il problema attuale non è più la lotta della democrazia contro il fascismo ma quello del fascismo nella democrazia (G. Galletta)

Amicus Plato, sed magis amica veritas



domenica 27 novembre 2011

SENZA KYOTO NON C'E' FUTURO - ALLA VIGILIA DELLA CONFERENZA ONU SUL CLIMA IN SUDAFRICA



SENZA KYOTO NON C'E' FUTURO. 
ALLA VIGILIA DELLA 17a CONFERENZA ONU SUL CLIMA IN SUDAFRICA

FAIR, LEGAMBIENTE, ALTRECONOMIA, ARCI E CGIL:

"UN ACCORDO VINCOLANTE PER NON SUPERARE IL PUNTO DI NON RITORNO" 

Mancano pochi giorni al via della 17a Conferenza ONU delle Parti sul cambiamento climatico, che si terrà a Durban, in Sudafrica, dal 28 novembre al 9 dicembre. Un appuntamento delicato, dopo l'ultimo appuntamento di Cancun, nel dicembre 2010, dove si riuscì a rimettere in piedi un negoziato in crisi, ma a spese di un accordo concreto ed operativo sulla lotta al cambiamento climatico. Questo in un momento drammatico sia per la situazione economico finanziaria, che sta impattando pesantemente sulla vita delle persone, ma anche per l'impatto delle attività umane sul pianeta, se pensiamo che a livello globale le emissioni è aumentato nel 2010 di un +6% rispetto al 2009, superando le peggiori previsioni della comunità scientifica internazionale. Un impatto già tangibile, e che ha visto un incremento degli eventi meteorologici estremi che ha toccato la cifra di 14mila in tutto il mondo tra il 1990 ed il 2009 e che, anche nel nostro Paese, sta lasciando il segno, basti pensare alle alluvioni recenti in Liguria ed in Sicilia. Un accordo vincolante, che rilanci Kyoto aggiornato ai dati che provengono dall'IPCC, il Panel internazionale di scienziati sul clima, e che stanzi da subito le cifre necessarie per adattamento al cambiamento climatico e mitigazione delle emissioni, per evitare di superare il punto di non ritorno. E' quello che chiedono l'organizzazione dell'economia solidale Fair, Legambiente, Altreconomia, Arci e CGIL presenti a Durban per monitorare i negoziati, mobilitandosi a fianco delle reti internazionali. Altreconomia, in collaborazione con ReteClima, Equomercato, LiberoMondo, Palm e Fair, ha deciso di aprire una finestra quotidiana sui negoziati sul clima di Durban. Il blog Ri(e)voluzione (www.altreconomia.it/clima) sarà un filo diretto con la delegazione italiana a Durban con l'obiettivo di mantenere accesa l'attenzione su un vertice che dovrebbe porre le basi del cambiamento di rotta necessario.

Segui il vertice COP17 di Durban su: www.altreconomia.it/clima

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sabato 26 novembre 2011

26-11-2011 Roma - Acqua bene comune - galleria di immagin

Roma 26-11-2011


Galleria di immagini della manifestazione nazionale
 per la
 ripubblicizzazione dell'acqua

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venerdì 25 novembre 2011

1. come siamo finiti nella fossa




E' disponibile in formato gratuito "L'Altra Via - Dalla crescita al benvivere, programma per un'economia di sazietà " . Cliccate sull'immagine o sul comando in calce, scaricate e diffondete.

Quando si è mangiato a sufficienza, ogni altro boccone provoca malessere. Il pianeta è in stato comatoso, non esistono più le condizioni per inseguire il mito della crescita: è urgente ritrovare il senso di sazietà, imparare a fare i conti col senso del limite e nel contempo garantire sicurezze e dignità a tutti. Il nuovo e attualissimo saggio di Francesco Gesualdi è un invito a scrollarsi di dosso il senso di impotenza, a liberarsi dall'idea che non esiste altro sistema economico all'infuori di questo. Un'altra economia è possibile: è l'economia del benvivere, punto di incontro tra sobrietà e solidarietà.


