…Sugli sviluppi della battaglia e sulle vicende successive che portarono all'annullamento del congresso missino, ebbe una parte dI primo piano Giordano Bruschi. Il suo racconto in certi punti ha i toni dell'epopea popolare, resa evidente dalla dichiarazione iniziale.
Il gruppo della Commissione esecutiva della Camera del Lavoro, una ventina di compagni comunisti e socialisti, me compreso, si assunsero la grossa responsabilità dei fatti del 30 giugno del 1960. La Camera del Lavoro ebbe la grande intuizione di capire la spinta popolare, che fu notevolmente più grande di quanto non si pensasse. Fissammo l’appuntamento per il corteo in una piccola piazza, piazza della Nunziata, per le ore 15 del 30 giugno. Lì non pensavamo che ci fosse la marea di gente che invece si presentò. Tantissimi giovani; fu uno dei momenti storici delle saldature delle diverse generazioni, quella dei ragazzi delle magliette a strisce, assieme ai lavoratori. Fu una grande manifestazione spontanea che ho vissuto momento per momento.
In 100.000 hanno partecipato al corteo. Quando sono scoppiati gli incidenti in piazza De Ferrari c’erano rimaste in piazza circa 15.000 persone, che non volevano allontanarsi L'atteggiamento del la polizia era provocatorio; fu inevitabile lo scoppio degli incidenti. Quello che nessuno aveva previsto, tanto meno la polizia, fu che la rabbia sarebbe esplosa in modo da cacciarli dalla piazza con le jeeps e tutte le sue armi. Io ero lì: proprio vicino al palazzo della Società Italia dove erano schierati i gipponi della polizia. Alla prima carica della polizia, i gipponi si misero a ruotare vorticosamente prima sulla strada, poi salirono i gradini, e schiacciavano le persone, che si rifùgiavano verso la vasca, con una grande brutalità. Anch’io salii sul bordo della vasca con i poliziotti che arrivavano sfiorarci e con i manganelli a colpire. In una di queste cariche sono finito nella vasca, e sono rimasto bagnato, inzuppato tutto il giorno. In un primo momento, la polizia riuscì a sgombrare la piazza, con bombe lacrimogene, sfollagente, ecc. Ma avvenne un fatto imprevisto: gli operai cacciati dalla piazza si ritirarono lungo i vicoli o verso piazza Dante, e non appena si fu ricostituita una situazione favorevole, ci fu una invasione di massa della piazza. Ci vorrebbe probabilmente un grande cineasta come John Ford per descrivere la cavalcata di migliaia di persone che da tutti i lati della piazza con un grande urlo si gettarono di nuovo verso la fontana. I poliziotti prima tentarono qualche carosello, però i cittadini esasperati per le cariche e per gli spari questa volta ebbero il so pravvento. Una dopo l'altra le autoblinde furono immobilizzate. Una dopo l'altra le squadre della Celere furono costrette a scappare. Un ufficiale fu gettato dentro la vasca; intervenne un compagno della Camera del Lavoro per impedire che questo capitano della Celere di Padova annegasse perché era saldamente tenuto da un operaio per il collo con la testa infilata sotto l'acqua. C'era l'esasperazione, e poi c'erano i cantieri edili dai quali vennero prese delle tavole, ecc. I poliziotti che finirono all'ospedale furono 272. Lo scontro fu veramente durissimo. Quanti fossero i manifestanti feriti non si è mai saputo, perché in genere i lavoratori non andavano a farsi curare al Pronto soccorso. Poi l'ANPI compì un'opera di pacificazìone, perché ancora in serata c'erano blocchi stradali, e la tensione era fòrtissima. Ricordo che nella notte fra il 10 e il 12 luglio era ancora incerto se si sa rebbe tenuto il raduno fascista, perché si tentavano le solite mediazioni politiciste; anche esponenti della sinistra avevano accettato che si tenesse il congresso invece che in via XX Settembre a Nervi. Ma lavoratori e partigiani non ne volevano assolutamente sapere. Ero alla Camera del Lavoro all’una di notte fra il sabato e la domenica (il 30 giugno era un giovedì); venne il comunicato della Prefettura con il quale il prefetto annullava il congresso. Allora un gruppo di dirigenti sindacali come prima cosa si recò in via XX Settembre, dove c'è il sacrario dei caduti partigiani, che in quei giorni era ancora presidiato dai lavoratori. Ricordo con commozione il comizio che facemmo con l'annuncio che la battaglia era stata vinta. E poi tutta la notte andammo nelle stazioni di Principe e di Brignole per gridare ai fascisti che se ne andassero a casa perché il congresso non si sarebbe tenuto.
La testimonianza di Bruschi è tratta da :
"Vite da compagni"
di Nicolò Bonacasa e Remo Sensoni
Edizioni EDIESSE
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