il problema attuale non è più la lotta della democrazia contro il fascismo ma quello del fascismo nella democrazia (G. Galletta)

Amicus Plato, sed magis amica veritas



martedì 22 novembre 2011

Quale sinistra dopo Zapatero? da un articolo di R. Musacchio


Dopo le elezioni in Spagna, Roberto Musacchio ha prodotto questa riflessione che è sicuramente un utile contributo col quale confrontarsi nel tentativo di ridare un ruolo attivo alla sinistra italiana ed europea nel momento in cui le forze finanziarie attaccano senza mezzi termini diritti e condizioni di vita di milioni di persone.

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Quale sinistra dopo Zapatero?

di Roberto Musacchio

Era largamente previsto, ma pure fa molta impressione questa storica sconfitta dei socialisti in Spagna. Fa impressione per le proporzioni, veramente enormi, che consegnano al PSOE il risultato peggiore dal 1977. Fa impressione perchè quella di Zapatero è stata una vera e propria era politica, che ha caratterizzato una stagione non solo spagnola ma del socialismo europeo. Ma forse l'impressione più grande viene dal fatto che su questa sconfitta pesa la rottura con quello straordinario movimento degli indignati protagonista di una intensa stagione di lotte che dalla Spagna ha parlato a tutta Europa e non solo. Ebbene questo movimento non ha fatto al PSOE alcuna apertura di credito, sia pure critica. Lo ha considerato parte di quel recinto che fa dire al movimento " voi non ci rappresentate ". Dunque per i socialisti è stato impossibile ripetere quella operazione di recupero che in altre occasioni era loro riuscita, grazie anche ad un sistema elettorale sostanzialmente ipermagioritario. Il voto socialista non è apparso più utile, neanche a battere una destra che pure si presentava con le forme di un pupillo dell'ex franchista Fraga. Non ci ha provato neppure più di tanto il PSOE a recuperare a sinistra, se è vero che tra gli ultimi atti di Zapatero ci sono state manovre economiche tutte interne ai dettati di Bruxelles e addirittura l'inserimento in Costituzione del vincolo ai limiti di bilancio. In realtà il fenomeno Zapatero che si era presentato con uno straordinario processo di liberazione della società spagnola con una intensa stagione di promozione di diritti civili, molti dei quali tabù per il centro sinistra italiano, aveva anche provato a realizzare politiche occupazionali progressive volte a rispondere alle esigenze dei giovani. Ma mano mano questo impulso riformatore si era affievolito fino a far proporrre al governo socialista leggi sul lavoro tutte improntate alla flessibilità estrema. Ma sia l'iniziale spinta riformatrice, sia la successiva propensione di adeguamento alle ricette liberiste, non hanno impedito alla Spagna di entrare in una crisi economica e sociale, con il record della disoccupazione, fortissima. Colpa di un sistema economico spagnolo in cui i tradizionali poteri forti, a partire da quello della rendita edilizia, sono rimasti tali. E colpa dell'impatto della crisi europea che ha visto i socialisti spagnoli privi di una qualsiasi ricetta valida. La decisione di Zapatero di andare alle elezioni senza neanche ricandidarsi è apparsa dunque per quello che era:una vera resa. Ma la campagna elettorale poteva essere l'occasione per provare a ricercare una nuova strada, ma così non è stato. Lo dimostra proprio la rottura con gli indignati. Che non sono poi un movimento di " antipolitica " come qualcuno prova a dire. No, proprio perchè sono un movimento di critica radicale degli attuali assetti, non solo spagnoli ma europei, chiedono risposte politiche che dal PSOE non sono arrivate. Qualcosa è venuto dalla sinistra radicale, quella di Isquierda Unida, che raddoppia i propri voti e si riaffaccia alla grande politica dopo una lunga crisi che la aveva portata suul'orlo della scomparsa. Ma la vittoria delle destre è grande e chiede di ripensare tutto. Noo solo in Spagna. Con la fine di Zapatero finisce, dopo Blair, un altro dei grandi modelli del socialismo europeo. Caduto anche Papandreu, i governi a presenza socialista in Europa sono quasi scomparsi. Quello che conta ancora di più delle sconfitte elettorali è la sconfitta politica e sociale. Queste esperienze non sono riuscite ad essere veramente alternative a quel vento di destra che ha mantenuto costantemente l'egemonia in Europa. Non solo perdono, ma nella realtà non hanno invertito in modo significativo la tendenza. A questa amara riflessione nè segue un'altra, altrettanto dura. Non si vede fin qui una capacità di ripensamento sostanziale. La possente offensiva neoconservatrice messa in campo con la realizzazione in Europa della struttura di comando intorno ad Europlus non trova alcun reale contrasto. Le misure economiche sono quelle volte a conservare gli stessi assetti che hanno prodotto la crisi e vengono imposte quasi senza opposizione politica. Il socialismo europeo oscilla tra sconfitte e risucchio nella logica delle grandi coalizioni. D'altronde quando il proprio impanto è così debole e subalterno si fa presto a derubricare la propria proposta di alternativa in quella di una partecipazione subalterna a grandi coalizioni. E' il rischio che si corre in Germania, dove una Merkel che vola nei sondaggi rischia di irretire di nuovo la Spd in una Grosse Koalitione. E' quello che si è fatto in Grecia. E in Italia, dove addirittura partiti ridotti dalla lunga esperienza della seconda repubblica a meri contenitori di competizione per il governo fanno " un passo indietro " e lasciano ai " tecnici " la gestione di una fase tutta segnata dalla logica di Bruxelles fornendogli un appoggio " bulgaro ". Una situazione che chiede un drastico cambio di rotta. A partire da una ripresa di sintonia vera con ciò che vive nella società. Innanzitutto di sofferenza. Ma come si fa a non vedere che queste politiche presentate come obbligate non stanno combattendo il male ma lo aggravano. Se prendiamo la Grecia, due anni di " cura " hanno portato il debito pubblico dal 120% al 180%, con meno 15% di PIL! Non si tratta solo che altri devono pagare, ma che occorre cambiare le logiche economiche di fondo a partire da due fatti in realtà intrecciati: Lo strapotere della speculazione finanziaria e la svalutazione sistematica del lavoro. Vanno rovesciati facendo di questo rovesciamento la base di una alternativa. E' ciò che dicono i nuovi movimenti europei, che ci aggiungono, giustamente, il bisogno di rifondare una democrazia ormai calpestata. Questo rovesciamento, questa rottura del recinto è la base indispensabile per la rinascita di una sinistra europea fuori dalle secche identitarie e politiche dell'ultimo trentennio. E' l'esatto contrario che la riesumazione di antichi schieramenti e di vecchie politiche del centrosinistra europeo che hanno drammaticamente fallito.


