il problema attuale non è più la lotta della democrazia contro il fascismo ma quello del fascismo nella democrazia (G. Galletta)

Amicus Plato, sed magis amica veritas



mercoledì 30 aprile 2014

Buon Primo Maggio


PRINCIPI FONDAMENTALI
Art. 1

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.


La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
...

Non è una giornata di festa, ma una giornata di lotta. Lotta per chi il lavoro l'ha e rivendica condizioni migliori, e di lotta per chi il lavoro non ce l'ha e vede disatteso dallo stesso Stato, forse l'articolo più importante della Nostra Costituzione. in cui si dice che il nostro Stato è fondato sul lavoro.
Era di lotta quando a Portella delle Ginestre cercarono attraverso le congiure mafiose di impedire le rivendicazioni contadine sulla terra, sparando sugli inermi cittadini, ed è di lotta in tutti quegli anni di diritti offesi e negati dove solo la lotta ha portato dignità la dove la dignità era negata.

Buon primo maggio

 galleria di immagini
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venerdì 25 aprile 2014

BUON 25 APRILE

(Clicca sull'immagine per accedere alle diapositive)

... E 'l'odore del Lavoro Quello Che SI Sente Attraversando le officine. Quello dell'articolo 1 della Nostra Costituzione, quello delle deportazioni dei lavoratori Che Hanno difeso il Loro e Nostro Posto di Lavoro Venire "Bene Comune" per le GENERAZIONI Che sarebbero venute.
Una Resistenza Quotidiana ONU Difesa della Dignità di ONU Intero popolo.

BUON 25 APRILE


martedì 15 aprile 2014

“Un vincitore è un sognatore che non ha mai smesso di sognare. Vittorio Arrigoni. Un vincitore.”

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…sono passati tre anni dal pomeriggio del 14 aprile 2011 quando fece irruzione nelle nostre menti e nei nostri cuori la notizia del rapimento di Vittorio Arrigoni. A tre anni di distanza però quel sentimento di smarrimento e di incredulità rimane invariato, come se fosse oggi che ci viene portato via un compagno, un riferimento, un amico. Quelle ore passate davanti al pc facendo rimbalzare ogni barlume di notizia che riguardasse Vittorio. Una telefonata a Luisa Morgantini in partenza in quelle ore per la Palestina, l’appello del mondo dell’associazionismo e i singoli. Una mail che purtroppo è andata perduta di Haidi Gaggio Giuliani  in cui manifestava la sua preoccupazione con una sinteticità e profondità che solo una “madre”può esternare. Il tutto continuando a pestare i tasti nella consapevolezza che in quel momento l’unica cosa che aveva senso era sollevare  da ogni parte del mondo un urlo che voleva nuovamente Vittorio libero. Intorno alle due di notte infine la notizia che non avremmo mai voluto ricevere…. “Lo hanno ucciso”. Dopo……le lacrime, e ti accorgi che non è cambiato niente da quella notte perché quelle si ripresentano anche oggi. Vittorio, ci manchi Loris
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  da una mail di quella notte oggetto “lo hanno ucciso” alle 02.48
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Luisa Morgantini Scrive:che la terra ti sia lieve Vittorio.E' un baratro ma continuiamoLuisa Morgantini
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risponde Patrizia Sentinelli:E' una cosa terribile! Ancora un morto sulla strada della pace. E' un colpo per il popolo palestinese e per tutti coloro che si battono per la libertà e i diritti. Sento il peso della morte ingiusta, inumana. ma tutti insieme dobbiamo continuare a lottare.Stringiamoci nel cordoglio e nella denuncia dell'orrore. Patrizia Sentinelli.
E’ stato scritto 14 aprile Appello alla liberazione
e il giorno 15 aprile  Vittorio Arrigoni…e ti ricordo così
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lunedì 14 aprile 2014

