E' innegabile come Genova
sia sempre stata puntuale con la storia delle grandi mutazioni
sociali e politiche del nostro paese, talmente puntuale da esserne in
alcuni casi la precorritrice.
Questi mutamenti, però , hanno
sempre avuto un reciproco avvallo tra gruppi dirigenti politici e
blocchi sociali rappresentati.
Dal primo sindaco
socialista di un Comune italiano (Carlo Canepa / Sestri Ponente oggi
nella “grande Genova”) con lo sviluppo di quella che verrà
definita “Aristocrazia operaia” che attraverso il proprio lavoro
emancipava la propria soggettività sociale. Dalla lotta organizzata
in città e fuori al fascismo, al contributo inestimabile nella
scrittura e difesa della Costituzione attraverso dirigenti come
Togliatti, Terracini o Dossetti o la risposta di massa alla deriva
tambroniana con la compatta dirigenza della CGIL della Sinistra
cittadina e dell'ANPI.
Per queste e altre
ragioni, considero la comparazione di Genova a laboratorio politico
appropriata e pertinente. Ma se per quanto concerne il passato tutto
questo è vero, nonostante alcune , casualità politiche, oggi,
questo concetto risulta assolutamente decontestualizzato dalla realtà
genovese.
Il processo metodico di
deindustrializzazione, oltre alla modifica di una vocazione economica
della città, ha privato la città stessa di quegli attori sociali
che furono i principali protagonisti dei laboratori politici dei
cambiamenti nazionali.
Chi incautamente un mese
fa affermava che il simil-accordo sulla questione AMT (Segretaria
Camusso compresa) era una vittoria dei lavoratori dovrebbe spiegarci
in cosa è consistita questa vittoria, se l'oggetto non erano le
privitizzazioni ma una banale ricerca di efficienza nell'erogazione
del servizio pubblico. Considero un'occasione perduta, il non aver
messo in campo proprio nel contesto AMT la volontà di “andare
oltre” e affrontare quel tipo di problematiche che rispondono a un
autentico “piano sulla mobilità”, che non è e non può avere
una visione locale, ma sicuramente nazionale con tutte le inevitabili
interconnessioni europee. Questo avrebbe detto il “laboratorio
Genova” di un po' di anni fa.
La stessa vicenda
dell'ILVA di Taranto avrebbe avuto destini diversi se il “laboratorio
Genova” fosse stato attivo. Genova è stata detentrice per anni del
know how degli impianti siderurgici, Taranto stessa ha nei suoi
impianti elevati coefficienti di genovesità. Mettere in rete quelle
aziende che ancora, tra molte difficoltà, hanno competenze
specifiche, forse avrebbe permesso di dare un contributo alla
soluzione ambientale e nello stesso tempo occupazionale dove la PA
doveva solo fare da collettore tra i soggetti produttivi e magari la
regia ad un soggetto terzo come l'Università.
Una nota azienda genovese
degli anni 70 e 80 esponeva un grande manifesto pubblicitario
all'aereoporto con lo slogan...“...progetta a Genova e realizza nel
mondo”, dietro quell'azienda ruotava una realtà di indotto locale
e nazionale che teneva comunque alta l'incidenza economica e sociale
che passava attraverso quell'azienda. Lo stesso sindacato, a torto o
ragione, aveva assunto un ruolo “diverso” nel governo della
gestione dei conflitti all'interno di quell'azienda e all'interno
degli equilibri sindacali cittadini. Era una ulteriore voce di quel
“laboratorio politico” che connotava la differenza di Genova.
Sarebbe un errore pensare
che questo laboratorio abbia coinvolto solo una parte ben connotata
politicamente perchè il coinvolgimento fu totale. Figure come il
Cardinale Siri, che diventa perno di quella trasformazione nella
gestione del porto dove il riferimento era il Console Batini o una
figura come Baget Bozzo sono lo spessore di una città in cui anche
le istituzioni con “parsimonia”, ma con un ritorno inevitabile,
investono in quella che è la crescita culturale e politica di Genova
consapevoli di far crescere il Paese.
E' evidente che oggi ci
sono venute a mancare delle figure di primo piano come Don Gallo o
Cerofolini o Ricci, ma è anche vero che la grande mancanza è per
quei nomi che non sono mai stati alla ribalta ma hanno
incessantemente tessuto quelle connessioni tra forze politiche,
sindacali e territori. Due nomi per tutti : Franco Sartori, con la
sua vivacità intellettuale e una visione del lavoro all'interno
della città e Paolo Arvati, capace interlocutore e sollecitatore di
tutto quanto era “sinistra” a Genova, dentro e fuori delle
istituzioni.
Quanto scritto prima è
una analisi del passato portata a comparazione con la
desertificazione del presente.
Credo che il peggior servizio che
possiamo rendere a Genova e non solo, è lasciare scorrere il fiume
degli eventi senza avere il coraggio di calarci nella corrente
limacciosa e dimostrare che sia le competenze sia la volontà di
disegnare un futuro della città esistono e non sono una utopia.
Osare la speranza, come
ripeteva Don Gallo non è un esorcismo ma un preciso bagaglio che
molte teste pensanti devono accollarsi prima di rinchiudersi
all'interno dei propri ambiti politici più consoni alla
conservazione del nulla, diventando però con più o meno
consapevolezza complici di una eutanasia di tutta la città senza più
punti di riferimento a cui guardare.
Forse questo è un debito
da onorare nei confronti di quei lavoratori che il 16 giugno 1944
subirono la deportazione in quanto operai genovesi o nei confronti di
quei lavoratori del porto che impedirono che le mine tedesche
compissero lo scempio del nostro porto.
Sono passati circa due
anni da quando è iniziato il percorso che ha portato all'attuale
amministrazione cittadina. In quel contesto credo che la componente
“popolare”, i “rappresentati” abbiano dato una ulteriore
prova di presenza e di volontà passata per le primarie e suggellata
con l'elezione a Sindaco di Marco Doria. Credo che la ripartenza
debba passare proprio dai protagonisti di quella “novità”,
simile superficialmente, ma molto diversa dalle altre città che
hanno espresso un sindaco che doveva essere frutto, più per il
momento che non per l'effettivo contenuto, della così-detta cultura
Arancione.
Credo che proprio dai
componenti della maggioranza in Comune, uscendo dall'aula Rossa,
“osare” la riappropriazione della politica, sia l'imperativo per
tornare ad essere laboratorio dei cambiamenti e ritrovarsi a scrivere
il futuro della città decontaminando il dibattito e la costruzione
di questo futuro dagli interessi di gruppi di potere e da
condizionamenti ideologici.
Dobbiamo provarci.
Loris Viari
Genova 5 gennaio 2014