contro l'imperialismo e contro le
centrali del grande capitale monopolistico richiede oggi contenuti e
forme nuove di collegamento, richiede un massimo di articolazione e
di iniziativa autonoma e di aderenza alla realtà nazionale. E per
colpire i modi e gli strumenti, molteplici e articolati, con cui
l'imperialismo americano interviene, controlla,
condiziona
la vita di continenti e di nazioni, dobbiamo oggi riuscire a
suscitare una mobilitazione anche di forze sociali e politiche che
giungono all'impegno antìmperialista per origini, per strade, per
motivazioni diverse l'una dall'altra.
Vogliamo
dire che il cammino dell'emancipazione dei popoli, che la loro
convergenza nella lotta comporta oggi - lo sentiamo - un'ampiezza di
schieramento e una complessità nuove. E perciò il segretario del
nostro partito ha affermato: le frontiere del
socialismo
non coincidono oggi con le frontiere dei paesi socialisti, è il
movimento rivoluzionario antimperialista
non può essere limitato al ceppo dei partiti comunisti.
Questo
vuole significare che dinanzi a noi sta oggi un compito più vasto,
ma anche una possibilità di lotte più avanzate. E d'altra parte
avvertiamo che solo mediante questo schieramento nuovo e più
vasto l'imperialismo può essere fronteggiato, colpito, fatto
arretrare.
Guardiamo
al Vietnam. Sarebbe sciocco e assurdo negare il ruolo che nella
difesa del Vietnam hanno avuto il sostegno e i mezzi economici, le
armi fornite dall'Unione Sovietica e dagli altri paesi socialisti.
Lo
abbiamo ricordato altre volte in quest'aula, contro gli oblii e le
denigrazioni. E tuttavia sentiamo che il campo impegnato nella lotta
per la libertà del Vietnam è andato assai oltre e si è espresso
non solo nell'ampiezza che il fronte di liberazione che combatte nel
Vietnam del sud ha,
ma
anche in masse di operai, di contadini, di studenti che hanno
combattuto nelle metropoli capitalistiche; e nel sostegno dato dai
movimenti di liberazione dell'Asia, dell' Africa, dell'America
Latina; nella lotta difficile e coraggiosa che un'avanguardia
progressista ha saputo combattere conduce negli stessi Stati Uniti
d'America;
e
nelle riserve e nei dissensi di Stati che pure non sono socialisti.
Questa
unità difficile, epperò più incisiva, è andata oltre i blocchi,
ha superato le frontiere dei paesi socialisti, è andata oltre il
ceppo nostro comunista.
Questa
unità va arricchita, consolidata, allargata ad altri obiettivi e su
contenuti più complessi; non può essere ridotta senza andare
incontro ad indebolimenti gravi e a perdite. E perché questo
approfondimento e questo sviluppo siano possibili sono necessarie una
autonomia, un confronto libero, una ricerca comune, uno scambio di
esperienze tra le diverse forze chiamate alla lotta.
Dunque,
quando noi parliamo di un nuovo internazionalismo, noi esprimiamo la
nostra persuasione che spinte antimperialistiche e rinnovatrici
possono maturare anche per la mediazione di forze politiche che non
sono comuniste, anche per motivazioni ideologiche che non sono le
nostre, come avviene oggi per certi movimenti di liberazione
nazionale, come avviene per certe componenti del mondo cattolico e
socialista, come avviene per esperienze originali quali quelle del
movimento studentesco. Ma senza autonomia e libertà di ricerca
questa ricchezza e maturazione di schieramenti nuovi non diviene
possibile. Perciò l'autonomia di ciascuna forza rivoluzionaria nel
movimento operaio internazionale, il contatto, la ricerca, il dialogo
con altre forze progressiste di sinistra non significano per noi
isolamento, ma ci impegnano ad un contributo più avanzato e debbono,
possono dare più
forza ed efficacia alla lotta generale per la pace e contro
l'imperialismo.
E
quando
il compagno Togliatti parlò di unità nella diversità
non intese dunque una frantumazione o un ripiegamento, ma,
cogliendo la novità e la gravità della situazione sollecitò un
effettivo respiro mondiale all’azione del nostro movimento.
