il problema attuale non è più la lotta della democrazia contro il fascismo ma quello del fascismo nella democrazia (G. Galletta)

Amicus Plato, sed magis amica veritas



mercoledì 20 novembre 2013

Doria e le "società partecipate" - tenere in piedi AMT"

Se in certi momenti non sono stato tenero nei giudizi sul Sindaco Marco Doria, trovo doveroso, oggi, fare una riflessione in cui esprimo il mio appoggio, per quanto insignificante possa essere, al suo operato sulla questione “partecipate” e supposte “privatizzazioni”.
Intanto credo che non sia utile mischiare i piani, e, un conto è quando si parla di AMT e un conto diverso quando i soggetti sono ASTER e AMIU.
Per quanto riguarda ASTER e AMIU mi risulta che la parola d'ordine sia “riordino” : essere azienda pubblica non esclude il fatto di essere efficiente e di poter investire in miglioramento del servizio senza gravare sulle tasche degli utenti. Per AMIU inoltre il farsi trovare adeguata dal “piano regionale dei rifiuti” potrebbe rappresentare una garanzia sia dal punto della salvaguardia ambientale sia da quella di gestione aziendale.
Per AMT le cose si complicano perché le quote da ripianare sono sicuramente ingenti e non si può pensare di spostare da altri servizi come i servizi sociali quote di cui, grazie alle trovate degli ultimi governi forse non c'è neanche la disponibilità.
Come ha dichiarato pubblicamente Doria, l'obbiettivo è di tenere in piedi l'azienda, anche se ciò potrebbe costare qualche sacrificio. Ragionevolmente però non si può fare pagare alla collettività politiche che hanno falsato la realtà economica dell'AMT stessa con un numero di dipendenti amministrativi decisamente esagerato da qualsiasi punto di vista lo si guardi. Amministrativi, non autisti, tanto per essere chiari. Mandare in giro 3 controllori a ore improbabili e non avere le macchinette obliteratrici efficienti è uno schiaffo all'intelligenza degli utenti e di tutti i contribuenti.
Partendo dal sano principio che un servizio pubblico non necessariamente deve essere in attivo, deve valere però la regola che non possono essere ammesse le perdite dovute a mala amministrazione del servizio pubblico stesso. Serve un piano “industriale” credibile.Forse una forma di ingresso “popolare”, degli utenti  nei cda potrebbe essere un segnaledi ulteriore “pubblicità” del servizio.
Oggi un dannoso immobilismo potrebbe voler dire guardare a soluzioni come l'assorbimento da parte di Trenitalia come soluzione inconfessabile da parte di alcuni. 
In qualsiasi percorso il Sindaco Doria si voglia confrontare, di una cosa dovrà tenerne conto: i processi non potranno essere praticati con chi ha portato l'AMT al disastro. Per essere credibile serve una precisa e netta rottura con un modo di far politica fallimentare e clientelare.

Non si ha l'impressione che si voglia risolvere dei problemi, ma piuttosto di non smuovere niente per paura in alcuni casi di perdere non il lavoro ma dei privilegi. Pur esprimendo la mia solidarietà a lavoratori che lottano, non posso non esprimere solidarietà a quelli che il lavoro lo hanno perso o non lo troveranno ma sono accomunati dal fatto di essere utenti e loro malgrado contribuenti.

giovedì 14 novembre 2013

Come farmi incazzare di prima mattina

Squilla il telefono….. siamo della ipsos di milano e vorremmo farle una intervista su temi di attualità. Ovviamente accetto il gentile invito anche perché di cose da dire ne avrei molte.
Dopo i dati sul titolo di studio e l’età la prima domanda:
…Lavora?  “sono un lavoratore autonomo, la mia partita iva è aperta ma non ho lavoro”
Come ha votato alle precedenti elezioni Sinistra dest…..?  “SINISTRA”
Come considera l’operato del Governo da 1 a 10?…”lo zero non c’è?”  No “1meno“
….è qua cominciano i balletti in quanto le domande non si comprendono che soggetto hanno.
Come giudica la lotta all’illegalità?…. “Nel momento in cui un delinquente continua a sedere nei banchi del Senato praticamente inesistente. Voto 1”
La proposta di indulto e amnistia?…… “ Dipende dai reati (ovviamente sto pensando che chi ha frodato il fisco col cazzo che debba usufruire di amnistie o indulti)….”
Sull’abolizione del reato di clandestinità?……”Il governo in questo senso non ha fatto niente!, ovvio che sono d’accordo ma il governo in questo da 1 a 10 è sottozero”
Sulla proposta di impedire che aziende straniere acquisiscano aziende italiane?…….