25 Aprile, Ricordo, Memoria, Cultura

me…Pochi giorni al 25 aprile, celebrazioni, corone ai sacrari, ricordo di stragi. Il ricordo è una manifestazione puramente personale, individuale. La memoria invece è il frutto di un ricordo collettivo e di una elaborazione condivisa che va a incidere sulla morale, sull’etica in quanto morale condivisa e conseguentemente su quelli che sono i nostri rapporti quotidiani tra persone, comunità e istituzioni.
Soffermarsi quindi sui ricordi collettivi di cosa fu la Resistenza non è un esercizio nostalgico di chi ha avuto parenti amici o conoscenti coinvolti in quella vicenda, ma è la consapevolezza di ciò che siamo oggi, nel nostro ruolo di “singoli” inseriti in tutti quei contesti di comunità che sono la famiglia, la scuola, il lavoro.. …. lo Stato.
Il confine tra civiltà e barbarie è molto più labile di quello che vorremmo pensare e gli esempi non mancano, dalle pulizie etniche dell’ex Jugoslavia ai genocidi in Africa o alle persecuzioni da parte degli integralisti religiosi in varie parti del mondo.
Per queste ragioni non mi stancherò di ricordare e rendere omaggio a chi ha sacrificato parte di se stesso, spesso la vita, per poterci consentire, percorrendo la linea di confine tra civiltà e barbarie, di poter essere per la civiltà, e, come genitore di poter educare mio figlio a quei valori che consentono oggi di poterci esprimere liberamente.
A pochi mesi dalla fine del conflitto, nel 45,  Elio Vittorini proponeva una grande riflessione che ritengo a quasi settant’anni di distanza assolutamente ancora attuale. Un utile strumento per chi oggi pensa che sono cose del passato e che non ci appartengono più.
Loris

Elio_VittoriniUNA NUOVA CULTURA
Non più una cultura che consoli nelle sofferenze ma una cultu­ra che protegga dalle sofferenze, che le combatta e le elimini
Per un pezzo sarà difficile dire se qualcuno o qualcosa abbia vinto in questa guerra. Ma certo vi è tanto che ha perduto, e che si vede come abbia perduto. I morti, se li contiamo, sono più di bambini che. di soldati; le macerie sono di città che avevano venticinque secoli di vita; di case e di biblioteche, di monumenti, di cattedrali, di tutte le forme per le quali è passato il progresso civile dell’uomo; e i campi su cui si è sparso più sangue si chiamano Mauthausen, Maidanek, Buchenwald, Dakau. Di chi è la sconfitta più grave in tutto questo che è accaduto? Vi era bene qualcosa che, attraverso i secoli, ci aveva insegnato a considerare sacra l’esistenza dei bambini. Anche di ogni conquista civile dell’uomo ci aveva insegnato ch’era sacra; lo stesso del pane; lo stesso del lavoro. E se ora milioni di bambini sono stati uccisi, se tanto che era sacro è stato lo stesso colpito e distrutto, la sconfitta è anzitutto di questa «cosa» che c’insegnava la inviolabilità loro. Non è anzi­tutto di questa «cosa» che c’insegnava l’inviolabilità loro? Questa «cosa », voglio subito dirlo, non è altro che la cultura; lei che è stata pensiero greco, ellenismo, romanesimo, cristianesimo la­tino, cristianesimo medioevale,. umanesimo, riforma, illuminismo, libe­ralismo, ecc., e che oggi fa massa intorno ai nomi di Thomas Mann e Benedetto Croce, Benda, Huitzinga, Dewey, Maritain, Bernanos e Unamuno, Un Yutang e Santayana, Valéry, Gide e Berdiaev. Non vi è delitto commesso dal fascismo che questa cultura non avesse insegnato ad esecrare già da tempo. E se il fascismo ha avuto modo di commettere tutti i delitti che questa cultura aveva insegnato ad esecrare già da tempo, non dobbiamo chiedere proprio a questa cultura come e perché il fascismo ha potuto commetterli? Dubito che un paladino di questa cultura, alla quale anche noi apparteniamo, possa darci una risposta diversa da quella che pos­siamo darci noi stessi: e non riconoscere con noi che l’insegnamento di questa cultura non ha avuto che scarsa, forse nessuna, influenza civile sugli uomini. Pure, ripetiamo, c’è Platone in questa cultura. E c’è Cristo. Dico: c’è Cristo. Non ha avuto che scarsa influenza Gesù Cristo? Tutt’altro. Egli molta ne ha avuta. Ma è stata influenza, la sua, e di tutta la cultura fino ad oggi, che ha generato mutamenti quasi solo nell'intel­letto degli uomini, che ha generato e rigenerato dunque se stessa, e mai, o quasi mai, rigenerato, dentro: alle possibilità di fare, anche l'uomo. Pensiero greco, pensiero latino, pensiero cristiano di ogni tempo, sembra non abbiano dato agli uomini che il modo di travestire e giustificare, o addirittura di render tecnica, la barbarie dei fatti loro. E qualità naturale della cultura di non poter influire sui fatti degli' uomini? lo lo nego. Se quasi mai (salvo in periodi isolati e oggi nel­l'U.R.S.S.) la cultura ha potuto influire sui fatti degli uomini dipende solo dal -modo in cui la cultura si è manifestata. Essa ha predicato, ha insegnato, ha elaborato princìpi e valori, ha scoperto continenti e costruito macchine, ma non si è identificata con la società, nOn ha governato con la società, non ha condotto eserciti per la società. Da che cosa la cultura trae motivo per elaborare i suoi princìpi e i suoi valori? Dallo spettacolo di ciò che l'uomo soffre nella società. L'uomo ha sofferto nella società, l'uomo soffre. E che cosa fa la cultura per l'uomo che soffre? Cerca di consolarlo. Per questo suo modo di consolatrice in cui si è manifestata fino ad oggi, la cultura non ha potuto impedire gli orrori del fascismo. Nessuna forza sociale era «sua» in Italia o in Germania per impe­dire l'avvento al potere del fascismo, né erano «suoi» i cannoni, gli aeroplani, i carri armati che avrebbero potuto impedire l'avventura d'Etiopia, l'intervento fascista in Spagna, 1'« Anschluss» o il patto di Monaco. Ma di chi se non di lei stessa è la colpa che le forze sociali non siano forze della cultura, e i cannoni, gli aeroplani, i carri armati non siano «suoi»? La società non è cultura perché la cultura non è società. E la cultura non è soçietà perché ha in sé l'eterna rinuncia del «dare a Cesare» e perché i suoi princìpi sono soltanto consolatori, perché non sono tempestivamente rinnovatori ed efficacemente attuali, vi­venti con la società stessa come la società stessa vive. Potremo mai avere una cultura che "'Sappia proteggere l'uomo dalle sofferenze invece di limitarsi a consolarlo? Una cultura che le impedisca, che le scon­giuri, che aiuti a eliminare lo sfruttamento e la schiavitù, e a vincere il bisogno, questa è la cultura in cui occorre che si trasformi tutta la vecchia cultura. La cultura italiana è stata particolarmente provata nelle sue illusioni. Non vi è forse nessuno in Italia che ignori che cosa significhi la mortificazione dell'impotenza o un astratto furore. Continueremo, ciò malgrado, a seguire la strada che ancora oggi ci indicano i Thomas Mann e i Benedetto Croce? lo mi rivolgo a tutti gli intellettuali ita­liani che hanno conosciuto il fascismo. Non ai marxisti soltanto, ma anche agli idealisti, anche ai cattolici, anche ai mistici. Vi sono ragioni dell'idealismo o del cattolicesimo che si oppongono alla trasformazione della cultura in una cultura capace di lottare contro la fame e le sofferenze? Occuparsi del pane e del lavoro è ancora occuparsi dell'« anima ». Mentre non volere occuparsi che dell'« anima» lasciando a «Cesare» di occuparsi come gli fa comodo del pane e del lavoro, è limitarsi ad avere una funzione intellettuale e dar modo a «Cesare» (o a Done­gani, a Pirelli, a Valletta) di avere una funzione di dominio «sull'ani­ma» dell'uomo. Può il tentativo di far sorgere una nuova cultura che sia di difesa e non più di consolazione dell'uomo, interessare gli idealisti e i cattolici, meno di quanto interessi noi?
ELIO VITTORINI
(Il Politecnico n. 1, 29 settembre 1945)