E
nel quadro di questa concezione dell'internazionalismo
che noi poniamo oggi la nostra proposta
di
un
impegno più forte
e conseguente di tutte le forze di sinistra per un superamento dei
blocchi militari contrapposti. Questa proposta nostra dice dunque con
tutta chiarezza che la strategia della coesistenza
pacifica non è e non può essere intesa come conservazione dello
statu
quo, come
congelamento dei rapporti di forza,
come pace fondata sull’equilibrio del terrore o, peggio, come
spartizione del mondo in sfere di influenza.
Respingiamo
le suggestioni che a questo proposito ci sono venute
persino dall'onorevole La Malfa e da altri. Un regime di coesisteza
pacifica è effettivo
solo in quanto garantisce
e
promuove
l'autodecisione
dei popoli,
il-
loro
libero cammino verso l'emancipazione, la creazione di nuove strutture
e di nuovi rapporti internazionali.
E
noi chiediamo il superamento dei blocchi perché vogliamo aprire
questa prospettiva di
movimento,
perché
sappiamo che la avanzata del socialismo in Italia
non possiamo affidarla ad eventi esterni al nostro paese,
ma
dobbiamo esserne noi i protagonisti;
e perché sappiamo che, quanto prima e più concretamente sarà
superata la politica e la logica dei blocchi,
tanto
più saranno agevoli sviluppi positivi delle società socialiste
verso nuovi
traguardi.
Questa
linea
politica,
che
è coerente alla nostra visione strategica della lotta
per la pace e contro l'imperialismo,
l'abbiamo convalidata non solo con la
nostra
azione degli anni passati,
ma con gli atti politici di questi giorni,
con
le motivazioni
di principio e di fondo che di essi abbiamo dato.
Dunque,
onorevoli
colleghi,
non
siamo stati fermi. Di fronte alla crisi in atto, ai pericoli,
al turbamento, abbiamo indicato una linea, abbiamo sviluppato la
nostra piattaforma,
abbiamo arricchito la nostra proposta strategica rivolta alle altre
forze di sinistra.
E
purtroppo ci siamo trovati di fronte a questo Governo che non ha
saputo uscire dalla vecchia linea.
Onorevole
Medici,
sfrondiamo il suo discorso dalle parole di circostanza, andiamo al
nocciolo.
Ella, purtroppo, non ha saputo proporci nuIla - dico nulla - che non
fosse la continuazione
dell' atIantismo.
MEDICI,
Ministro
degli affari esteri. Siccome
ella vuole uscire dai blocchi, mi vuole insegnare come si fa ?
INGRAO.
Prima di tutto chiedendo
al Governo del nostro paese che non faccia una politica di rilancìo
dell'atlantismo. (Commenti
al centro).
MEDICI,
Ministro
degli affari esteri. Siccome
il Parlamento è fatto per parlare,
nella
mia qualità di ministro degli esteri
chiedo
ad un grande partito politico
come il vostro che mi
dica
chiaramente come crede di procedere per uscire dai blocchi mentre la
cortina di ferro cala in
forma drammatica. (Applausi
al centro).
INGRAO.
Le
rispondo in modo molto preciso,
onorevole
Medici: rinunciando ai << rilanci>> del blocco atlantico
e prendendo delle misure che si muovano nell'opposta
direzione.(Commenti
al centro).
Per
esempio,
prendèndo
delle iniziative che promuovano la riduzione degli armamenti,
che
favoriscano la creazione di zone disatomizzate in Europa
(Interruzioni
al centro -
Richiami
del Presidente),
che
liquidino le
discriminazioni
verso
i paesi socialisti,
ecc.
Onorevole
Medici,
ella
si è richiamato ai principi ed ha ricordato qui una serie di impegni
delle Nazioni Unite e del trattato di non proliferazione che
affermano la non ingerenza negli affari interni di
un
paese. Ma ella ha mai sentito parlare
di un luogo che si chiama
Vietnam
e della guerra che laggiù è in atto ora, oggi,
in
questi
giorni?
