il problema attuale non è più la lotta della democrazia contro il fascismo ma quello del fascismo nella democrazia (G. Galletta)

Amicus Plato, sed magis amica veritas



domenica 28 dicembre 2014

“Voi ci uccidete, ma noi non morremo mai” urlò Gelindo di fronte al plotone d’esecuzione…





“Avevo 4 mucche, e adesso sono 54 capi di bestiame, con la produzione del grano che è salita a 5 volte quella del ’35. Eravamo mezzadri, pieni di debiti, e adesso abbiamo ancora debiti da scontare per 30 anni, ma il fondo è dei nipoti e delle nuore (…) in più abbiamo dato sette vite alla Patria. Se c’è bisogno di dare ancora la vita, i Cervi sono pronti, e qualcuno pure sopravviverà, e rimetterà tutto in piedi, meglio di prima. Ecco perché non ci fermeranno più” (Alcide Cervi)

Il 28 Dicembre 1943 al poligono di tiro di Reggio Emilia venivano fucilati i sette fratelli Cervi per rappresaglia.
Il significato nella storia del nostro Paese di questo ulteriore crimine fascista, assume un valore particolare per ciò che la famiglia Cervi rappresentava nella realtà contadina Emiliana e di fatto in quella di tutto un paese ancora legato a quel tipo di cultura.
Passarono dalla mezzadria ad essere affittuari e quindi liberi di decidere cosa e come coltivare la terra, rimanendo comunque sempre legati a quel sistema contadino della cooperazione e delle leghe contadine in quanto solo “assieme” era possibile emancipare se stessi emancipando anche gli altri. Cultura del Lavoro che inesorabilmente si accompagnava alla cultura socialista, la dove il Lavoro significava emancipazione.
Paradigmatico è l’episodio Di Aldo Cervi che sul trattore acquistato per modernizzare il lavoro nei campi porta il mappamondo, a significare che serve guardare fuori del proprio campo per poter migliorare le condizioni di lavoro e di vita.
La scelta antifascista è quindi naturale, intrinseca nella storia della famiglia stessa. Alla caduta del fascismo il 25 luglio i Cervi distribuiscono pasta in piazza per festeggiare e, dopo l’8 settembre, la cascina Cervi diventerà rifugio per sbandati, partigiani e prigionieri sfuggiti ai nazifascisti.
Verso la fine di novembre un rastrellamento, probabilmente una delazione, i sette fratelli e Alcide Cervi vengono catturati insieme a dei fuggiaschi russi e ad altri antifascisti.
Torturati e separati dal padre saranno uccisi la mattina del 28 dicembre.

“Abbiamo dato asilo ai perseguitati, da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, abbiamo conservato i figli alle madri, gli uomini alle spose. Abbiamo predicato la giustizia contro i prepotenti fascisti e ladri, contro i ricchi carnivori di fatica e di sangue” (Alcide Cervi)



l'Italia è una Repubblica Democratica fondata sul Lavoro
...e quel concetto di Lavoro, molto chiaro alla famiglia Cervi ancor prima che fosse sancito sulla nostra Costituzione, non può essere disatteso da nessun governo.

Loris

Link utili : i miei sette figli

giovedì 25 dicembre 2014

Auguri Antifascisti



…All’uscita della messa di Natale del 1943 , in frazione Curenna, sui monti a ridosso tra Albenga e Imperia un gruppo di Partigiani guidati dal Comandante Felice Cascione salutarono i contadini e montanari che si erano recati alla funzione, intonando per la prima volta un canto che raccontava la vita dei Partigiani, le loro aspirazioni, le loro emozioni.
Quell’inusuale canto di Natale era stato scritto dal comandante Cascione  (Megu) stesso, sulle note di un celebre canto russo. 
Cascione sarebbe caduto sotto il fuoco fascista poche settimane più tardi, ma quella canzone di fatto rappresentò un testamento politico del movimento Partigiano.

« Fischia il vento e infuria la bufera
scarpe rotte e pur bisogna andar
a conquistare la rossa primavera
dove sorge il sol dell'avvenir »



Auguri a tutti gli antifascisti, auguri a tutti coloro che oggi continuano a difendere quei "diritti" che il sacrificio di Cascione e di tanti altri giovani come Lui ci hanno lasciato in custodia affinchè li possiamo a nostra volta trasmettere alle generazioni future. Custodiamo, rispettiamo e salvaguardiamo la Nostra Costituzione

Loris

Se ne parla anche : fischia il vento - felice cascione e il canto dei ribelli 

domenica 16 novembre 2014

Alluvioni e politica : da dove si riparte?


Gli eventi di ieri in Liguria credo che impongano più di una riflessione. Mai, credo, ci siamo sentiti così fragili e rassegnati all'evolversi dei capricci degli Dei falsi e bugiardi.
A sera resta la lettura del bollettino di guerra che parla di un morto, di sfollati, di famiglie isolate di miriadi di smottamenti e frane, nonché della paura che resta nei confronti di rivi e torrenti dal comportamento imprevedibile.
Se la pioggia c'é sempre stata nella storia dell'umanità, compresi gli eventi alluvionali, è anche vero che l'uomo ha imparato la convivenza con questi eventi curando argini e rispettando le aree in cui le acque sfogavano la loro irruenza.

Da un po troppi anni in virtù di una cultura “sviluppista” si è preteso di costruire in modo indiscriminato su un territorio sicuramente difficile come quello Ligure, tombando, deviando ma soprattutto impermeabilizzando con colate di cemento praticamente pressoché tutto il territorio regionale.
L'effetto di questa politica sono che in presenza di eventi a volte eccezionali, ma in virtù anche delle evidenti mutazioni climatiche, sempre più frequenti, il territorio Ligure reagisce con immancabili disastri con conseguente conta dei danni e purtroppo anche di vite umane.

E' evidente che questo sistema non regge più.

La risposta viene affidata alla politica, perché è la politica che determina come rapportarsi col territorio: se spremerlo come un limone sino alle estreme conseguenze o se, considerando che è un bene comune, risanarlo e utilizzarlo rispettosi delle sue dinamiche e delle sue esigenze.
La politica delle “Grandi opere” e della cementificazione selvaggia ha miseramente fallito e sicuramente serve un cambio di passo, una inversione di tendenza se l'obbiettivo è quello di restituire alle generazioni future un territorio in cui vivere, crescere, studiare e lavorare in sicurezza.