L’economia mondiale ha deragliato perché da oltre un ventennio è guidata da piloti in stato di ebbrezza. L’ubriacatura neoliberista: niente Stato, il mercato totalmente libero di seguire l’istinto predatorio. Alla fine l’auto ha sbandato, è finita fuori strada ed è rotolata giù per la scarpata. Ma era prevedibile: quando si guida in maniera spericolata l’incidente è inevitabile. I giornali hanno imputato la crisi a scelte bancarie azzardate, ma questa è solo l’ultima parte della storia. Se vogliamo capire cosa è successo dobbiamo ripartire dalla globalizzazione. Siamo a fine anni Ottanta, le multinazionali scalpitano per uscire dai confini nazionali, rivendicano la possibilità di poter collocare i loro prodotti da un capo all’altro del mondo senza vincoli di sorta. Tramano, brigano, sbraitano, e ce la fanno a raggiungere il loro obiettivo, ma poi scoprono che il grande mercato mondiale non esiste: solo il 30-35% della popolazione terrestre ha i soldi in tasca per assorbire i loro prodotti, tutti gli altri sono inutile zavorra. Finisce che tante imprese cercano di contendersi pochi clienti, si lanciano in una concorrenza feroce basata anche sulla riduzione dei prezzi. Alle imprese interessa il profitto, se sono costrette a ridurre i prezzi si ingegnano per ridurre anche i costi, così il lavoro finisce sotto attacco. Nei settori ad alta tecnologia la strategia prescelta è l’automazione, negli altri settori si opta per il trasferimento della produzione nei Paesi a bassi salari. Emerge un nuovo mondo contrassegnato da un Sud affollato da lavoratori in semischiavitù e un Nord con un crescendo di disoccupati e lavoratori precari malpagati. Il risultato è una classe lavoratrice mondiale più povera, ma i padroni si fregano le mani: dal 2001 al 2005 la quota di ricchezza mondiale finita ai profitti è cresciuta dell’8%. Il che ha due conseguenze. Prima di tutto l’esplosione della finanza, un effetto dovuto alla sfiducia dei capitalisti nella capacità di vendita del sistema. Il loro ragionamento è semplice: quando la massa salariale scende, le prospettive di vendita si riducono e diventa inutile investire in nuove attività produttive. Meglio buttarsi nella speculazione, l’arricchimento tramite l’azzardo, la compravendita di immobili e titoli, non importa se veri o fasulli. L’importante è stare al tavolo del gioco, portare a casa soldi ad ogni puntata. Poi si vedrà. La seconda conseguenza è l’esplosione del debito: quando le buste paga si fanno leggere, il rischio è che non si chiuda più il cerchio fra ciò che si produce e ciò che si vende. Per ritrovare stabilità servirebbe una più equa distribuzione della ricchezza, ma al sistema questa prospettiva non piace: finché può, rinvia la decisione con rimedi tampone, cerca la quadratura del cerchio nell’indebitamento. A ogni angolo di strada banche, istituti finanziari, concessionarie, supermercati, pronti a offrire a poveri e meno poveri, mutui, acquisti a rate, prestiti al consumo: il sogno di una vita al di sopra delle proprie possibilità a portata di mano. Ovunque le famiglie hanno abboccato. In Italia nel 2008 il debito totale delle famiglie corrispondeva al 70% delle loro entrate annuali, qualcosa come 16.000 euro a nucleo. Tuttavia il Paese dove le famiglie si sono inguaiate di più sono gli Stati Uniti, l’attrattiva è stata l’acquisto della casa.Nell’euforia degli affari sono stati offerti mutui anche a famiglie economicamente deboli, mutui inaffidabili presi a base di complesse attività speculative che hanno coinvolto banche, assicurazioni, fondi d’investimento, fondi pensione. Tutto è filato liscio finché i tassi di interesse sono rimasti bassi, le case hanno continuato a rivalutarsi, ma quando c’è stata l’inversione di tendenza, molte famiglie non ce l’hanno più fatta e l’intero castello è crollato. Sono cominciati i primi fallimenti bancari, più nessuno si è fidato dell’altro, l’intera attività creditizia si è paralizzata per mancanza di fiducia reciproca, banche ed imprese hanno cominciato ad annaspare per mancanza di fondi. In fondo la finanza è più psicologia che scienza. Col manifestarsi della crisi finanziaria, anche il marcio di fondo è venuto a galla: intere economie si sono inceppate per l’incapacità dei consumi di assorbire la produzione. A fine 2008 il sistema ha dovuto ammettere lo stato di crisi ed ha chiesto ai governi, gli unici con carro-attrezzi adeguati, di intervenire. Con un unico obiettivo: tirare l’auto fuori dalla scarpata e rimetterla in condizione di riprendere la sua corsa. Per risollevare banche e imprese sono stati stanziati miliardi di euro, a forza di strattoni, probabilmente l’auto verrà tirata su e sarà rimessa in carreggiata. Ma ci sono forti dubbi che possa riprendere a correre perché nel frattempo anche la strada si è gravemente danneggiata: a forza di passarci si sono formate buche ovunque, in molti punti il ciglio è franato, se l’auto pretende di correre si fracasserà. L’unica possibilità è rallentare, dotare l’auto di ammortizzatori più solidi, mettere alla guida un autista più prudente. Fuor di metafora, le risorse si stanno assottigliando, il clima sta impazzendo, le tensioni sociali si stanno aggravando. Per evitare il tracollo dovremo passare dall’economia della crescita, all’economia del limite, dall’economia del cowboy all’economia dell’austronauta, ma anche dall’economia della precarietà all’economia della sicurezza, dall’economia dell’avidità all’economia dei diritti. Potremmo chiamarla economia del benvivere o economia del rispetto, un’economia equa, sostenibile e solidale, capace di garantire a tutti un’esistenza dignitosa nel rispetto del pianeta. Una strada da imboccare al più presto perché la doppia crisi, ambientale e sociale, non ci lascia più tempo.


per il testo completo del libro in formato pdf cliccate sul tasto della lingua desiderata.

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martedì 22 novembre 2011

Quale sinistra dopo Zapatero? da un articolo di R. Musacchio


Dopo le elezioni in Spagna, Roberto Musacchio ha prodotto questa riflessione che è sicuramente un utile contributo col quale confrontarsi nel tentativo di ridare un ruolo attivo alla sinistra italiana ed europea nel momento in cui le forze finanziarie attaccano senza mezzi termini diritti e condizioni di vita di milioni di persone.