venerdì 4 aprile 2014

Benedicta 70′anni dopo

Tra le forze partigiane liguri che alla fine del marzo 1944 rendevano insicure ai tedeschi le vie di comunicazione con la valle del Po vi era la terza Brigata «Liguria» e il gruppo «Odino». Il comando tedesco di Alessandria ebbe l'incarico di dirigere e coordinare, in stretta collaborazione con quelli di Genova, Acqui e Ovada, un grande rastrellamento della zona affidato ad un'intera divisione tedesca (ventimila uomini) con aliquote di artiglieria, autoblinde, lanciafiamme ed aerei; ad essa si aggregarono reparti della GNR e delle forze armate di Salò. . All'alba del 6 aprile le forze nazifasciste si pongono in moto e le colonne sviluppano un attacco concentrico che tende a rinserrare i partigiani in sacche senza via di uscita. La maggior parte dei distaccamenti della Brigata «Liguria», però, dopo alcuni tentativi di resistenza, riesce a filtrare attraverso lo schieramento nemico o ad occultarsi sul luogo, sottraendosi alla distruzione. Non così il gruppo «Odino». Esso aveva stabilito nei pressi di Voltaggio, in un vecchio monastero semidistrutto posto sulla Benedicta, un accantonamento di renitenti fra i quali vi era un centinaio di giovani completamente disarmati. Il mattino .del 7 aprile essi vengono sorpresi e catturati da due colonne di fascisti e di tedeschi. Oltre un centinaio di giovani sono fucilati sul luogo, a gruppi di cinque per volta, da un plotone di bersaglieri fascisti: il massacro dura fino a tarda sera. Novantasei corpi furono gettati la sera in fosse comuni, molti altri furono trovati insepolti sulla montagna i giorni seguenti. Altri tredici prigionieri furono fucilati a Masone e sedici a Voltaggio. Un ultimo gruppo, comprendente fra gli altri i comandanti «Odino» e il tenente Pestarino suo aiutante, trasportato a Genova, viene fucilato il 19 maggio al passo del Turchino per rappresaglia. Oltre duecento prigionieri vengono avviati ai campi di concentramento in Germania!'. Complessivamente i caduti tra partigiani e civili, assassinati sul posto, deportati e poi morti nei lager, furono 305.