Nei giorni scorsi la novità che si è presentata nel quadro politico ligure è la candidatura di Sergio Cofferati. Novità in quanto dalle sue dichiarazioni la Liguria è in una situazione emergenziale a cui vanno date risposte che chi ha governato sino ad ora è impossibilitato a dare, risposte che ci riportino a “sicurezze” che oggi non ci sono evidentemente più.
Non essendo contenute all'interno di un “programma politico” le considerazioni di Cofferati restano sul piano delle enunciazioni che, per quanto significative, restano al momento attuale prive dei contenuti specifici sui quali confrontarsi, sui quali dissentire o condividere.

Penso che oggi esprimerci nei confronti di questa candidatura in termini di tifoseria, favorevoli o contrari, sarebbe un cattivo servizio al territorio al quale teniamo e a cui vorremmo dare un futuro diverso dal presente attuale, e, credo che ad oggi, la candidatura Cofferati possa rappresentare una risorsa nel momento in cui dipanati i contenuti, la visione futura possa indirizzarsi al riassetto idrogeologico, la messa in sicurezza e il rilancio del lavoro su tutto il territorio Ligure. Un patto sul territorio.


Questi sono gli elementi su cui oggi abbiamo il potere di ragionare e che come “Sinistra” dobbiamo avere il coraggio di affrontare “laicamente” senza preconcetti e senza interessate accondiscendenze.
Loris

venerdì 17 ottobre 2014

Quegli schizzi di fango...dettati dal partito del cemento



Ad oggi non esiste nessuna candidatura Sansa per le Regionali.
Sicuramente il gerundio presente (Burlando) in maniera preventiva cerca di spianare il campo spruzzando fango a possibili concorrenti alla candidata Raffaella Paita designata alla successione dell'attuale governatore.
L'ignobile attacco all'ex sindaco di Genova Adriano Sansa, addossandogli responsabilità sulla mancata realizzazione dello scolmatore del Fareggiano e conseguentemente la responsabilità delle vittime causate dalla sua esondazione è la coda di paglia di chi ha governato una regione cementificando selvaggiamente prediligendo le "grandi opere" a discapito delle tante "piccole opere" atte a risanare il territorio e a mettere in sicurezza rivi e torrenti in modo sistematico.
Non a caso l'amministrazione Sansa è ricordata come una esperienza non piegata ai "poteri forti" e ai condizionamenti di quello che allora era il precursore del PD, ne a quelle di autentici venti di cementificazioni di quando soffia il "Maestrale" , intesa come quella fondazione alla quale partecipano sia Burlando che Scajola. 
Sull'eventualità poi di una eventuale candidatura di Ferruccio Sansa penso sarebbe una ventata di novità ma con radici profonde non intaccabile dagli schizzi di fango da qualunque parte provengano.

martedì 22 luglio 2014

FISCHIA IL VENTO – Felice Cascione e il canto dei Ribelli

 
FISCHIA IL VENTO:layout… Un sapiente doppio binario viene percorso, da Donatella Alfonso nel suo libro “FISCHIA IL VENTO – Felice Cascione e il canto dei Ribelli” : uno che percorre la parte aneddottica legata al canto Partigiano l'altro legato all'autore di quelle parole “Felice Cascione” prima figlio, poi studente, sportivo, medico e comandante Partigiano.
Se viene accostato alla figura di “Che Guevara” per le peculiarità di essere medico per tutti, soprattutto per chi in quegli anni il medico non se lo poteva permettere e nel contempo comandante partigiano, ho sentito molto l'accostamento tra i due in quel valore che è la coerenza, nel momento delle scelte di vita, sino alle estreme conseguenze.
L'aver descritto, attraverso il rapporto con la madre, un percorso formativo di integrità morale e politica, rende la figura di Felice Cascione un autentico esempio di quella gioventù che seppe scegliere con risolutezza da quale parte bisognava stare, per affermare quei valori di libertà e giustizia di cui era privata l'Italia.
Risulta quindi più semplice interpretare le parole e il contenuto della canzone partigiana “Fischia il vento”, con le condizioni di vita ambientali vissute dai giovani partigiani, e con le loro aspettative, dopo aver vinto contro il fascismo (a conquistare la rossa primavera) .
E' la notte di Natale del 43 quando viene cantata per la prima volta all'uscita della messa di mezzanotte nella frazione di Curenna nell'estremo ponente ligure, e ad ascoltarla c'erano quegli stessi contadini e boscaioli che sostenevano i partigiani .
Il testo subirà durante la sua diffusione adattamenti a secondo delle zone e della collocazione politica delle diverse formazioni partigiane, trovando nella madre di Felice, Maria Baiardo, una ferma difenditrice, anche dopo la fine della guerra, dello spirito e contenuto espresso nel testo originario del figlio.
Sono trascorsi settant'anni dalla morte di Cascione, la Resistenza ha vinto, è stata scritta una Costituzione che si rifaceva ai valori della Resistenza ed oggi ci ritroviamo di fronte al tentativo di riscrivere quel patto tra Stato e cittadini, incuranti di chi diede tutto affinché fossimo in grado di scegliere.
Non nascondo che nella lettura è insorto spesso un senso di fastidio e rabbia considerando quanto lontani siamo nella nostra quotidianità politica da quelle aspettative che per molti di quei ragazzi significò la morte e risulta pertanto inaccettabile ogni forma di revisionismo di quella storia.
 Loris

lunedì 30 giugno 2014

“Signore Presidente vi voglio scrivere questa lettera, che può essere che leggerete se ne avrete il tempo…”


(ANSA) - ROMA, 26 GIU - "Giorgio Almirante è stata espressione di una generazione di leader di partito che, pur da posizioni ideologiche profondamente diverse, hanno saputo confrontarsi mantenendo reciproco rispetto, a dimostrazione di un superiore senso dello Stato che ancora oggi rappresenta un esempio".