(Applausi
all' estrema sinistra - Commenti al centro).
lo
non voglio qui soffermarmi, senatore Medici, a ricordare
la « comprensione» che avete dato al massacro dei vietnamiti,
anche se
è una macchia che non potete lavare dai
governi
cui
avete
partecipato.
Non
voglio soffermarmi
a ricordare le giustificazioni dell'intervento americano che ci avete
portato in quest'aula più e più volte,
e
il
rifiuto
di dissociare da esso le vostre responsabilità, e persino di
chiedere la cessazione immediata dei bombardamenti.
Lascio da parte il passato.Parlo dell'oggi,
e vi domando:
quale
linea avete sulla questione del Vietnam, che sia coerente con
l'affermazione che ella ha fatto, senatore Medici, sull'indipendenza
di ogni paese? Avete cambiato linea? E allora, perché non ce lo
dite? Avete mantenuto la vecchia linea? E allora, con quale faccia
ella ci parla qui del diritto dei popoli all'indipendenza? (Applausi
all'estrema sinistra -Commenti al centro).
Onorevole
Rumor, anch'ella ha parlato di indipendenza. E’ ella capace, oppure
no. di dire che gli Stati Uniti stanno compiendo una aggressione
infame nel Vietnam?
MARTELLI.
E’: un genocidio criminale!(proteste
del deputato Ciccardini).
INGRAO.
Ritiene, onorevole Rumor, che a motivare questo giudizio bastino o no
i morti, le Vittime, i massacri, di cui abbiamo notizia? L'onorevole
Rumor ha sentito le voci di cattolici americani che hanno parlato di
delitti infami compiuti in quel continente dall'imperialismo contro
forze e paesi che non erano e non sono comunisti? Ascoltando almeno
quelle voci, siete capaci di indicare e di denunciare quelle
aggressioni americane? (Proteste
al centro).
E quando anche avrete fatto questo, siete capaci di far seguire a
questi giudizi gli atti, la protesta presso gli americani, la
richiesta pubblica della cessazione immediata dei bombardamenti o
almeno il riconoscimento di quella realtà nuova che è oggi la
repubblica democratica del Vietnam o di quella grande realtà,
asiatica e mondiale, che è la Cina popolare? Voi non siete capaci
nemmeno di compiere questo minimo gesto di indipendenza, di affermare
cioè che la Cina esiste, che è uno Stato con cui bisogna avere dei
rapporti.
Ecco allora che
noi chiediamo coerenza e qualche cosa di più; chiediamo coscienza
del fatto che la situazione internazionale sta giungendo a un punto
limite e che non si può chiedere, come noi anche abbiamo chiesto - e
l'abbiamo detto con grande chiarezza - autodecisione per la
Cecoslovacchia, democrazia e libertà, senza assumere una posizione
chiara e forte sui delitti dell'imperialismo americano, sulla sua
spinta al dominio mondiale, sulla pressione intollerabile che esso
esercita su tutta la situazione internazionale.
E
questo va chiesto non solo perché non sono possibili confusioni,
perché non si può
dimenticare qual è la fonte prima dei. pericoli per la pace, ma anche perché, onorevoli colleghi, noi parliamo in Italia, in un paese dove vi sono basi straniere, presenza militare americana e dove, persino quando abbiamo discusso del settore più delicato delle forze armate, dei servizi segreti, abbiamo dovuto temere e parlare di una penetrazione americana.
dimenticare qual è la fonte prima dei. pericoli per la pace, ma anche perché, onorevoli colleghi, noi parliamo in Italia, in un paese dove vi sono basi straniere, presenza militare americana e dove, persino quando abbiamo discusso del settore più delicato delle forze armate, dei servizi segreti, abbiamo dovuto temere e parlare di una penetrazione americana.
Indipendenza è
sostanza, autonomia dei popoli, prima di tutto autonomia
dall'imperialismo. E noi lo conosciamo, lo vediamo operante qui, Bel
nostro paese, l'imperialismo americano! In questa luce è
inaccettabile che voi facciate qui la difesa dell'alleanza atlantica
e dei suoi vincoli e che il Governo abbia addirittura parlato nei
giorni passati di rafforzare l'integrazione militare.Non facciamo
solo questione dei vincoli militari connessi alla NATO, ma anche
della collocazione, del segno politico di questa alleanza.
