Alcuni giorni fa Haidi Gaggio Giuliani nel visitare il mio blog è rimasta colpita da un link riportato: “Carlo Cuomo una brava persona”. C’è stato un rapido scambio di mail e mi ha inviato questo scritto fatto un po di tempo fa per la FIOM di Sesto San Giovanni.
A Carlo, a proposito di Carlo
di Haidi Gaggio Giuliani
Non vi siete mai conosciuti, e chissà se ti ho parlato di lui. Eppure lui è entrato nella tua vita prima ancora che tu venissi al mondo, con la scelta del nome. Un nome breve, per non complicarti le relazioni sociali, senza riferimenti a nonni o antenati, per non suscitare gelosie familiari. Anche in un nome di cinque lettere, tuttavia, si possono racchiudere affetti e speranze, l’esempio di una vita, la ricchezza umana di una persona vera, di un vero compagno.
L’avevo conosciuto negli anni della mia giovinezza, agli incontri di partito, ai dibattiti, alle feste de l’Unità: lui era più grande di me, per età, intelligenza, cultura, esperienza; ci univa una visione più di 'sinistra', rispetto al Pci milanese, l’avere radici in terre lontane, l’essere 'cittadini del mondo'; ci univano i canti della Resistenza e del lavoro, le canzoni dialettali italiane o quelle francesi, latinoamericane, greche…
Soprattutto ci univano la comune convinzione che la battaglia più importante da giocare fosse quella per una scuola pubblica rinnovata, efficiente, aperta ai problemi e alla vita della società; una scuola capace di 'formare' i propri alunni, più che 'informarli' in modo sterile e nozionistico, e di aprire un dialogo educativo e costruttivo con le famiglie.
In quegli anni lui lavorava attivamente – come era sua abitudine – nella commissione scuola in Federazione; io preparavo, ricca solo di entusiasmo, progetti di elementari a tempo pieno in un quartiere dormitorio che prevedeva doppi o tripli turni senza mensa per i figli degli operai immigrati.
Lo tenevo per ore davanti a un bicchiere disegnando nell’aria fumosa di una cantina, sezione di partito o trattoria che fosse, libere classi di bambine e bambini felici di giocare, manipolare, sperimentare; felici di sviluppare la loro innata curiosità; liberi dalla frustrazione del fallimento, dalla sfiducia in se stessi che spegne ogni entusiasmo; felici di imparare.
Lui cercava di trascinarmi a convegni dove, improvvisamente muta, io non riuscivo a superare la mia timidezza. Ci sarei riuscita dopo più di trent’anni: sei stato tu a darmi il coraggio della disperazione.
Una sera mi telefona, ha bisogno di me, c’è in visita la sorella di un’esule greca: erano anni di colonnelli. La sorella, insegnante in una scuola privata, era venuta in Italia per conoscere i nuovi metodi, le nuove tecniche didattiche: insiemistica, psicomotricità; superamento del manuale e del libro di testo uguale per tutti con l’adozione alternativa; creazione delle biblioteche di classe…
Lui fa da interprete, attento, gentile, competente come al solito.
L’altra, fuggita dal carcere e dalla dittatura fascista, dovrà restare nel nostro paese ancora per qualche anno e diventerà, come tu sai bene, anche una mia sorella.
Il tempo passa, e passano i colonnelli, fortunatamente: la mia 'famiglia greca' riprende la strada di casa, lasciando molto vuota la mia.
Se ci siamo amati? Beh sì, naturalmente, lui ci amava tutte, ed era l’unico da cui non ci siamo mai sentite tradite, era l’unico che non ci rubava la libertà.
Diceva, quando mi lamentavo della mia scarsa statura: 'Ora sei carina; poi diventerai una qualsiasi donnetta di mezza età; ma infine, oh, sarai una deliziosa nonnina!'. E insisteva con la voce su quel 'deliziosa', mentre gli spuntavano mille rughine agli angoli degli occhi che socchiudeva, ridendo.
E’ lui che mi ha fatto conoscere vostro padre, allora segretario di una sezione del partito che si trovava dall’altra parte di Milano. E’ lui che, da assessore, ci avrebbe sposati, quando Elena aveva cinque anni.
Il dopo lo conosci, lo hai sentito raccontare tante volte: sposati per otto punti, per riuscire ad avere io il trasferimento a Roma, dove Giuliano lavorava già da più di due anni; l’unica persona a prendere seriamente quella cerimonia, Elena: attenta ad ogni parola, col suo mazzolino di fiori in mano, appena l’assessore Cuomo aveva finito di parlare '…e il fratellino?', mi aveva chiesto, perentoria. Glielo avevo promesso da tempo, il fratellino; 'quando sposeremo papà', le avevo ripetuto spesso.
Il fratellino, tu.
In seguito ho incontrato raramente Carlo Cuomo.
Ricordo un giorno: ci eravamo già trasferiti da Roma a Genova, seguendo gli incarichi sindacali di papà; ero arrivata con gli altri compagni a Milano con un treno della Cgil, non so più per quale manifestazione. Mentre siamo lì, nella solita confusione di bandiere e striscioni da srotolare, prima di formare il corteo, sento alle mie spalle una voce inconfondibile. Lo abbraccio e poi '...di che cosa ti occupi adesso?' domando, indicando i giornali e i volantini nelle sue mani 'Di quelli che non piacciono a nessuno', risponde '…immigrati?…tossicodipendenti?… malati di Aids?'