Genova 30 giugno


“Signore Presidente vi voglio scrivere questa lettera, che può essere che leggerete se ne avrete il tempo…”**
…Gli uomini col senso dello Stato che non ho potuto conoscere per ragioni anagrafiche sono coloro che al bando firmato da Almirante fecero la scelta, per dignità , di opporsi, guadagnandosi la qualifica di disertori.
Sono i ragazzi della Benedicta, del Turchino… di tutti quei luoghi che hanno bevuto il sangue della meglio gioventù che un Paese poteva sperare: i Cascione, i Pieragostini, gli Alpron i Fillak le Cecilie Doganutti, le Irma Bandiera. I loro nomi sono scolpiti nelle lapidi di tutta Italia sino ad arrivare alla quota orribile di 45 mila.
Un numero talmente elevato da non poter essere citati come meriterebbero uno ad uno per rendergli un doveroso omaggio.
In Loro nome e per non vanificare il Loro sacrificio il 30 giugno del 1960 altri uomini di con il senso dello Stato, anonimi, insorsero per non consentire lo svolgimento a Genova del congresso dell’MSI, il partito di Almirante.
Se oggi, considerati col senso dello Stato vengono definiti coloro che erano “dall’altra parte” evidentemente qualcosa nella scala dei valori non torna. Non torna quando un delinquente diventa interlocutore politico per modificare la Carta Costituzionale nata dalla Resistenza, o quando si danno accelerazioni alla modifica rabberciata di quel patto fondante dello Stato Repubblicano.
Se, avessero vinto gli Almirante, avrebbe vinto la cultura delle leggi razziali, della soppressione degli avversari politici, la soppressione delle libertà individuali. Forse Lei non sarebbe diventato Presidente eletto da un Parlamento Democratico (pur nelle contraddizioni).
Arriva un momento in cui le scelte da che parte stare non possono essere eluse : io sto dalla parte di quei disertori che divennero Partigiani, che fecero la Resistenza e che pagarono per questo un elevato contributo di sangue .
Uno Stato dove Almirante è considerato uomo col senso dello Stato non può essere il mio Stato.
Loris 

**"Monsieur le Président Je vous fais une lettre. Que vous lirez peut-être. Si vous avez le temps" (Boris Vian)

mercoledì 25 giugno 2014

Prandelli e l'art.49 della Costituzione Repubblicana


"Nel momento in cui ho rinnovato è cambiato qualcosa — aggiunge l’ormai ex c.t. —. Non so perché, ma siamo stati considerati come un partito politico, quando sappiamo che la federazione non prende esclusivamente i soldi dallo stato. Io non rubo i soldi dei contribuenti, mi prendo però le responsabilità tecniche di quanto è successo qui." (conferenza stampa 24-06-2014)

Costituzione della Repubblica Italiana
Art. 49 
Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con 
metodo democratico a determinare la politica nazionale
***

...Ho ascoltato allibito la conferenza stampa dell' ex c.t. della nazionale di calcio Cesare Prandelli, quando si è addentrato in una comparazione tra la nazionale di calcio e i "partiti".
Evidentemente da "autorevole" esponente da sempre "nel pallone" ha scarsa dimestichezza con la nostra Carta Costituzionale che  assegna ai partiti il ruolo all'interno dello Stato Democratico di rappresentanza e mediazione tra Cittadini e Stato.
Avrei potuto comprendere maggiormente se avesse citato per nome e cognome uno o più partiti, ma per fare questo ci vogliono le palle.
...Meglio che sia terminata così l'avventura brasiliana, in caso di vittoria avremmo potuto assistere ad una ennesima ingiuria per il nostro Stato con un ct ed una squadra omaggiati dal Capo dello Stato pur essendo portatori di una cultura e concetti indice di profonda ignoraza. C'è bastata la presenza per consultazioni di un noto delinquente qualche mese fa.
Viene richiesto per gli immigrati nel nostro Paese il test della lingua, sarebbe opportuno che per chi a vario titolo rappresenta l'Italia nel mondo il test fosse sulla conoscenza e il valore della nostra Costituzione.
Loris

mercoledì 11 giugno 2014

11 giugno 1984 Ci manchi



non credo sia necessario aggiungere altro alle due fotografie: la dignità di un uomo e il dolore di un Popolo

«E ora compagne e compagni, vi invito a impegnarvi tutti, in questi pochi giorni che ci separano dal voto, con lo slancio che sempre i comunisti hanno dimostrato nei momenti cruciali. Lavorate tutti, casa per casa, azienda per azienda, strada per strada, dialogando con i cittadini, con la fiducia per le battaglie che abbiamo fatto, per le proposte che presentiamo, per quello che siamo stati e siamo… è possibile conquistare nuovi e più vasti consensi alle nostre liste, alla nostra causa, che è la causa della pace, della libertà, del lavoro, del progresso della nostra civiltà»
Padova 7 giugno 1984

venerdì 2 maggio 2014

Da dove vengono gli 80 euro di Renzi


La copertura degli 80 euro ce la mettono i precari.
Banalmente ma inesorabilmente quel bonus di 80 euro destinato a una parte di lavoratori lo sborseranno quelli che come me il lavoro lo hanno precario e generosamente definito atipico.
Ad oggi  ogni centesimo che andrà a coprire la cifra degli 80 euro e che verrà prelevato dai servizi, sanità per prima, vorrà dire prelevarla come mancato servizio o come rincaro del servizio, a quelle centinaia di migliaia di partite iva o a tutte quelle figure contrattuali che fanno riferimento alla “gestione cassa separata dell’INPS”.
Oltre a continuare ed alimentare la precarizzazione del lavoro si colpisce quindi chi è già debole e paga il prezzo più alto della crisi in atto.
Al coraggio di una vera patrimoniale che colpisca chi ha accumulato senza investire nel futuro di questo nostro Paese, si preferisce la vigliaccata del prelievo indiscriminato attraverso i tagli dei servizi.
Vogliamo lavoro e che non sia precario. Vogliamo che sia data piena attuazione alla nostra Costituzione e non che sia stravolta affidando il tutto a "la ruota della fortuna" . Vogliamo che le riforme istituzionali non vengano concordate con un delinquente!
Loris



mercoledì 30 aprile 2014

Buon Primo Maggio


PRINCIPI FONDAMENTALI
Art. 1

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.


La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
...

Non è una giornata di festa, ma una giornata di lotta. Lotta per chi il lavoro l'ha e rivendica condizioni migliori, e di lotta per chi il lavoro non ce l'ha e vede disatteso dallo stesso Stato, forse l'articolo più importante della Nostra Costituzione. in cui si dice che il nostro Stato è fondato sul lavoro.
Era di lotta quando a Portella delle Ginestre cercarono attraverso le congiure mafiose di impedire le rivendicazioni contadine sulla terra, sparando sugli inermi cittadini, ed è di lotta in tutti quegli anni di diritti offesi e negati dove solo la lotta ha portato dignità la dove la dignità era negata.

Buon primo maggio

 galleria di immagini
galleria di immagini

venerdì 25 aprile 2014

BUON 25 APRILE

(Clicca sull'immagine per accedere alle diapositive)

... E 'l'odore del Lavoro Quello Che SI Sente Attraversando le officine. Quello dell'articolo 1 della Nostra Costituzione, quello delle deportazioni dei lavoratori Che Hanno difeso il Loro e Nostro Posto di Lavoro Venire "Bene Comune" per le GENERAZIONI Che sarebbero venute.
Una Resistenza Quotidiana ONU Difesa della Dignità di ONU Intero popolo.