***
Quale sinistra dopo Zapatero?

di Roberto Musacchio

Era largamente previsto, ma pure fa molta impressione questa storica sconfitta dei socialisti in Spagna. Fa impressione per le proporzioni, veramente enormi, che consegnano al PSOE il risultato peggiore dal 1977. Fa impressione perchè quella di Zapatero è stata una vera e propria era politica, che ha caratterizzato una stagione non solo spagnola ma del socialismo europeo. Ma forse l'impressione più grande viene dal fatto che su questa sconfitta pesa la rottura con quello straordinario movimento degli indignati protagonista di una intensa stagione di lotte che dalla Spagna ha parlato a tutta Europa e non solo. Ebbene questo movimento non ha fatto al PSOE alcuna apertura di credito, sia pure critica. Lo ha considerato parte di quel recinto che fa dire al movimento " voi non ci rappresentate ". Dunque per i socialisti è stato impossibile ripetere quella operazione di recupero che in altre occasioni era loro riuscita, grazie anche ad un sistema elettorale sostanzialmente ipermagioritario. Il voto socialista non è apparso più utile, neanche a battere una destra che pure si presentava con le forme di un pupillo dell'ex franchista Fraga. Non ci ha provato neppure più di tanto il PSOE a recuperare a sinistra, se è vero che tra gli ultimi atti di Zapatero ci sono state manovre economiche tutte interne ai dettati di Bruxelles e addirittura l'inserimento in Costituzione del vincolo ai limiti di bilancio. In realtà il fenomeno Zapatero che si era presentato con uno straordinario processo di liberazione della società spagnola con una intensa stagione di promozione di diritti civili, molti dei quali tabù per il centro sinistra italiano, aveva anche provato a realizzare politiche occupazionali progressive volte a rispondere alle esigenze dei giovani. Ma mano mano questo impulso riformatore si era affievolito fino a far proporrre al governo socialista leggi sul lavoro tutte improntate alla flessibilità estrema. Ma sia l'iniziale spinta riformatrice, sia la successiva propensione di adeguamento alle ricette liberiste, non hanno impedito alla Spagna di entrare in una crisi economica e sociale, con il record della disoccupazione, fortissima. Colpa di un sistema economico spagnolo in cui i tradizionali poteri forti, a partire da quello della rendita edilizia, sono rimasti tali. E colpa dell'impatto della crisi europea che ha visto i socialisti spagnoli privi di una qualsiasi ricetta valida. La decisione di Zapatero di andare alle elezioni senza neanche ricandidarsi è apparsa dunque per quello che era:una vera resa. Ma la campagna elettorale poteva essere l'occasione per provare a ricercare una nuova strada, ma così non è stato. Lo dimostra proprio la rottura con gli indignati. Che non sono poi un movimento di " antipolitica " come qualcuno prova a dire. No, proprio perchè sono un movimento di critica radicale degli attuali assetti, non solo spagnoli ma europei, chiedono risposte politiche che dal PSOE non sono arrivate. Qualcosa è venuto dalla sinistra radicale, quella di Isquierda Unida, che raddoppia i propri voti e si riaffaccia alla grande politica dopo una lunga crisi che la aveva portata suul'orlo della scomparsa. Ma la vittoria delle destre è grande e chiede di ripensare tutto. Noo solo in Spagna. Con la fine di Zapatero finisce, dopo Blair, un altro dei grandi modelli del socialismo europeo. Caduto anche Papandreu, i governi a presenza socialista in Europa sono quasi scomparsi. Quello che conta ancora di più delle sconfitte elettorali è la sconfitta politica e sociale. Queste esperienze non sono riuscite ad essere veramente alternative a quel vento di destra che ha mantenuto costantemente l'egemonia in Europa. Non solo perdono, ma nella realtà non hanno invertito in modo significativo la tendenza. A questa amara riflessione nè segue un'altra, altrettanto dura. Non si vede fin qui una capacità di ripensamento sostanziale. La possente offensiva neoconservatrice messa in campo con la realizzazione in Europa della struttura di comando intorno ad Europlus non trova alcun reale contrasto. Le misure economiche sono quelle volte a conservare gli stessi assetti che hanno prodotto la crisi e vengono imposte quasi senza opposizione politica. Il socialismo europeo oscilla tra sconfitte e risucchio nella logica delle grandi coalizioni. D'altronde quando il proprio impanto è così debole e subalterno si fa presto a derubricare la propria proposta di alternativa in quella di una partecipazione subalterna a grandi coalizioni. E' il rischio che si corre in Germania, dove una Merkel che vola nei sondaggi rischia di irretire di nuovo la Spd in una Grosse Koalitione. E' quello che si è fatto in Grecia. E in Italia, dove addirittura partiti ridotti dalla lunga esperienza della seconda repubblica a meri contenitori di competizione per il governo fanno " un passo indietro " e lasciano ai " tecnici " la gestione di una fase tutta segnata dalla logica di Bruxelles fornendogli un appoggio " bulgaro ". Una situazione che chiede un drastico cambio di rotta. A partire da una ripresa di sintonia vera con ciò che vive nella società. Innanzitutto di sofferenza. Ma come si fa a non vedere che queste politiche presentate come obbligate non stanno combattendo il male ma lo aggravano. Se prendiamo la Grecia, due anni di " cura " hanno portato il debito pubblico dal 120% al 180%, con meno 15% di PIL! Non si tratta solo che altri devono pagare, ma che occorre cambiare le logiche economiche di fondo a partire da due fatti in realtà intrecciati: Lo strapotere della speculazione finanziaria e la svalutazione sistematica del lavoro. Vanno rovesciati facendo di questo rovesciamento la base di una alternativa. E' ciò che dicono i nuovi movimenti europei, che ci aggiungono, giustamente, il bisogno di rifondare una democrazia ormai calpestata. Questo rovesciamento, questa rottura del recinto è la base indispensabile per la rinascita di una sinistra europea fuori dalle secche identitarie e politiche dell'ultimo trentennio. E' l'esatto contrario che la riesumazione di antichi schieramenti e di vecchie politiche del centrosinistra europeo che hanno drammaticamente fallito.