È qua inizia la rottura…..”…senta, nonostante il mio diploma trovo le vostre domande piuttosto capziose. Considerando l’operato del governo Letta trovo che state ponendo le domande in modo che le risposte esprimano il contrario del mio pensiero”……Interrompiamo…buongiorno click

Loris

martedì 12 novembre 2013

Larghe intese a palazzo Tursi usando “le donne”?


Sono iniziate le prove generali per il salto della quaglia.
Una Mozione, vergognosa per la sua strumentalità, è stata presentata dal consigliere Balleari (PDL) e Lodi (PD) : “Iniziative a sostegno della maternità”.
In un paese dove è disattesa l'applicazione della legge sull'interruzione di gravidanza, e dove l'obiezione di coscienza è stata troppe volte una ritorsione di chi praticava privatamente e illegalmente l'aborto, la presentazione di quell'ordine del giorno è una offesa alla dignità delle donne e alla loro libera e sofferta scelta nel momento in cui decidono di interrompere la gravidanza.
Su parere favorevole della Giunta PD e destra hanno votato compatti a favore mentre Lista Doria, SEL e Federazione della Sinistra che sono in maggioranza hanno votato contro insieme al M5S.
Più che l'effettiva incidenza della mozione che subordina ad una “compatibilità di bilancio” risulta evidente il segnale inviato in prossimità della discussione sulla vendita di quote delle società partecipate (privatizzazioni) e il pressing per l'avvio della grande opera inutile per Genova della Gronda di Ponente.

Forse, anche per questa ragione la mozione diventa ancor di più uno schiaffo dato alle donne e alla loro dignità. Un vero successo della Giunta e del PD.
Loris

venerdì 8 novembre 2013

Quando si perde la cultura dell'indivisibilità dei diritti

Mancava l'esternazione del venditore di pentole fiorentino e la lotteria su chi la spara meglio per acquisire visibilità o guadagnarsi qualche citazione è pressoché completa.
Il caso “Cancellieri – Ligresti” è stato in tutti questi giorni sbandierato come elemento “di favore personale” e spesso è stato portato a confronto inopportunamente con casi il cui esito è stato sicuramente tragico.
Significativi e ammirevoli infatti risultano gli interventi della madre di Federico Aldrovandi e la sorella di Stefano Cucchi, che da famigliari coinvolti realmente in vicende giudiziarie, non chiedono ritorsioni o vendette personali ma il rispetto di quelle regole che guardino ai detenuti come cittadini a cui è limitata la libertà ma mantengono tuttavia tutti quei diritti che salvaguardano la dignità e integrità personale.
A sinistra il concetto di “indivisibilità dei diritti” è fondamentale nel momento in cui, i diversi, i diseredati, i senza voce sono realtà concrete e non mere ipotesi sociali e/o politiche. L'indivisibilità dei diritti ci ricorda che non possono essere applicate scale di valori a secondo della rilevanza sociale dei soggetti a cui fare riferimento, e , la determinazione che dobbiamo avere è che la stessa attenzione che c'è stata nei confronti della detenuta Ligresti debba esserci nei confronti della anonima detenuta tossicodipendente, o extracomunitaria o rom.
A sinistra sento sempre meno parlare di rispetto delle regole e sempre più vedo inseguire moti di “pancia” populisti, spesso xenofobi e con una grande componente di antipolitica.