BUON 25 APRILE


martedì 15 aprile 2014

“Un vincitore è un sognatore che non ha mai smesso di sognare. Vittorio Arrigoni. Un vincitore.”

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…sono passati tre anni dal pomeriggio del 14 aprile 2011 quando fece irruzione nelle nostre menti e nei nostri cuori la notizia del rapimento di Vittorio Arrigoni. A tre anni di distanza però quel sentimento di smarrimento e di incredulità rimane invariato, come se fosse oggi che ci viene portato via un compagno, un riferimento, un amico. Quelle ore passate davanti al pc facendo rimbalzare ogni barlume di notizia che riguardasse Vittorio. Una telefonata a Luisa Morgantini in partenza in quelle ore per la Palestina, l’appello del mondo dell’associazionismo e i singoli. Una mail che purtroppo è andata perduta di Haidi Gaggio Giuliani  in cui manifestava la sua preoccupazione con una sinteticità e profondità che solo una “madre”può esternare. Il tutto continuando a pestare i tasti nella consapevolezza che in quel momento l’unica cosa che aveva senso era sollevare  da ogni parte del mondo un urlo che voleva nuovamente Vittorio libero. Intorno alle due di notte infine la notizia che non avremmo mai voluto ricevere…. “Lo hanno ucciso”. Dopo……le lacrime, e ti accorgi che non è cambiato niente da quella notte perché quelle si ripresentano anche oggi. Vittorio, ci manchi Loris
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  da una mail di quella notte oggetto “lo hanno ucciso” alle 02.48
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Luisa Morgantini Scrive:che la terra ti sia lieve Vittorio.E' un baratro ma continuiamoLuisa Morgantini
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risponde Patrizia Sentinelli:E' una cosa terribile! Ancora un morto sulla strada della pace. E' un colpo per il popolo palestinese e per tutti coloro che si battono per la libertà e i diritti. Sento il peso della morte ingiusta, inumana. ma tutti insieme dobbiamo continuare a lottare.Stringiamoci nel cordoglio e nella denuncia dell'orrore. Patrizia Sentinelli.
E’ stato scritto 14 aprile Appello alla liberazione
e il giorno 15 aprile  Vittorio Arrigoni…e ti ricordo così
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lunedì 14 aprile 2014

25 Aprile, Ricordo, Memoria, Cultura

me…Pochi giorni al 25 aprile, celebrazioni, corone ai sacrari, ricordo di stragi. Il ricordo è una manifestazione puramente personale, individuale. La memoria invece è il frutto di un ricordo collettivo e di una elaborazione condivisa che va a incidere sulla morale, sull’etica in quanto morale condivisa e conseguentemente su quelli che sono i nostri rapporti quotidiani tra persone, comunità e istituzioni.
Soffermarsi quindi sui ricordi collettivi di cosa fu la Resistenza non è un esercizio nostalgico di chi ha avuto parenti amici o conoscenti coinvolti in quella vicenda, ma è la consapevolezza di ciò che siamo oggi, nel nostro ruolo di “singoli” inseriti in tutti quei contesti di comunità che sono la famiglia, la scuola, il lavoro.. …. lo Stato.
Il confine tra civiltà e barbarie è molto più labile di quello che vorremmo pensare e gli esempi non mancano, dalle pulizie etniche dell’ex Jugoslavia ai genocidi in Africa o alle persecuzioni da parte degli integralisti religiosi in varie parti del mondo.
Per queste ragioni non mi stancherò di ricordare e rendere omaggio a chi ha sacrificato parte di se stesso, spesso la vita, per poterci consentire, percorrendo la linea di confine tra civiltà e barbarie, di poter essere per la civiltà, e, come genitore di poter educare mio figlio a quei valori che consentono oggi di poterci esprimere liberamente.
A pochi mesi dalla fine del conflitto, nel 45,  Elio Vittorini proponeva una grande riflessione che ritengo a quasi settant’anni di distanza assolutamente ancora attuale. Un utile strumento per chi oggi pensa che sono cose del passato e che non ci appartengono più.
Loris