***


Concordo con l'analisi di Musacchio sul voto spagnolo e, in particolare, sull’analisi del peso della rottura avvenuta tra la sinistra e il movimento degli indignati. 

Mi chiedo, infatti se, rispetto all’esperienza spagnola, alle vicende politiche di casa nostra ed al modo in cui noi, come sinistra, ci siamo posti rispetto al 15 ottobre, non sarebbe opportuno un ripensamento complessivo, che colga il cambio di rotta che viene richiesto da questo movimento “sociale” che è il più esposto alla marginalizzazione voluta dai poteri finanziari che al diritto al futuro prediligono i profitti.

Forse non tutti tra di noi riescono ad avere la consapevolezza che un obiettivo, queste centinaia di migliaia per lo più di giovani, comunque lo hanno già raggiunto in maniera spontanea, ed è lo stesso obiettivo che i lavoratori europei, attraverso le proprie rappresentanze sindacali, non sono stati ancora in grado di realizzare: alzare una voce unica di “rivendicazione al diritto di esistenza” e di protesta a livello europeo sulle politiche dei governi e della BCE 

E’ evidente che la risposta che possono, e possiamo, trovare non può essere quella della negazione delle rappresentanze politiche, perché alle lacrime e sangue si assommerebbero altre condizioni sempre più mirate alla atomizzazione sociale. 
Tuttavia è anche vero che l’esperienza del 15 ottobre in Italia ha offerto un quadro di soggetti politici, che hanno concorso alla giornata degli “indignati”, inadeguati a raccogliere una sfida politica e sociale “epocale”, esattamente come epocale è stata la disfatta in Spagna. 
Credo che la possibilità di ritrovarci attorno a un progetto comune “alternativo” fuori dalle logiche di subalternità alle grandi coalizioni, potrebbe essere un primo passo di ricostruzione di una sinistra, oltre, e sicuramente obiettivo prioritario, lo strumento di difesa e di proposta per questa generazione di indignati e per le prossime generazioni che potrebbero non avere neanche la prerogativa dell’indignazione. 
Come garantire l’autonomia di questo movimento sarà invece la sfida per ricostruire una coscienza collettiva che nella sostenibilità, sulla dignità del lavoro e sull’equità sociale fondi il suo agire.
Loris

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sabato 19 novembre 2011

Abbiamo troppo poco tempo a disposizione per poterci permettere il lusso di pettinare le bambole o smacchiare i giaguari.



...Sabato 12 novembre avevo indossato la giacca e stavo per dirigermi verso Montecitorio o il Quirinale per partecipare all'evento programmato “la caduta di un premier” quando il più banale dei quesiti mi ha rovinato sia l'entusiasmo sia quello che da anni avrei considerato un bel giorno per l'Italia: chi ha mandato a casa Berlusconi?.

E' fin troppo evidente che quelli che abbiamo per anni invocato come gli anticorpi che entravano in circolo nel momento in cui qualcuno avrebbe attentato al nostro sistema democratico sono entrati in crisi, forse per eccesso di fiducia in un impianto statale fatto più di consuetudini che di atti formali e sostanziali inoppugnabili. Dal conflitto di interessi a leggi at personam e leggi at azienda.
Non è un caso che quello che è stato un meccanismo che ha retto bene sino a che c'è stata la Democrazia Cristiana, si sia inceppato nel momento in cui i democristiani per estinzione del proprio partito si sono, insieme ai socialisti, spalmati tra i due partiti di riferimento all'interno dei due poli.
Non è un caso che il meccanismo può riprendere a funzionare nel momento in cui archiviata la seconda repubblica il governo Catto-Bancario del prof. Monti ha nel suo DNA la mappatura proprio della Democrazia Cristiana degli anni del benessere, del boom economico, della società dei consumi, ma non le risorse per uguagliarla.

Che il PD di Bersani sia troppo interessato all'accredito nei salotti bene della finanza internazionale a scapito dei soggetti più deboli non è una novità. La rincorsa alle banche finì nella burla dei ragazzini scoperti con le mani nella marmellata, e la scelta aclassista ha radici decisamente più lontane, legate alla stesse sorti dell'allora PCI.
Il rifiuto o di un governo “politico” o di larghe intese o di unità nazionale o di elezioni anticipate, è solo il sinonimo della volontà di non disturbare i grandi vecchi e le organizzazioni mondiali capaci di movimentare ingenti capitali in titoli e in liquidità, veri strumenti di ricatto politico sociale nei confronti di paesi sovrani.