Sulla vicenda della «Benedicta» c'è la testimonianza di Luigi Laggetta.


Alla prima chiamata alle armi della RSI risposi andando in montagna il 13 dicembre 1943 con il gruppo della Benedicta: In fabbrica avevo conosciuto operai che erano stati perseguitati dai fascisti e ciò mi aveva indirizzato verso l'antifascismo. Mi dicevano che eravamo sotto una dittatura instaurata da Mussolini nel 1922 dopo aver soppresso la democrazia.
Durante la guerra, ascoltavo «Radio Londra» in casa di un amico. Nel gennaio del 1942 commentammo il blocco dell'avanzata tedesca verso Mosca. In montagna fui mandato da Pietro Gabanizza del Partito d'Azione. Andai in montagna assieme ad un figlio della sua cuoca, di nome Walter Corsi, aggregandomi al primo distaccamento della Brigata «Liguria» sotto il monte Tobbio. Il gruppo era formato in maggioranza da comunisti; fra cui era Rino Mandorli che mi diede 11 nome di battaglia -Bob». Comandante del gruppo era Ercole Tosi «Ettore». Da 19 quanti eravamoall'inizio raggiungemmo il numero di 800 nei primi mesi del '44. Fra noi vi erano Giacomo Buranello «Pietro» ed Elio Scano.
Ogni sera Baranello ci faceva scuola di partito. Rino Mandorli «Sergio» aveva 32 anni ed era stato dieci anni in galera per attività antifascista: Con noi c'era anche Goffredo Villa «Ezio» [(1922-1944) medaglia d’argentodella Resistenza) Mandorli fu poi fucilato al passo del Turchino per rappresaglia. Si faceva-una gran fame e come azioni ne ho fatte ben poche. Arrivavano a frotte i giovani renitenti alla leva, in gran parte disarmati; eravamo 7-8 distaccamenti Ricordo che ci fu un lancio degli Alleati che ci procurò 60 Stern.
Nel rastrellamento all'alba del 6 aprile 1944, 96 di noi furono fucilati, mentre 59 vennero fucilati al Turchino per rappresaglia in seguito ad un attentato compiuto al cinema Odeon contro i tedeschi (ne morirono una dozzina). Dopo la rappresaglia venimmo a Genova. Con noi c'era Germano Jori; poi fucilato dai tedeschi. Facevamo azioni come GAP. In una di queste azioni avvenuta il 23 maggio 1944 fui ferito da un fascista e venni curato dalla partigiana Iolanda Cioncolini «Gigia», la quale aiutò moltissimi compagni e fu poi condannata a 25 anni di carcere e deportata a Bolzano, da dove fu liberata il 25 aprile del 1945. Tornato in montagna, subii i rastrellamenti dell'agosto e del dicembre 1944 e partecipai alla battaglia di Pertuso, in cui era comandante Aurelio Ferrando «Scrivia», e vice-comandante G. Battista Lazagna «Carlo».

Testo tratto da "Vite da Compagni" edizioni EDIESSE

Dopo i tragici fatti della Benedicta e del Turchino la Resistenza seppe reagire e, facendo tesoro anche degli errori commessi riuscì a serrare nuovamente le file e a pochi mesi da quella primavera si ricompose in quei luoghi quella che sarebbe stata riconosciuta come la Divisione Mingo. Fu tra i partigiani di quella divisione che prese forma una delle canzoni della Resistenza più significative e belle: I Ribelli della Montagna"
Loris


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