Elio_VittoriniUNA NUOVA CULTURA
Non più una cultura che consoli nelle sofferenze ma una cultu­ra che protegga dalle sofferenze, che le combatta e le elimini
Per un pezzo sarà difficile dire se qualcuno o qualcosa abbia vinto in questa guerra. Ma certo vi è tanto che ha perduto, e che si vede come abbia perduto. I morti, se li contiamo, sono più di bambini che. di soldati; le macerie sono di città che avevano venticinque secoli di vita; di case e di biblioteche, di monumenti, di cattedrali, di tutte le forme per le quali è passato il progresso civile dell’uomo; e i campi su cui si è sparso più sangue si chiamano Mauthausen, Maidanek, Buchenwald, Dakau. Di chi è la sconfitta più grave in tutto questo che è accaduto? Vi era bene qualcosa che, attraverso i secoli, ci aveva insegnato a considerare sacra l’esistenza dei bambini. Anche di ogni conquista civile dell’uomo ci aveva insegnato ch’era sacra; lo stesso del pane; lo stesso del lavoro. E se ora milioni di bambini sono stati uccisi, se tanto che era sacro è stato lo stesso colpito e distrutto, la sconfitta è anzitutto di questa «cosa» che c’insegnava la inviolabilità loro. Non è anzi­tutto di questa «cosa» che c’insegnava l’inviolabilità loro? Questa «cosa », voglio subito dirlo, non è altro che la cultura; lei che è stata pensiero greco, ellenismo, romanesimo, cristianesimo la­tino, cristianesimo medioevale,. umanesimo, riforma, illuminismo, libe­ralismo, ecc., e che oggi fa massa intorno ai nomi di Thomas Mann e Benedetto Croce, Benda, Huitzinga, Dewey, Maritain, Bernanos e Unamuno, Un Yutang e Santayana, Valéry, Gide e Berdiaev. Non vi è delitto commesso dal fascismo che questa cultura non avesse insegnato ad esecrare già da tempo. E se il fascismo ha avuto modo di commettere tutti i delitti che questa cultura aveva insegnato ad esecrare già da tempo, non dobbiamo chiedere proprio a questa cultura come e perché il fascismo ha potuto commetterli? Dubito che un paladino di questa cultura, alla quale anche noi apparteniamo, possa darci una risposta diversa da quella che pos­siamo darci noi stessi: e non riconoscere con noi che l’insegnamento di questa cultura non ha avuto che scarsa, forse nessuna, influenza civile sugli uomini. Pure, ripetiamo, c’è Platone in questa cultura. E c’è Cristo. Dico: c’è Cristo. Non ha avuto che scarsa influenza Gesù Cristo? Tutt’altro. Egli molta ne ha avuta. Ma è stata influenza, la sua, e di tutta la cultura fino ad oggi, che ha generato mutamenti quasi solo nell'intel­letto degli uomini, che ha generato e rigenerato dunque se stessa, e mai, o quasi mai, rigenerato, dentro: alle possibilità di fare, anche l'uomo. Pensiero greco, pensiero latino, pensiero cristiano di ogni tempo, sembra non abbiano dato agli uomini che il modo di travestire e giustificare, o addirittura di render tecnica, la barbarie dei fatti loro. E qualità naturale della cultura di non poter influire sui fatti degli' uomini? lo lo nego. Se quasi mai (salvo in periodi isolati e oggi nel­l'U.R.S.S.) la cultura ha potuto influire sui fatti degli uomini dipende solo dal -modo in cui la cultura si è manifestata. Essa ha predicato, ha insegnato, ha elaborato princìpi e valori, ha scoperto continenti e costruito macchine, ma non si è identificata con la società, nOn ha governato con la società, non ha condotto eserciti per la società. Da che cosa la cultura trae motivo per elaborare i suoi princìpi e i suoi valori? Dallo spettacolo di ciò che l'uomo soffre nella società. L'uomo ha sofferto nella società, l'uomo soffre. E che cosa fa la cultura per l'uomo che soffre? Cerca di consolarlo. Per questo suo modo di consolatrice in cui si è manifestata fino ad oggi, la cultura non ha potuto impedire gli orrori del fascismo. Nessuna forza sociale era «sua» in Italia o in Germania per impe­dire l'avvento al potere del fascismo, né erano «suoi» i cannoni, gli aeroplani, i carri armati che avrebbero potuto impedire l'avventura d'Etiopia, l'intervento fascista in Spagna, 1'« Anschluss» o il patto di Monaco. Ma di chi se non di lei stessa è la colpa che le forze sociali non siano forze della cultura, e i cannoni, gli aeroplani, i carri armati non siano «suoi»? La società non è cultura perché la cultura non è società. E la cultura non è soçietà perché ha in sé l'eterna rinuncia del «dare a Cesare» e perché i suoi princìpi sono soltanto consolatori, perché non sono tempestivamente rinnovatori ed efficacemente attuali, vi­venti con la società stessa come la società stessa vive. Potremo mai avere una cultura che "'Sappia proteggere l'uomo dalle sofferenze invece di limitarsi a consolarlo? Una cultura che le impedisca, che le scon­giuri, che aiuti a eliminare lo sfruttamento e la schiavitù, e a vincere il bisogno, questa è la cultura in cui occorre che si trasformi tutta la vecchia cultura. La cultura italiana è stata particolarmente provata nelle sue illusioni. Non vi è forse nessuno in Italia che ignori che cosa significhi la mortificazione dell'impotenza o un astratto furore. Continueremo, ciò malgrado, a seguire la strada che ancora oggi ci indicano i Thomas Mann e i Benedetto Croce? lo mi rivolgo a tutti gli intellettuali ita­liani che hanno conosciuto il fascismo. Non ai marxisti soltanto, ma anche agli idealisti, anche ai cattolici, anche ai mistici. Vi sono ragioni dell'idealismo o del cattolicesimo che si oppongono alla trasformazione della cultura in una cultura capace di lottare contro la fame e le sofferenze? Occuparsi del pane e del lavoro è ancora occuparsi dell'« anima ». Mentre non volere occuparsi che dell'« anima» lasciando a «Cesare» di occuparsi come gli fa comodo del pane e del lavoro, è limitarsi ad avere una funzione intellettuale e dar modo a «Cesare» (o a Done­gani, a Pirelli, a Valletta) di avere una funzione di dominio «sull'ani­ma» dell'uomo. Può il tentativo di far sorgere una nuova cultura che sia di difesa e non più di consolazione dell'uomo, interessare gli idealisti e i cattolici, meno di quanto interessi noi?
ELIO VITTORINI
(Il Politecnico n. 1, 29 settembre 1945)

venerdì 4 aprile 2014

Benedicta 70′anni dopo

Tra le forze partigiane liguri che alla fine del marzo 1944 rendevano insicure ai tedeschi le vie di comunicazione con la valle del Po vi era la terza Brigata «Liguria» e il gruppo «Odino». Il comando tedesco di Alessandria ebbe l'incarico di dirigere e coordinare, in stretta collaborazione con quelli di Genova, Acqui e Ovada, un grande rastrellamento della zona affidato ad un'intera divisione tedesca (ventimila uomini) con aliquote di artiglieria, autoblinde, lanciafiamme ed aerei; ad essa si aggregarono reparti della GNR e delle forze armate di Salò. . All'alba del 6 aprile le forze nazifasciste si pongono in moto e le colonne sviluppano un attacco concentrico che tende a rinserrare i partigiani in sacche senza via di uscita. La maggior parte dei distaccamenti della Brigata «Liguria», però, dopo alcuni tentativi di resistenza, riesce a filtrare attraverso lo schieramento nemico o ad occultarsi sul luogo, sottraendosi alla distruzione. Non così il gruppo «Odino». Esso aveva stabilito nei pressi di Voltaggio, in un vecchio monastero semidistrutto posto sulla Benedicta, un accantonamento di renitenti fra i quali vi era un centinaio di giovani completamente disarmati. Il mattino .del 7 aprile essi vengono sorpresi e catturati da due colonne di fascisti e di tedeschi. Oltre un centinaio di giovani sono fucilati sul luogo, a gruppi di cinque per volta, da un plotone di bersaglieri fascisti: il massacro dura fino a tarda sera. Novantasei corpi furono gettati la sera in fosse comuni, molti altri furono trovati insepolti sulla montagna i giorni seguenti. Altri tredici prigionieri furono fucilati a Masone e sedici a Voltaggio. Un ultimo gruppo, comprendente fra gli altri i comandanti «Odino» e il tenente Pestarino suo aiutante, trasportato a Genova, viene fucilato il 19 maggio al passo del Turchino per rappresaglia. Oltre duecento prigionieri vengono avviati ai campi di concentramento in Germania!'. Complessivamente i caduti tra partigiani e civili, assassinati sul posto, deportati e poi morti nei lager, furono 305.