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Concordo con l'analisi di Musacchio sul voto spagnolo e, in particolare, sull’analisi del peso della rottura avvenuta tra la sinistra e il movimento degli indignati. 

Mi chiedo, infatti se, rispetto all’esperienza spagnola, alle vicende politiche di casa nostra ed al modo in cui noi, come sinistra, ci siamo posti rispetto al 15 ottobre, non sarebbe opportuno un ripensamento complessivo, che colga il cambio di rotta che viene richiesto da questo movimento “sociale” che è il più esposto alla marginalizzazione voluta dai poteri finanziari che al diritto al futuro prediligono i profitti.

Forse non tutti tra di noi riescono ad avere la consapevolezza che un obiettivo, queste centinaia di migliaia per lo più di giovani, comunque lo hanno già raggiunto in maniera spontanea, ed è lo stesso obiettivo che i lavoratori europei, attraverso le proprie rappresentanze sindacali, non sono stati ancora in grado di realizzare: alzare una voce unica di “rivendicazione al diritto di esistenza” e di protesta a livello europeo sulle politiche dei governi e della BCE 

E’ evidente che la risposta che possono, e possiamo, trovare non può essere quella della negazione delle rappresentanze politiche, perché alle lacrime e sangue si assommerebbero altre condizioni sempre più mirate alla atomizzazione sociale. 
Tuttavia è anche vero che l’esperienza del 15 ottobre in Italia ha offerto un quadro di soggetti politici, che hanno concorso alla giornata degli “indignati”, inadeguati a raccogliere una sfida politica e sociale “epocale”, esattamente come epocale è stata la disfatta in Spagna. 
Credo che la possibilità di ritrovarci attorno a un progetto comune “alternativo” fuori dalle logiche di subalternità alle grandi coalizioni, potrebbe essere un primo passo di ricostruzione di una sinistra, oltre, e sicuramente obiettivo prioritario, lo strumento di difesa e di proposta per questa generazione di indignati e per le prossime generazioni che potrebbero non avere neanche la prerogativa dell’indignazione. 
Come garantire l’autonomia di questo movimento sarà invece la sfida per ricostruire una coscienza collettiva che nella sostenibilità, sulla dignità del lavoro e sull’equità sociale fondi il suo agire.
Loris

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2 commenti:

Ernest ha detto...

grazie per la segnalazione dell'articola dobbiamo davvero riflettere molto

Enly ha detto...

Quella in Spagna è una sconfitta della democrazia in generale adesso il duello tra stato e Chiesa è finito stop ai matrimoni gay? Probabile. Adesso c'è da vedere.

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