Viene a mancare il fiato pure alla sinistra extraparlamentare, chi ha per troppo tempo tubato con alleanze imbarazzanti ma assolutamente organiche ad una spartizione di un po di seggiole (o sgabelli) in un ipotetico governo di pseudo centro-sinistra, ed oggi si trova in debito d'ossigeno e fuori gioco, vista l'indisponibilità da parte del PD stesso a percorrere strade diverse (e non necessariamente l'uscita dalla UE del nostro paese) per riconquistare autonomia politica e una politica indirizzata su tutto alla tutela di tutti quei soggetti definiti non a caso “più deboli”

Da parte della sinistra definita “radicale” la perenne ricerca di unificazione impossibile di soggetti insufficenti e inadeguati, e la mancanza di unificazione su un progetto comune di società legata alle trasformazioni politiche e sociali globalizzate.

...Mi sono tolto la giacca, resta troppo poco tempo per poterci permettere il lusso di pettinare le bambole o smacchiare i giaguari.

Non è nell'attuale Parlamento che si può costruire una alternativa alla società delle banche e della finanza. Da Seattle a Puerto Alegre, a Genova, oltre dieci anni di indicazioni sulla possibilità di società diverse e sostenibili. Non è il sofismo se superata o meno questa sinistra, è in quell'ambito e in quell'humus culturale che matura comunque questo dibattito, che può e deve trasformarsi in progetto sociale.

Loris




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sabato 12 novembre 2011

Da "res publica" a "res privata"

...a far cadere Berlusconi sono i diktat di banche e lobbies finanziarie.
Che, uno dei principali responsabili del disastro politico ed economico abbia abdicato non può che essere considerato un elemento positivo, anche se la soluzione del problema "debito" è solo  rimbalzato al nuovo esecutivo.
Senza fare giri di parole, la priorità resta di "Non pagare il debito", di riappropriarci degli spazi di democrazia violati da organismi economici ricondotti a soggetti privati (banche).
Loris

galleria di immagini - genova 11.11.11



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venerdì 11 novembre 2011

A quando la prossima? Genova - Consiglio Comunale straordinario sull'alluvione


Nei giorni scorsi ho avuto modo di intervenire, anche duramente, sulle responsabilità del Sindaco di Genova in merito alla recente alluvione. 
Spesso la mancanza di conoscenza di una situazione “locale”, come quella genovese, porta a considerazioni che non trovano riscontro rispetto a quello che forse potrebbe apparire il “buon senso politico” 
Concretamente io sostengo che il problema della chiusura o meno delle scuole è un falso problema, sicuramente corretto è il principio che le scuole in caso di “eventi” particolari diventino presidi sul territorio per la gestione dell'emergenza. Per cui se sotto questo profilo la Sindaco ha operato correttamente, sulla gestione dello stato d'allerta è stata quanto mai lacunosa. 
La responsabilità che imputavo, e continuo ad imputare alla Sindaco, è tutta politica, ed è quella di essere organica al partito della cementificazione, Di quel partito di opere inutili e dannose come la “gronda di ponente”, scempi come gli “Erzelli”, proposte indecenti come il nuovo stadio nella zona a mare di Sestri ponente a ridosso dell'Aereoporto, ed infine un nuovo via, nel nuovo puc presentato ai parcheggi sotterranei (quindi nuove impermeabilizzazioni del terreno). 

Viste le mie lacune esplicative, credo che la miglior spiegazione possibile arriva direttamente dalla sala Rossa del Consiglio Comunale con una, a mio parere imbarazzante, bocciatura di un o.d.g.

…..a quando la prossima?

Loris  (11.11.11)

ORDINE DEL GIORNO IN MERITO ALLA DISCUSSIONE RELATIVA AGLI EVENTI ALLUVIONALI DEL 4 NOVEMBRE 2011

Il Consiglio Comunale di Genova, 
Considerato l'impatto che l'alluvione di venerdi 4 novembre 2011 ha avuto su ampie parti del territorio genovese e, in particolare, la morte di 6 persone;

Premesso che il territorio così come la natura e la storia l’hanno consegnato a noi, è un patrimonio che va amministrato con la massima saggezza sapendo che è un bene limitato, che non è riproducibile. 
La sottrazione di anche un solo metro quadrato può significare lo stavolgimento dell’assetto idraulico e l’aumento dei rischi per le persone, oltre al danneggiamento del paesaggio;
Considerato che “costruire sul costruito” deve significare fermare il consumo di territorio, senza aumentare il carico insediativo e di urbanizzazioni primarie e secondarie, in zone già densamente popolate;

Tenuto conto del cambiamento climatico in atto che comporta precipitazioni intense frequenti, e della necessità di affrontare la sicurezza idrogeologica in maniera completa, sia con misure strutturali che non strutturali, come:
 manutenzione dei corsi e dei versanti
 riqualificazione del patrimonio forestale
 vincoli urbanistici, assicurazioni, prevenzione e protezione civile
 la rinaturalizzazione dei rii, compresi i loro versanti, permettendo la creazione di aree golenali, aumentando la capacità di ritenzione delle acque e la dissipazione dell’energia per ridurre il rischio idrogeologico più a valle,come stanno facendo da anni sulla Loira, in Francia, sulla Drava in Austria o sul Reno in Germania 
 aumento di territorio permeabile
 demolizione di strutture in argine 

impegna la Sindaco e la Giunta a:

 predisporre emendamenti al PUC in modo da aumentare la quantità di territorio permeabile nel Comune di Genova, non autorizzando nuovi insediamenti e parcheggi in aree naturali e inondabili;
 implementare protocolli certi e non ambigui con sistemi integrati di allarme per la gestione dell'emergenza in tutto il territorio comunale;
 non adeguarsi alla sconcertante diminuzione della distanza dai fiumi per le nuovi costruzioni, approvato recentemente dal Consiglio Regionale Ligure;
 rivendicare il proprio ruolo di governo del territorio, esprimendo la propria contrarieta' al “silenzio – assenso” previsto in un disegno di legge depositato dalla Giunta Regionale per i permessi a costruire;
 attivarsi verso le competenti autorità di polizia territoriale per procedere senza indugio all’abbattimento di quegli edifici situati sugli argini che riducono la sicurezza, prevedendone la ricollocazione e la rimozione di qulunque deposito/accumulo di inerti vicino ai tratti fluviali;
 Intervenire prioritariamente in quei corsi con particolare emergenza idraulica, per aumentare la capacità di smaltimento dei tronchi coperti, fino a soddisfare lo smaltimento della portata 200-ennale;
 Aiutare economicamente gli alluvionati per riavviare le attività, non dimenticandosi dei cittadini di Sestri Ponente alcuni dei quali ad oggi sono a rischio di fallimento per mancati finanziamenti;

Bruno (prc), Cappello (misto)




favorevoli 6 prc, cappello, bernabò, sel,

astenuti 8 (pdl,altra genova, lega, maggi)

contrari 23 (pd,idv)



per tutti i "foresti"

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mercoledì 9 novembre 2011

11.11.11 Genova - perchè manifestare


Le vicende "metereologiche" che hanno nuovamente coinvolto pesantemente Genova, non sono disgiunte dalla perdita di democrazia dovuta ai diktat della BCE .
Patti di stabilità che impongono tagli su servizi e manutenzioni del territorio inadeguati, insufficenti o nulli.
La rivendicazione di un sistema democratico non assoggettato ai ricatti delle banche, degli speculatori e della finanza criminale che ai profitti sacrifica gli individui i beni comuni e i più elementari diritti sociali.
Per queste ragioni portiamo in piazza le nostra indignazione e la nostra rabbia l'11.11.11.
Loris




11.11.11 Occupy The Streets. Occupy The World

venerdì 11 novembre alle ore 17, 30
davanti alla Banca d'Italia
via Dante 3 - Genova

Porta in Piazza la tua Indignazione!
Riprendiamoci gli spazi della protesta e dell'aggregazione,
della politica e del sociale.

Riprendiamoci il diritto all'indignazione e a far sentire la nostra voce.

Territori violati, beni comuni svenduti, servizi privatizzati, 
lavoro e vita sempre più precari
diciamo basta! 

Rimandiamo al mittente la lettera della BCE

diciamo no ai dictat della finanza e delle speculazioni!
Vieni in piazza con la tua denuncia, le tue proposte
Facciamoci sentire con pentole e coperchi!

11.11.11 Occupiamo le Strade. Occupiamo il mondo
spiazzaaffari.genova@gmail.com

venerdì 4 novembre 2011

Genova- la violenza al territorio inghiotte sette vite

...E questa volta i morti sono sette (per ora) di cui tre sono bambini. Indignazione? rabbia? voglia di rovesciare tutto il rovesciabile? Non saprei proprio come esprimere il sentimento che  ormai da ore mi sta attraversando animo, corpo e mente.
Penso che il prezzo sia un prezzo inaccettabile e che le responsabilità siano molteplici. Penso che la violenza esercitata sul territorio si è trasformata in violenza esercitata fisicamente sui corpi di quei bambini, di tutte le vittime e di tutti coloro che hanno perso qualche bene in quell'acqua violenta.
Ci saranno inchieste della magistratura, ci saranno accertamenti più o meno di responsabilità, il fato si assumerà forse gli oneri più cospiqui.
Ieri infine in una parziale giornata di sole, sul giornale cittadino "Corriere Mercantile" Andrea Agostini esponeva in un articolo intervista il suo punto di vista.
Lo chiameremo Cassandra?
Loris


da  corriere mercantile del 3/11/2011
La denuncia - Da Ponente a Levante e nelle due vallate la “mappa" delle aree più esposte
Legambiente: <A Genova ancora tante zone a rischio>
Agostini: <Troppe cementificazioni e poca manutenzione del territorio. Un evento simile a quello di Vernazza potrebbe accadere qui>