Sulla vicenda della «Benedicta» c'è la testimonianza di Luigi Laggetta.


Alla prima chiamata alle armi della RSI risposi andando in montagna il 13 dicembre 1943 con il gruppo della Benedicta: In fabbrica avevo conosciuto operai che erano stati perseguitati dai fascisti e ciò mi aveva indirizzato verso l'antifascismo. Mi dicevano che eravamo sotto una dittatura instaurata da Mussolini nel 1922 dopo aver soppresso la democrazia.
Durante la guerra, ascoltavo «Radio Londra» in casa di un amico. Nel gennaio del 1942 commentammo il blocco dell'avanzata tedesca verso Mosca. In montagna fui mandato da Pietro Gabanizza del Partito d'Azione. Andai in montagna assieme ad un figlio della sua cuoca, di nome Walter Corsi, aggregandomi al primo distaccamento della Brigata «Liguria» sotto il monte Tobbio. Il gruppo era formato in maggioranza da comunisti; fra cui era Rino Mandorli che mi diede 11 nome di battaglia -Bob». Comandante del gruppo era Ercole Tosi «Ettore». Da 19 quanti eravamoall'inizio raggiungemmo il numero di 800 nei primi mesi del '44. Fra noi vi erano Giacomo Buranello «Pietro» ed Elio Scano.
Ogni sera Baranello ci faceva scuola di partito. Rino Mandorli «Sergio» aveva 32 anni ed era stato dieci anni in galera per attività antifascista: Con noi c'era anche Goffredo Villa «Ezio» [(1922-1944) medaglia d’argentodella Resistenza) Mandorli fu poi fucilato al passo del Turchino per rappresaglia. Si faceva-una gran fame e come azioni ne ho fatte ben poche. Arrivavano a frotte i giovani renitenti alla leva, in gran parte disarmati; eravamo 7-8 distaccamenti Ricordo che ci fu un lancio degli Alleati che ci procurò 60 Stern.
Nel rastrellamento all'alba del 6 aprile 1944, 96 di noi furono fucilati, mentre 59 vennero fucilati al Turchino per rappresaglia in seguito ad un attentato compiuto al cinema Odeon contro i tedeschi (ne morirono una dozzina). Dopo la rappresaglia venimmo a Genova. Con noi c'era Germano Jori; poi fucilato dai tedeschi. Facevamo azioni come GAP. In una di queste azioni avvenuta il 23 maggio 1944 fui ferito da un fascista e venni curato dalla partigiana Iolanda Cioncolini «Gigia», la quale aiutò moltissimi compagni e fu poi condannata a 25 anni di carcere e deportata a Bolzano, da dove fu liberata il 25 aprile del 1945. Tornato in montagna, subii i rastrellamenti dell'agosto e del dicembre 1944 e partecipai alla battaglia di Pertuso, in cui era comandante Aurelio Ferrando «Scrivia», e vice-comandante G. Battista Lazagna «Carlo».

Testo tratto da "Vite da Compagni" edizioni EDIESSE

Dopo i tragici fatti della Benedicta e del Turchino la Resistenza seppe reagire e, facendo tesoro anche degli errori commessi riuscì a serrare nuovamente le file e a pochi mesi da quella primavera si ricompose in quei luoghi quella che sarebbe stata riconosciuta come la Divisione Mingo. Fu tra i partigiani di quella divisione che prese forma una delle canzoni della Resistenza più significative e belle: I Ribelli della Montagna"
Loris


lunedì 24 marzo 2014

perchè antifascista


Di recente ho creato un gruppo facebook di carattere locale che si chiama "Sei di Sestri Ponente se..... sei antifascista, antirazzista, tollerante .." nato in risposta a quei gruppi locali che vietano la trattazione di tematiche politiche, sociali e a volte anche ambientali appellandosi ai ricordi.
Dopo pochi giorni ricevo su fb un messaggio privato da un certo Sergio (il cognome lo ometto per garantire la privacy) che mi scrive così:

"In merito al gruppo di cui lei è amministratore " sei di Sestri Ponente se sei antifascista ; antirazzista ; anti...bla...bla.." ; le faccio notare che si puo' essere Sestresi doc. ( come lo sono io ) senza essere dotati dei suffissi " anti " . Non sono antifascista orgogliosamente eppure son di Sestri Ponente !"

C'ho pensato su qualche ora e infine ho risposto così, privatamente e pubblicamente:

....La lista inizia con Alpron Sergio 34 anni fucilato a Savona di famiglia ebrea residente a Sestri.
Barigione Sergio, Benvenuto Alfredo, Bertoglio Antonio, Bianchi , Bigatti,….Oddone Giacomo e Oddone Giuseppe….Stanchi Dario e Stanchi Walter…per chiudersi al 101 elencato con Zucchelli Luigi .
…E’ l’elenco dei caduti sestresi ricordati nel sacrario del cimitero dei Pini Storti. A loro si sommano gli assassinati al Turchino, alla Benedica, a Portofino, a Cravasco…..purtroppo in tante altre parti della Liguria e d’Italia dove la ferocia sanguinaria fascista non ha lasciato dubbio su quale progetto sociale perseguisse.
L’esito finale ha dato ragione a chi quel regime l’ha combattuto in ogni dove e che piaccia o no furono restituiti gli strumenti che consentissero a tutti, nella legalità di esprimere le proprie opinioni senza il pericolo di essere soppressi vigliaccamente dallo Stato stesso senza doverne pagare le conseguenze come accadde durante tutto il regime fascista. Ho sottolineato che il primo della lista era di famiglia ebrea in quanto in quel folle e criminale progetto furono coinvolti 6 milioni di Ebrei, zingari, omosessuali, … era anche un regime razzista. 
Che lei signor “Sergio” rivendichi di non essere contro tutto questo a me personalmente fa solamente nascere la riflessione che se le regole che ci stavano prima avessero valore anche oggi non si potrebbe permettere non solo di esprimerle queste sue idee, ma neanche pensarle in quanto i fascisti erano troppo vigliacchi per ipotizzare di confrontarsi con gli altri.
Quando passa per piazza Baracca sul muro davanti all’edicola(*) legga quei nomi e li ringrazi anche se non la pensa come loro perché anche se la democrazia ha questi inconvenienti , quei ragazzi sono morti per consentire anche a gente come lei di esprimere il suo pensiero.
Il suo orgoglio se lo conservi per qualcosa di più pregevole
Senza alcuna stima 
Loris Viari

gruppo fb Sei di Sestri Ponente se..... sei antifascista, antirazzista, tollerante
la foto fa riferimento all'inaugurazione del sacrario ai caduti Sestresi nella Resistenza (1950)

lunedì 17 marzo 2014

Primo, la riforma della politica


Primo, la riforma della politica

Il 12 marzo il Comitato nazionale dell'Anpi ha diffuso il seguente documento politico.

