Intervista telefonica di Aprile a Flavio Lotti ieri sera 5 marzo 2009
Qual è la situazione al check point di Eretz?
Lo abbiamo lasciato da un'ora circa. Ora siamo a Tel Aviv per incontrarci con l'Associazione israeliana dei medici per i diritti umani, poi ci incontreremo con l'ambasciatore italiano.
Non siete riusciti ad entrare neanche oggi. Qual è stato l'iter burocratico che avete seguito come delegazione per ottenere le autorizzaioni?
Dal 17 febbraio abbiamo chiesto l'autorizzazione ad entrare nella Striscia tramite il consolato a Gerusalemme, che ci è stata prima concessa e poi negata. Il 26 febbraio abbiamo ricevuto l'ok da Israele, ma il giorno dopo ci è stato riferito che la pratica non era stata completata perché non c'era il coordinamento - le autorità israeliane non oppongono mai formalmente un secco diniego - e che quindi non si poteva procedere. E benché ieri il consolato di Gerusalemme e l'ambasciata italiana a Tel Aviv - da noi sollecitata in aggiunta - si siano epressi ottimisticamente circa uno sblocco della situazione, oggi ci siamo trovati per la terza volta nella impossibilità di varcare il confine con la Striscia.
Quali sono a tuo avviso le motivazioni per questo diniego?
Fondamentalmente ci sono due elementi. Il primo è di carattere generale, tutti gli aiuti umanitari e gli operatori che arrivano al valico vengono sottoposti a durissime restrizioni. Stamattina solo una trentina o poco più di persone sono riuscite a passare, si è trattato di rappresentanti dell'Onu e della Croce Rossa e pochi altri tra cui una quindicina di amministratori locali francesi presentatisi con il console in appoggio diretto; anche una delegazione spagnola è riuscita a passare su auto blindate del consolato.
Dunque un appoggio ufficiale diretto avrebbe fatto la differenza?
Se fossimo stati accompagnati avremmo avuto una chance in più, ma il problema vero - e qui vengo al secondo elemento - è di natura politica, perché ci vogliono 8 giorni lavorativi per espletare le formalità, così come dichiarato dalle stesse autorità israeliane. Il problema grave è che la nostra non è una delegazione di volontari che si muovono a titolo personale, ma la rappresentanza di una rete di organismi che ci ha incaricato di definire un piano concreto di aiuti per la popolazione, e non di stipulare la pace con Hamas.
Siamo qui per lo stesso motivo per il quale il nostro governo ha promesso di stanziare 100 milioni di dollari.
Quali notizie vi arrivano dalla Striscia?
La guerra non è mai finita, si è solo attenuato il carico di bombe sulla testa della popolazione. Continuano a sentirsi colpi di cannone sparati quasi tutti i giorni, inclusa stamattina. Ieri l'aviazione israeliana ha portato a segno due omicidi mirati di esponenti della jihad islamica. Le incursioni continuano lungo il confine segnato dal valico di Rafah e ancora mancano tutti i beni fondamentali, non c'è pasta né cibi della tradizione palestinese e perfino i ceci sono stati messi al bando fino a pochi giorni fa, mentre le derrate alimentari dell'Onu non possono entrare se non a microdosi giornaliere.
Data la situazione, quali prospettive si delineano per l'immediato futuro?
Prospettive terribili se l'Europa e il mondo non chiedono ad Israele di aprire i valichi e non si spendono per la ripresa del negoziato di pace; prospettive terribili se gli stessi governi che promettono 4 miliardi di dollari non fanno nulla per cercare di mettere fine al conflitto.
C'è qualcosa che vuoi dire ai politici italiani?
Lancio un appello ad agire insieme e ad assumerci la responsabiltà di rendere più concreta e efficace l'azione del nostro paese; perché ci si muova per un aiuto umanitario immediato facendo pressione sulle autorità israeliane in modo che non vi siano più intoppi come quello a cui siamo andati incontro noi come delegazione. Sul piano politico, per aiutare i palestinesi nel processo di riconciliazione nazionale e rimettere sul tavolo quelle scelte che possono consentire alle parti di rientrare nella pace, non senza l'intervento dell'Italia, dell'Europa e della comunità internazionale: non si può favorire una delle parti, ma mediare. Oggi si sta lavorando per preparare la prossima guerra, perche ciò che sta accadendo fa aumentare la rabbia, la frustrazione e l'estremismo.
Qual è la situazione al check point di Eretz?
Lo abbiamo lasciato da un'ora circa. Ora siamo a Tel Aviv per incontrarci con l'Associazione israeliana dei medici per i diritti umani, poi ci incontreremo con l'ambasciatore italiano.
Non siete riusciti ad entrare neanche oggi. Qual è stato l'iter burocratico che avete seguito come delegazione per ottenere le autorizzaioni?