<Se su Genova si abbattessero i 40 centimetri di pioggia che sono caduti su Vernazza, in molte zone della città si correrebbero rischi analoghi». Non teme di usare toni allarmistici Andrea Agostini, presidente del circolo Nuova Ecologia di Legambiente, mentre sulla città incombe la minaccia del nuovo allerta meteo. E la "sua" mappa dei rischi - che imputa a carenza di manutenzione del territorio e alle cementificazioni - spazia da Levante a Ponente, dalla Valpolcevera alla Valbisagno. «Mi pare che ormai si concordi sul fatto che per l’alluvione di Vernazza siano stati decisivi il crollo del parcheggio costruito a monte del paese e la mancanza di manutenzione del territorio soprastante - osserva Agostini - Ma, lasciando che la magistratura faccia il suo lavoro, bisogna chiedersi come è stato possibile che si sia autorizzata una costruzione di quel tipo. E siccome anche a Genova sono state autorizzate cementificazioni in zone fragili del territorio, siamo tutt’altro che immuni dal rischio di altre alluvioni». L’“excursus“ del rappresentante di Legambiente parte dalla Valpolcevera: «Con la realizzazione delle strade di sponda gli argini del Polcevera sono stati cementificati e, quando piove, questo aumenta la velocità di scorrimento dell’acqua e, di conseguenza, la potenza del suo impatto» spiega, citando l’area di Fiumara come una di quelle a facile rischio di allagamenti. «Nella stessa valle - continua Agostini - altre zone a rischio sono quella del rio Fegino a nord, dove ci sono i cantieri, e a valle verso Manesseno, dove i Comuni di Genova e di Sant’Olcese hanno autorizzato la costruzione rispettivamente di capannoni industriali e di palazzi lungo il Secca che su un lato non ha protezioni». Dalla Valpolcevera al Ponente, con i torrenti Branega e Chiaravagna: «A monte del Branega non sono ancora stati rimossi molti tronchi di alberi bruciati dopo l’ultimo incendio e pronti a finire nel torrente - denuncia Agostini - A Sestri l’"effetto tappo" costituito dagli interventi realizzati alla foce del Chiaravagna è sempre lo stesso, e il palazzo di via Giotto è ancora lì. Ma a Sestri la situazione è anche peggiorata rispetto all’alluvione che un anno fa aveva mandato a bagno le aziende di via Merano, perché a Erzelli si è continuato a costruire e, quindi, a impermeabilizzare il terreno e non mi risulta che si sia fatto nulla per evitare il rischio di un’altra alluvione». Spostandosi dal Ponente alla Valbisagno Agostini punta il dito sullo stato del Fereggiano: «L’ultimo tratto scoperto è quello più pericoloso - denuncia - Da un lato si è costruito e dall’altro ci sono muretti pericolanti e, come se non bastasse, a monte si è autorizzata la realizzazione di un parcheggio. Nonostante gli interventi in corso per rifare la copertura del Bisagno, la zona vicino al ponte di Sant’Agata resta a rischio, mentre non è stata ancora pulita, a monte, l’area della Valbisagno colpita dall’ultimo incendio». Ma, secondo l’esponente ambientalista, le cose non vanno meglio a levante, dove "nel mirino" c’è, fra l’altro, il rio Bagnara «che a Quinto scorre fra cementificazioni, muri pericolanti e argini dissestati» e «la zona fra via dei Floricoltori e via Donato Somma, a Nervi, dove si sta costruendo un parcheggio. Prima che si aprisse questo cantiere - osserva Agostini - il corso d’acqua che passa di lì, almeno da un lato aveva uno spazio verde che rappresentava un’area di sfogo in caso di forti piogge, mentre adesso c’è altro cemento». «Bastano questi pochi esempi - conclude - per capire che a Genova le esperienze del passato non hanno ancora insegnato abbastanza. Adesso tutti piangono per quello che è successo nelle Cinque Terre, ma noi di Legambiente lo denunciamo e diciamo che prima di autorizzare nuovi interventi di cementificazione un pubblico ufficiale dovrebbe valutare quali possono essere le conseguenze e avere anche una garanzia di manutenzione, perché non basta che il tubo sia abbastanza largo, se poi nessuno si occupa di 
tenerlo pulito. In una regione così fragile e che ha già pagato un alto prezzo alle cementificazioni, è ora che le amministrazioni pubbliche modifichino radicalmente la politica del territorio.

a.c.


Ciarpam-Populismo – dalla Leopolda passare alla Bernarda in fondo non è impossibile.



Un personaggio dello spettacolo di basso profilo e di statura, un giorno parlò del teatrino della politica e non è un caso che il suo mentore amasse circondarsi di nani clown e ballerine. 

Oggi a disposizione abbiamo delle gallerie non indifferenti di rappresentazioni per tutti i generi di commedia o di tragedia. 

Considerando la letteratura digitale che si è generata in questi giorni sulla convention “Big Bang” del sindaco PD(senza la L ma non si sa per quanto) Matteo Renzi, aggiunte o ulteriori considerazioni risulterebbero superflue ininfluenti e ripetitive. 

Casualmente ho avuto modo di rovinarmi la digestione seguendo in diretta qualche sera fa il programma otto e mezzo con ospite l’ex sindaco di Torino Chiamparino che aveva partecipato al meeting alla Leopolda invitato da Renzi. 

Liberalizzazioni, mercato del lavoro privatizzazioni pensioni ecc.. sono stati i temi trattati. 

Contrariamente a quanto molti dei miei esimi colleghi blogger sostengono facendo riferimento ai voti ottenuti da Grillo in Piemonte, sulla distrazione di voti dal centrosinistra al movimento cinque stelle e del conseguente favoreggiamento e vittoria del centrodestra, penso che il solo ipotizzare dirigenti politici o amministratori come Chiamparino con i suoi programmi politici ed economici, possa provocare una idiosincrasia insanabile nei confronti di movimenti partiti o coalizioni che lo includano al suo interno. ….per chi ne ha voglia, ecco la puntata di “otto e mezzo”




Ma se Renzi è il sindaco che la destra ci invidia......