Considerata la situazione complessiva del Paese e le gravi difficoltà che esso sta attraversando, che raggiungono addirittura il livello dell’emergenza sociale;

Ritenuto che anche sul piano delle istituzioni, esistono difficoltà e problemi che esigono interventi riformatori ponderati, in linea col sistema costituzionale vigente;

Considerato che vi è, nel Paese, molta discussione attorno alla legge elettorale ed alla necessaria differenziazione del lavoro delle Camere, ma ancora non si riesce a varare una legge elettorale che corrisponda agli interessi reali del Paese e non a quelli dei singoli partiti e si attenga alle indicazioni della Corte Costituzionale. Nello stesso tempo, non si riescono ancora ad intravvedere piani organici di risanamento e sviluppo dell’economia, di rilancio dell’occupazione e, in generale, delle condizioni di lavoro e di vita della maggior parte delle cittadine e dei cittadini italiani e soprattutto dei giovani;

Ribadito che il ruolo della politica e dei partiti è fondamentale per la stessa vita democratica del Paese; che peraltro è proprio su questo terreno che occorre operare una vera e profonda riforma, che restituisca alla politica, appunto, il ruolo che le spetta, in piena consonanza con gli interessi della collettività, e riconduca i partiti al compito loro affidato dalla Costituzione;
Considera questa riforma complessiva prioritaria rispetto ad ogni altra, rappresentando la condizione essenziale non solo per il miglior funzionamento delle istituzioni, ma anche per superare la frattura che da tempo si è creata con i cittadini;

Ritiene necessario precisare che:


per riforma della politica si deve intendere un mutamento radicale del modo di essere attuale dei partiti, dei comportamenti politici, nelle istituzioni e nella società, per restituire fiducia ai cittadini, ricondurre quelli che tuttora restano assenti, al voto, per ottenere la loro fattiva e convinta partecipazione al riscatto ed al rilancio del Paese;
occorre, insomma, tornare alla politica come l’avevano immaginata i Costituenti, quando scrissero articoli fondamentali come il 54 (dovere dei cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche di adempierle con disciplina e onore), il 97 (garanzia di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione pubblica), il 49 (che assegna ai partiti la funzione di concorrere in modo democratico a determinare la politica nazionale) e quanto delinearono una struttura complessiva delle istituzioni, fatta di pesi e contrappesi e di corretti rapporti tra Parlamento, Governo e organi di garanzia.
il risultato che ci si propone non si raggiunge solo col taglio delle spese e degli sprechi (pur assolutamente indispensabile), ma deriva soprattutto da cambiamenti radicali di prassi, di costume, di modi di essere dei partiti e dei singoli e da un impegno forte contro la corruzione diffusa, contro l’evasione fiscale, contro l’avanzata - sull’intero territorio - della criminalità organizzata. Soprattutto si ottiene solo con una forte riaffermazione dell’etica nella politica, oltreché nella vita quotidiana e nelle istituzioni.

È in questo contesto che vanno realizzate quelle riforme costituzionali che appaiono mature nella elaborazione diffusa e sono coerenti con la logica complessiva del sistema costituzionale; in primis, la riforma del sistema del cosiddetto bicameralismo “perfetto” che parta dalla necessità di differenziazione del lavoro delle due Camere, nell’esclusivo intento di rafforzare, migliorare e velocizzare l’attività legislativa per renderla più aderente ai bisogni del Paese.

Queste sono, dunque, le condizioni essenziali perché ci sia, da un lato una prospettiva vera di riforme e di rilancio e dall’altro un ritorno alla normalità e civiltà dei rapporti in Parlamento e nelle istituzioni e si creino le condizioni per il ritorno a quel rapporto di fiducia tra cittadini, istituzioni e politica, che è fondamentale perché si realizzi davvero la democrazia.
Per questa grande operazione, che non può più attendere ed è di assoluta urgenza, la guida va reperita sempre nei princìpi costituzionali e nei valori espressi dalla Costituzione.

L'ANPI intende essere tra i primi in questa battaglia per la riforma della politica; ma è convinta della necessità che a questo impegno venga assicurata la massima partecipazione possibile, dalle istituzioni, dai partiti, dalle organizzazioni sociali, dalle cittadine e dai cittadini. Un appuntamento collettivo, al quale nessuno può mancare, se vuole davvero il riscatto del Paese.

domenica 16 febbraio 2014

il giorno del disonore

Art. 54.
Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.
I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.

...non credevo che sarebbe stato possibile arrivare a tanto nel ferire, infangare, disonorare le nostre istituzioni.
Non solo un guitto fiorentino ha concordato con un pregiudicato lo strumento con cui noi dovremmo darci le nostre rappresentanze, ma a questo Delinquente è stato permesso con gli onori del caso di andare a contrattare gli equilibri del prossimo governo.
Non credo che Herbert Hoover avrebbe mai accettato di incontrare Al Capone come non credo che un Presidente come Sandro Pertini avrebbe mai permesso che un condannato in attesa di espiare una condanna su problematiche fiscali di grande entità potesse calpestare il più autorevole palazzo dello Stato.
Sono stati disonorati quei principi sui quali la nostra democrazia, già abbondantemente minata, ha posto le sua fondamenta.
L'educazione ai propri figli viene data con l'esempio, molti di noi sono figli o nipoti di chi ha pagato il prezzo più alto per restituire la dignità a questo paese o di chi ha lottato per migliorare le condizioni di lavoro, della salute dei diritti civili. 
Quale esempio oggi è in grado di dare il nostro Stato?
Loris