Non facciamo
gli ipocriti, colleghi della democrazia crist i alla! Lo sappiamo:
questa è stata l'alleanza conservatrice con cui sono state fermaLe
le spinte popolari nel secondo dopoguerra in tutta una serie di paesi
- queste cose una volta le diceva anche Pietro Nenni - e al centro di
questa alleanza sta la più grande potenza capitalistica del mondo.
il bastione della conservazione mondiale.
Che significa
allora che voi, in questo momento, ci veniate a confermare questo
rilancio dell'atlantismo ed esaltiate questo blocco? Significa che
rimanete legati al passato, che non siete capaci di cercare nuovi
orizzonti, pur di fronte ad una crisi che richiede da tutti uno
sforzo di ricerca e di pensieri nuovi.(Proteste
al centro).
Ecco la
divergenza di fondo, sostanziale, che noi non vogliamo nascondere.
Voi restate legati al vecchio mondo, alla logica dei blocchi
militari; noi guardiamo avanti, ad una società nuova, e dalla
crisi... (Vive
proteste al centro).
STORTI.
Qual è il mondo nuovo? Quello sovietico? (Richiamo
del Presidente).
INGRAO.
… ricaviamo impulso alla nostra lotta per la trasformazione del
mondo. Siamo la forza politica che ha reagito alla crisi, si è
mossa, ha compiuto atti di coraggio e di coerenza che non hanno
potuto
essere contestati e che ha avviato nelle sue file un dibattito reale, di fondo, su cose che ci sono profondamente care e che impegnano profondamente la storia e la vita del nostro partito.
essere contestati e che ha avviato nelle sue file un dibattito reale, di fondo, su cose che ci sono profondamente care e che impegnano profondamente la storia e la vita del nostro partito.
Non
lo diciamo con iattanza. Sappiamo che ciò richiederà a noi, a
coloro che operano nei paesi socialisti, a tanti combattenti del
nostro stesso campo, tenacia e realismo; tenacia e realismo, perché
non si tratta solo di pronunciamenti e di testimonianze, ma di
costruire le forze politiche e sociali, gli schieramenti nazionali e
mondiali per una fase più avanzata e complessa della lotta per il
socialismo.
Il
compito non riguarda e non può riguardare soltanto noi; e da ciò il
discorso nostro alle altre forze di sinistra, che non è generico
appello, ma discorso motivato su precise esigenze, su contenuti
qualificati, su scelte di cui abbiamo dato testimonianza e prova in
questi giorni e che riguardano tutta una prospettiva strategica,
Questa prospettiva., onorevoli colleghi, dobbiamo cominciare a
costruirla sin d'ora, con
la nostra azione di oggi, se non vogliamo trovarci domani anche noi
di fronte a gravi difficoltà.
Il
rapporto tra democrazia e socialismo dobbiamo cominciare ad
edificarlo ora, nelle fabbriche, nella società,
nelle istituzioni.
Il
nuovo regime di rapporti internazionali possiamo farlo nascere se
prima
di tutto guardiamo
alla
nostra terra, alle nostre condizioni,
alla
nostra politica estera. Parliamo della Cecoslovacchia e al tempo
stesso
parliamo
di noi, di ciò
che sapremo fare, di ciò che dovremo fare,
non
per cercare modelli, ma per imparare
dalla stona. E voi sapete quanto profonda è stata la nostra mozione
dinnanzi ai fatti cecoslovacchi. Ma la nostra combattività e la
nostra fiducia sono intatte, anzi stimolate
dalla
prova, poiché quando esiste una forza viva, attiva, legata alle
masse,
che
sa guardare alla realtà, anche le prove dure formano
e preparano le vittorie di
domani.
Con questa fedeltà alla nostra
storia, al nostro ideale socialista, con questa collocazione
classista ed internazionale, con questo spirito unitario, andremo
avanti. (Vivi
applausi all'estrema sinistra - Molte congratulazioni).