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se il g20 non va in paradiso


Autore: Alberto Zoratti
fonte: Altreconomia

Arrivare al Principato di Monaco non è mai stato così complicato. Dalla strada vista mare che porta dal micropaese di Cap d'Ail ad uno dei paradisi fiscali più cinematografici del mondo il 3 novembre il passaggio era off limits, ma non per i milioni di euro che convergono verso l'anonimato ed i privilegi di Montecarlo, ma per gli oltre 500 manifestanti che in mattinata hanno provato ad avvicinarsi ai confini virtuali della città stato monegasca.
Un gruppo di clown ed un sound system con un pallone gigante precedevano una manifestazione che sottolineava come sia necessario tassare le transazioni finanziarie, un dejà vu dei primi public forum del secolo quando si cominciava a parlare di Tobin tax facendo sorridere frotte di presuntuosi economisti.
Dieci anni dopo ed una crisi mondiale sulla testa hanno spento quei sorrisi, ma la questione rimane aperta soprattutto nel momento in cui gli effetti della finanziarizzazione dell'economia hanno metastatizzato ogni angolo del vivente. Un sistema così onnivoro, come ogni animale selvatico non ha solo bisogno di crescere e di andare a caccia di opportunità, ma anche di nascondersi. Ed è quello che succede negli oltre 40 Paesi (dato Ocse, il Financial Stability Board parla di oltre 60) che hanno scelto di diventare rifugio per la finanza impazzita. Parliamo di oltre 11 mila miliardi di dollari nascosti al fisco e custoditi da prestanome e società fantasma, una cifra che corrisponde ad un quinto del Prodotto interno lordo mondiale e al doppio della cifra stanziata in questi anni per affrontare l'attuale crisi economica.
Quando parliamo di finanza offshore non stiamo però parlando solamente di Paesi esotici, ma zone franche all'interno del sistema finanziario globale, come la city di Londra o il centro finanziario di New York, o ancora la conosciutissima Svizzera e il minuscolo principato di Monaco.
Con alcune di queste, vedi la Svizzera, si stanno imbastendo accordi bilaterali per risolvere una situazione insostenibile. Ma per alcuni di questi, vedi l'Italia, il problema dell'anonimato rimarrà probabilmente intonso. Ma la questione più scandalosa rimane la lista nera dei tax heavens, rimasta praticamente vuota. Paesi come le British Virgin Islands, le Isole Cayman, Gibilterra e il Lichtenstein sono stati addirittura promossi perchè collaborativi. Ma la totale inconsistenza di un G20 che solo che due anni fa aveva dichiarato guerra alla finanza off shore di tutto il mondo dimostra l'inutilità di questi vertici. E tutto questo mentre gli scandali continuano, l'ultimo in ordine di tempo sono le dimissioni di Tsuyoshi Kikukawa dalla presidenza dell'Olympus, la nota multinazionale leader in dispositivi medici e fotografici in seguito all'accusa di aver dirottato fondi in paradisi fiscali per evadere le tasse. E mentre i Paesi, e l'ecosistema, hanno bisogno di centinaia di miliardi di dollari per rimettersi in piedi.

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mercoledì 2 novembre 2011

Sulle donne, e su quelle più deboli, l'effetto della crisi



In Italia, così come a Genova, la violenza domestica è in continuo aumento e le strutture qualificate a portare aiuto psicologico, legale e d’emergenza sono a rischio di  chiusura. I tagli economici effettuati dal Governo attraverso le diverse manovre hanno fatto sì che la Regione Liguria abbia notevolmente ridotto i finanziamenti, e reso quindi impossibile per Comune e Provincia di Genova, sopperire con i propri fondi all’esistenza del Centro provinciale antiviolenza di Via Mascherona, in modo da garantire il mantenimento dei servizi erogati. Ad oggi si prospettiva quindi la chiusura del Centro e dei Centri distaccati sul territorio. Per non disperdere completamente ciò che è stato fatto in questi tre anni d’interventi operativi, per dare risposte concrete alle donne e ai minori vittime di violenze, le Associazioni firmatarie di questa comunicazione organizzano, con la collaborazione di Coop Liguria, un 

l'iniziativa in programma causa maltempo è rinviata a data da destinarsi

“APERITIVO SOLIDALE”
4 novembre 2011 - ore 17.00
Sala incontri Coop Dinegro Terminaltraghetti  
OFFERTA LIBERA A SOSTEGNO DEL CENTRO ANTIVIOLENZA

L’iniziativa sarà animata da letture teatralizzate a cura di Antonella Sodini e Lorena Luccatini e da intervallo musicali di Alessandra Ravizza del gruppo musicale Rebis.
La manifestazione è finalizzata a una raccolta di fondi per il mantenimento del Centro di Via Mascherona. Partecipate  numerosi!


Il Centro Provinciale Antiviolenza, inaugurato il 25 novembre 2008 , è nato in ottemperanza alla Legge Regionale 12/2007, "Interventi di prevenzione della violenza di genere e misure a sostegno delle donne e dei minori vittime di violenza", e grazie alla collaborazione tra la Regione Liguria, la Provincia di Genova, il Comune di Genova e tutte le Associazioni e gli Enti aderenti alla Rete Provinciale contro la violenza di genere. (vai al sito)
Per informazioni e per eventuali donazioni andate sul sito per i contatti.  SITO


Puoi contribuire anche con un versamento su c/c 1000/860 Banca Intesa San Paolo Filiale 3948
 intestato a:  Gruppo Mafalda Sampierdarena Fondo Centro Antiviolenza 
IBAN: IT40D0306901455100000000860



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