domenica 5 gennaio 2014

Genova, dove osare la speranza da corpo ai sogni


Non riesco a fingere un finto stupore al “nulla” che è seguito alla intelligente e capace sollecitazione di Curzio Maltese sulle pagine di Repubblica dal titolo “Genova, la nuova polveriera d'Italia dove muoiono i sogni e il futuro non arriva”.
E' innegabile come Genova sia sempre stata puntuale con la storia delle grandi mutazioni sociali e politiche del nostro paese, talmente puntuale da esserne in alcuni casi la precorritrice.
Questi mutamenti, però , hanno sempre avuto un reciproco avvallo tra gruppi dirigenti politici e blocchi sociali rappresentati.
Dal primo sindaco socialista di un Comune italiano (Carlo Canepa / Sestri Ponente oggi nella “grande Genova”) con lo sviluppo di quella che verrà definita “Aristocrazia operaia” che attraverso il proprio lavoro emancipava la propria soggettività sociale. Dalla lotta organizzata in città e fuori al fascismo, al contributo inestimabile nella scrittura e difesa della Costituzione attraverso dirigenti come Togliatti, Terracini o Dossetti o la risposta di massa alla deriva tambroniana con la compatta dirigenza della CGIL della Sinistra cittadina e dell'ANPI.
Per queste e altre ragioni, considero la comparazione di Genova a laboratorio politico appropriata e pertinente. Ma se per quanto concerne il passato tutto questo è vero, nonostante alcune , casualità politiche, oggi, questo concetto risulta assolutamente decontestualizzato dalla realtà genovese.
Il processo metodico di deindustrializzazione, oltre alla modifica di una vocazione economica della città, ha privato la città stessa di quegli attori sociali che furono i principali protagonisti dei laboratori politici dei cambiamenti nazionali.
Chi incautamente un mese fa affermava che il simil-accordo sulla questione AMT (Segretaria Camusso compresa) era una vittoria dei lavoratori dovrebbe spiegarci in cosa è consistita questa vittoria, se l'oggetto non erano le privitizzazioni ma una banale ricerca di efficienza nell'erogazione del servizio pubblico. Considero un'occasione perduta, il non aver messo in campo proprio nel contesto AMT la volontà di “andare oltre” e affrontare quel tipo di problematiche che rispondono a un autentico “piano sulla mobilità”, che non è e non può avere una visione locale, ma sicuramente nazionale con tutte le inevitabili interconnessioni europee. Questo avrebbe detto il “laboratorio Genova” di un po' di anni fa.
La stessa vicenda dell'ILVA di Taranto avrebbe avuto destini diversi se il “laboratorio Genova” fosse stato attivo. Genova è stata detentrice per anni del know how degli impianti siderurgici, Taranto stessa ha nei suoi impianti elevati coefficienti di genovesità. Mettere in rete quelle aziende che ancora, tra molte difficoltà, hanno competenze specifiche, forse avrebbe permesso di dare un contributo alla soluzione ambientale e nello stesso tempo occupazionale dove la PA doveva solo fare da collettore tra i soggetti produttivi e magari la regia ad un soggetto terzo come l'Università.
Una nota azienda genovese degli anni 70 e 80 esponeva un grande manifesto pubblicitario all'aereoporto con lo slogan...“...progetta a Genova e realizza nel mondo”, dietro quell'azienda ruotava una realtà di indotto locale e nazionale che teneva comunque alta l'incidenza economica e sociale che passava attraverso quell'azienda. Lo stesso sindacato, a torto o ragione, aveva assunto un ruolo “diverso” nel governo della gestione dei conflitti all'interno di quell'azienda e all'interno degli equilibri sindacali cittadini. Era una ulteriore voce di quel “laboratorio politico” che connotava la differenza di Genova.
Sarebbe un errore pensare che questo laboratorio abbia coinvolto solo una parte ben connotata politicamente perchè il coinvolgimento fu totale. Figure come il Cardinale Siri, che diventa perno di quella trasformazione nella gestione del porto dove il riferimento era il Console Batini o una figura come Baget Bozzo sono lo spessore di una città in cui anche le istituzioni con “parsimonia”, ma con un ritorno inevitabile, investono in quella che è la crescita culturale e politica di Genova consapevoli di far crescere il Paese.
E' evidente che oggi ci sono venute a mancare delle figure di primo piano come Don Gallo o Cerofolini o Ricci, ma è anche vero che la grande mancanza è per quei nomi che non sono mai stati alla ribalta ma hanno incessantemente tessuto quelle connessioni tra forze politiche, sindacali e territori. Due nomi per tutti : Franco Sartori, con la sua vivacità intellettuale e una visione del lavoro all'interno della città e Paolo Arvati, capace interlocutore e sollecitatore di tutto quanto era “sinistra” a Genova, dentro e fuori delle istituzioni.
Quanto scritto prima è una analisi del passato portata a comparazione con la desertificazione del presente.
Credo che il peggior servizio che possiamo rendere a Genova e non solo, è lasciare scorrere il fiume degli eventi senza avere il coraggio di calarci nella corrente limacciosa e dimostrare che sia le competenze sia la volontà di disegnare un futuro della città esistono e non sono una utopia.
Osare la speranza, come ripeteva Don Gallo non è un esorcismo ma un preciso bagaglio che molte teste pensanti devono accollarsi prima di rinchiudersi all'interno dei propri ambiti politici più consoni alla conservazione del nulla, diventando però con più o meno consapevolezza complici di una eutanasia di tutta la città senza più punti di riferimento a cui guardare.
Forse questo è un debito da onorare nei confronti di quei lavoratori che il 16 giugno 1944 subirono la deportazione in quanto operai genovesi o nei confronti di quei lavoratori del porto che impedirono che le mine tedesche compissero lo scempio del nostro porto.
Sono passati circa due anni da quando è iniziato il percorso che ha portato all'attuale amministrazione cittadina. In quel contesto credo che la componente “popolare”, i “rappresentati” abbiano dato una ulteriore prova di presenza e di volontà passata per le primarie e suggellata con l'elezione a Sindaco di Marco Doria. Credo che la ripartenza debba passare proprio dai protagonisti di quella “novità”, simile superficialmente, ma molto diversa dalle altre città che hanno espresso un sindaco che doveva essere frutto, più per il momento che non per l'effettivo contenuto, della così-detta cultura Arancione.
Credo che proprio dai componenti della maggioranza in Comune, uscendo dall'aula Rossa, “osare” la riappropriazione della politica, sia l'imperativo per tornare ad essere laboratorio dei cambiamenti e ritrovarsi a scrivere il futuro della città decontaminando il dibattito e la costruzione di questo futuro dagli interessi di gruppi di potere e da condizionamenti ideologici.

Dobbiamo provarci.

Loris Viari
Genova 5 gennaio 2014

La Mafia è una montagna di merda

sessantasei anni fa a Cinisi nasceva Peppino Impastato, ucciso dalla mafia a 30 anni il 9 maggio 1978 perchè contro la mafia e la sua cultura.









trent'anni fa il 5 gennaio 1984, a Catania veniva ucciso dalla mafia Giuseppe Fava perchè contro la mafia e la sua cultura










Peppino Impastato
CSD Giuseppe Impastato

Giuseppe Fava


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