Oggi, 15 maggio, ci sarà l’ultimo saluto alle
vittime del disastro della Torre di Controllo del porto di Genova.
Dal momento del disastro, guardare il porto incute sentimenti contrastanti,
difficili anche da spiegare. Non è la prima volta che si contano dei morti su
quell’area. Quelli che fanno più male in assoluto, sono quelli sul lavoro.
Fanno male perché la cultura del lavoro e della solidarietà è stata per anni la
cultura dei lavoratori del porto di Genova. Fanno male perché attraverso quella
cultura il lavoro era elemento di emancipazione del lavoratore stesso perché
diventava il diretto interlocutore con armatori, spedizionieri e quanti in quel
porto creavano commercio, altro lavoro, altri traffici e faceva crescere di
fatto l’economia della città e di tutto il Paese.
Le cose sono però mutate: alla storica autogestione dei portuali , attraverso
la compagnia dei portuali, il “mercato” ha chiesto concorrenzialità, apertura a
“imprenditori” privati e tempistiche e metodi di lavoro che guardano al
profitto come unico fine.
Il porto non è mutato in questi anni, ma le navi si. Sempre più sovente anche
per gli osservatori meno attenti, accade di rimirare autentici “colossi del
mare” da un numero sconsiderato di ponti, adibiti al mercato crocieristico.
Quello che è successo all’isola del Giglio è ancora davanti agli occhi di
tutti. Per garantire il fondale adeguato, al porto di Genova, recentemente sono
state fatte brillare delle microcariche per limare via scogli che hanno visto
la navigazione nel porto di Genova sin dai tempi dei romani ma sarebbero potuti
essere un problema per i “mercati” che trattano megamotonavi da crociera o
portacontainer che più grandi sono e maggiori profitti riescono a movimentare e
incassare.
Con non poco raccapriccio ho sentito il presidente dell’autorità portuale
parlare di un ipotetico spostamento della diga foranea di 500 metri a mare, per
consentire a navi come la Jolly Nero di poter navigare e manovrare con
disinvoltura in quello che più che un canale di calma diventerebbe un “mare interno”.
Il costo di questa operazione sarebbe tutto riversato sull’ ambiente, marino
soprattutto, che sicuramente porterebbe ad una ulteriore riduzione degli
arenili e il completamento di un esproprio progressivo di quello che è un “Bene Comune” come l’accesso al mare.
Ecco il perché di una torre di
controllo in un posto in cui non doveva essere, una nave che non doveva
navigare tra i moli come un toro lambendo la muleta, e un porto che non poteva
contenere nella piena sicurezza navi dalle dimensioni spropositate.
Con questa consapevolezza oggi saluteremo questi nostri morti sul lavoro,
nostri perché appartengono a tutto il paese, appartengono al mondo che lavora,
indipendentemente dal ruolo, dalla divisa o dalla provenienza geografica.
Per queste ragioni fanno ancora più male, perché su quella rotta, in quello
spazio a condurre navi o a osservare da quella torre c’era il profitto.
Loris
Loris
Ricordiamoli:
Daniele Fratantonio, Michele Robazza, Marco De Candussio, Davide Morella, Sergio Basso, Maurizio Potenza,Francesco Cetrola, Gianni Jacoviello, Giuseppe Tusa,
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