Dal 17 febbraio abbiamo chiesto l'autorizzazione ad entrare nella Striscia tramite il consolato a Gerusalemme, che ci è stata prima concessa e poi negata. Il 26 febbraio abbiamo ricevuto l'ok da Israele, ma il giorno dopo ci è stato riferito che la pratica non era stata completata perché non c'era il coordinamento - le autorità israeliane non oppongono mai formalmente un secco diniego - e che quindi non si poteva procedere. E benché ieri il consolato di Gerusalemme e l'ambasciata italiana a Tel Aviv - da noi sollecitata in aggiunta - si siano epressi ottimisticamente circa uno sblocco della situazione, oggi ci siamo trovati per la terza volta nella impossibilità di varcare il confine con la Striscia.
Quali sono a tuo avviso le motivazioni per questo diniego?
Fondamentalmente ci sono due elementi. Il primo è di carattere generale, tutti gli aiuti umanitari e gli operatori che arrivano al valico vengono sottoposti a durissime restrizioni. Stamattina solo una trentina o poco più di persone sono riuscite a passare, si è trattato di rappresentanti dell'Onu e della Croce Rossa e pochi altri tra cui una quindicina di amministratori locali francesi presentatisi con il console in appoggio diretto; anche una delegazione spagnola è riuscita a passare su auto blindate del consolato.
Dunque un appoggio ufficiale diretto avrebbe fatto la differenza?
Se fossimo stati accompagnati avremmo avuto una chance in più, ma il problema vero - e qui vengo al secondo elemento - è di natura politica, perché ci vogliono 8 giorni lavorativi per espletare le formalità, così come dichiarato dalle stesse autorità israeliane. Il problema grave è che la nostra non è una delegazione di volontari che si muovono a titolo personale, ma la rappresentanza di una rete di organismi che ci ha incaricato di definire un piano concreto di aiuti per la popolazione, e non di stipulare la pace con Hamas.
Siamo qui per lo stesso motivo per il quale il nostro governo ha promesso di stanziare 100 milioni di dollari.
Quali notizie vi arrivano dalla Striscia?
La guerra non è mai finita, si è solo attenuato il carico di bombe sulla testa della popolazione. Continuano a sentirsi colpi di cannone sparati quasi tutti i giorni, inclusa stamattina. Ieri l'aviazione israeliana ha portato a segno due omicidi mirati di esponenti della jihad islamica. Le incursioni continuano lungo il confine segnato dal valico di Rafah e ancora mancano tutti i beni fondamentali, non c'è pasta né cibi della tradizione palestinese e perfino i ceci sono stati messi al bando fino a pochi giorni fa, mentre le derrate alimentari dell'Onu non possono entrare se non a microdosi giornaliere.
Data la situazione, quali prospettive si delineano per l'immediato futuro?
Prospettive terribili se l'Europa e il mondo non chiedono ad Israele di aprire i valichi e non si spendono per la ripresa del negoziato di pace; prospettive terribili se gli stessi governi che promettono 4 miliardi di dollari non fanno nulla per cercare di mettere fine al conflitto.
C'è qualcosa che vuoi dire ai politici italiani?
Lancio un appello ad agire insieme e ad assumerci la responsabiltà di rendere più concreta e efficace l'azione del nostro paese; perché ci si muova per un aiuto umanitario immediato facendo pressione sulle autorità israeliane in modo che non vi siano più intoppi come quello a cui siamo andati incontro noi come delegazione. Sul piano politico, per aiutare i palestinesi nel processo di riconciliazione nazionale e rimettere sul tavolo quelle scelte che possono consentire alle parti di rientrare nella pace, non senza l'intervento dell'Italia, dell'Europa e della comunità internazionale: non si può favorire una delle parti, ma mediare. Oggi si sta lavorando per preparare la prossima guerra, perche ciò che sta accadendo fa aumentare la rabbia, la frustrazione e l'estremismo.
ps. sono in partenza per l'assemblea di firenze per la lista unitaria della sinistra per le europee esterna alle segreterie dei partiti. Compatibilmente con le connessioni cercherò di tenere aggiornato il blog.
2 commenti:
A proposito della questione di Gaza e Israele, tiene banco al momento, a quanto pare, il rifiuto italiano (e di altri paesi) di partecipare alla stesura del documento fondativo del secondo vertice di Durban sul razzismo, perché accusato di avere passi antisemiti.
Tutti i quotidiani hanno riportato con clamore la notizia, senza però riportare i brani incriminati.
Li ho riportati sul mio blog e non sono altro che critiche alle politiche militari del governo israeliano, relativamente alla tante violazioni delle risoluzioni ONU compiute dal governo israeliano in tutti questi anni.
La pubblica opinione però potrà solo pensare all'antisemitismo, perché nessuno si degna di riportare integralmente i passi contestati.
Ecco come creare paure di antisemitismo ad arte, e far volgere lo sguardo altrove dalle reali responsabilità di questi eventi...
Oppure possiamo credere che l'ONU e razzista e poi cambiare canale per vedere le ultime news dal Grande Fratello 9.
Adesso non se ne parla più, ovviamente è passata di moda. Voglio solo dire che sulla striscia si muore ancora. Piccoli raid camuffati stanno continuando a fare un paio di morti a settimana. In quel periodo, l'unica informazione vera era quella che arrivava proprio da Gaza. Una lode quindi, a Vittorio Arrigoni.
Il suo blog è questo:
http://guerrillaradio.iobloggo.com/
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