Proprio una certa mancanza di attenzione per il “rispetto delle regole” ha opacizzato quello che a mio parere era non un “favoritismo” ma un vero e proprio “conflitto di interesse” che coinvolgeva il Ministro Cancellieri e suo figlio ex dirigente Fonsai (direttore). Legittimo o meno, in questo caso l'opportunità diceva che la Ministro Cancellieri avrebbe dovuto rassegnare le dimissioni o quanto meno qualcuno chiederglile.

In un Paese in cui gli attori politici sono suonatori di piano bar, comici neanche dei migliori e concorrenti della ruota della fortuna, la cultura del "senso dello Stato" diventa inevitabilmente quasi una bestemmia. Cosa rammarica è quando è a sinistra che si perdono riferimenti granitici come quella "questione morale" che travalicava le appartenenze per dare un senso compiuto a quel concetto di "essere Stato" per salvaguardarne una corretta crescita.
Loris

sabato 2 novembre 2013

Cos'è questo golpe? Io so - Pier Paolo Pasolini

Nella notte tra l'1 e 2 novembre del 1975 sul litorale di Ostia, veniva assassinato Pier Paolo Pasolini.
Con Lui scompare una delle più brillanti figure di intellettuale del 900 italiano. Interprete attento e senza sconti per nessuno nelle sue analisi e nei suoi giudizi.
Non è un caso che la sua morte rientri in quei casi italiani dai molti dubbi, dalle soluzioni troppo facili e troppo lacunose. 
Pochi mesi prima per il corriere della sera Pasolini aveva scritto il seguente pezzo:


Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del "referendum".
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio "progetto di romanzo", sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il '68 non è poi così difficile.
Tale verità - lo si sente con assoluta precisione - sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio. Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro all'editoriale del "Corriere della Sera", del 1° novembre 1974.
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi.
Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed indizi.
Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi.
Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia. 
All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici.
Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al "tradimento dei chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere.
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.
È certo che in questo momento la presenza di un grande partito all'opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza dell'Italia e delle sue povere istituzioni democratiche.
Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico. In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso in senso autenticamente unitario - in un compatto "insieme" di dirigenti, base e votanti - e il resto dell'Italia, si è aperto un baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto un "Paese separato", un'isola. Ed è proprio per questo che esso può oggi avere rapporti stretti come non mai col potere effettivo, corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici, quasi da nazione a nazione. In realtà le due morali sono incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro totalità. È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel "compromesso", realistico, che forse salverebbe l'Italia dal completo sfacelo: "compromesso" che sarebbe però in realtà una "alleanza" tra due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno nell'altro.
Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo.
La divisione del Paese in due Paesi, uno affondato fino al collo nella degradazione e nella degenerazione, l'altro intatto e non compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività.
Inoltre, concepita così come io l'ho qui delineata, credo oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l'opposizione si identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere.
Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch'essi come uomini di potere.
Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci riguarda, anch'essi hanno deferito all'intellettuale un mandato stabilito da loro. E, se l'intellettuale viene meno a questo mandato - puramente morale e ideologico - ecco che è, con somma soddisfazione di tutti, un traditore.
Ora, perché neanche gli uomini politici dell'opposizione, se hanno - come probabilmente hanno - prove o almeno indizi, non fanno i nomi dei responsabili reali, cioè politici, dei comici golpe e delle spaventose stragi di questi anni? È semplice: essi non li fanno nella misura in cui distinguono - a differenza di quanto farebbe un intellettuale - verità politica da pratica politica. E quindi, naturalmente, neanch'essi mettono al corrente di prove e indizi l'intellettuale non funzionario: non se lo sognano nemmeno, com'è del resto normale, data l'oggettiva situazione di fatto.
L'intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di intervento.
Lo so bene che non è il caso - in questo particolare momento della storia italiana - di fare pubblicamente una mozione di sfiducia contro l'intera classe politica. Non è diplomatico, non è opportuno. Ma queste categorie della politica, non della verità politica: quella che - quando può e come può - l'impotente intellettuale è tenuto a servire.
Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro l'intera classe politica italiana.
E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi "formali" della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei partiti. E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è quella di un comunista.
Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi.
Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo "diplomaticamente" di concedere a un'altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato.
Pier Paolo Pasolini

Corriere della sera 14 novembre 1974

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