Lui scuote la testa ridendo, come per dire che no, che di quelli qualcuno si occupa, mentre c’è chi è antipatico anche alle persone apparentemente più aperte… Mi arrendo, e lui mentre si allontana: 'Zingari!'.
Già, gli zingari; tutte le volte che, in seguito, ne ho incontrato qualcuno non ho potuto fare a meno di pensare a lui; ad ogni film di Kusturica che mi è capitato di vedere, era lui che rideva, che cantava alzando il bicchiere a salutare la vita, perfettamente a suo agio tra un gatto nero e un gatto bianco come a un convegno alla Casa della cultura; in un’assemblea di quartiere come tra i libri di una biblioteca; nelle stanze di Palazzo Marino o nei labirinti della politica.
Già, la politica: raramente ho conosciuto qualcuno così profondamente partecipe e nello stesso tempo assolutamente immune da sirene e intrighi, da tutti quei giochi squallidi che hanno allontanato te e continuano ad allontanare tanti giovani come te dal valore di occuparsi della cosa pubblica, del bene della comunità: perché questo dovrebbe essere la politica.
Purtroppo lo è per pochi, sicuramente lo era per Carlo.
Un compagno vero.
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Ho avuto il privilegio di conoscere Carlo Cuomo verso la fine della prima metà degli anni 70. Parlo di privilegio perché ritengo che siano poche le persone che attraversano la nostra vita, anche se per poco tempo, e riescono a trasmettere un rigore morale e politico con la serenità che aveva Carlo Cuomo. Una casa sempre aperta a tutti, una cultura messa senza ostentazione al servizio degli altri.
Per anni ho ripensato a lui, alla sua famiglia, ai compagni milanesi come forse un periodo idealizzato dalla mia fantasia di indefesso sinistroide comunista .
Non avevo idealizzato, Haidi mi da la conferma che quello che per me è rimasto un ricordo mai sopito oggi lo traduco in un insegnamento di come la politica possa assumere spessori morali che rimangono immutati nel tempo e scrive la storia di tutti i giorni.
Grazie Carlo
Loris
A Carlo, a proposito di Carlo
di Haidi Gaggio Giuliani
Non vi siete mai conosciuti, e chissà se ti ho parlato di lui. Eppure lui è entrato nella tua vita prima ancora che tu venissi al mondo, con la scelta del nome. Un nome breve, per non complicarti le relazioni sociali, senza riferimenti a nonni o antenati, per non suscitare gelosie familiari. Anche in un nome di cinque lettere, tuttavia, si possono racchiudere affetti e speranze, l’esempio di una vita, la ricchezza umana di una persona vera, di un vero compagno.
L’avevo conosciuto negli anni della mia giovinezza, agli incontri di partito, ai dibattiti, alle feste de l’Unità: lui era più grande di me, per età, intelligenza, cultura, esperienza; ci univa una visione più di 'sinistra', rispetto al Pci milanese, l’avere radici in terre lontane, l’essere 'cittadini del mondo'; ci univano i canti della Resistenza e del lavoro, le canzoni dialettali italiane o quelle francesi, latinoamericane, greche…
Soprattutto ci univano la comune convinzione che la battaglia più importante da giocare fosse quella per una scuola pubblica rinnovata, efficiente, aperta ai problemi e alla vita della società; una scuola capace di 'formare' i propri alunni, più che 'informarli' in modo sterile e nozionistico, e di aprire un dialogo educativo e costruttivo con le famiglie.
In quegli anni lui lavorava attivamente – come era sua abitudine – nella commissione scuola in Federazione; io preparavo, ricca solo di entusiasmo, progetti di elementari a tempo pieno in un quartiere dormitorio che prevedeva doppi o tripli turni senza mensa per i figli degli operai immigrati.
Lo tenevo per ore davanti a un bicchiere disegnando nell’aria fumosa di una cantina, sezione di partito o trattoria che fosse, libere classi di bambine e bambini felici di giocare, manipolare, sperimentare; felici di sviluppare la loro innata curiosità; liberi dalla frustrazione del fallimento, dalla sfiducia in se stessi che spegne ogni entusiasmo; felici di imparare.
Lui cercava di trascinarmi a convegni dove, improvvisamente muta, io non riuscivo a superare la mia timidezza. Ci sarei riuscita dopo più di trent’anni: sei stato tu a darmi il coraggio della disperazione.
Una sera mi telefona, ha bisogno di me, c’è in visita la sorella di un’esule greca: erano anni di colonnelli. La sorella, insegnante in una scuola privata, era venuta in Italia per conoscere i nuovi metodi, le nuove tecniche didattiche: insiemistica, psicomotricità; superamento del manuale e del libro di testo uguale per tutti con l’adozione alternativa; creazione delle biblioteche di classe…
Lui fa da interprete, attento, gentile, competente come al solito.
L’altra, fuggita dal carcere e dalla dittatura fascista, dovrà restare nel nostro paese ancora per qualche anno e diventerà, come tu sai bene, anche una mia sorella.
Il tempo passa, e passano i colonnelli, fortunatamente: la mia 'famiglia greca' riprende la strada di casa, lasciando molto vuota la mia.
Se ci siamo amati? Beh sì, naturalmente, lui ci amava tutte, ed era l’unico da cui non ci siamo mai sentite tradite, era l’unico che non ci rubava la libertà.
Diceva, quando mi lamentavo della mia scarsa statura: 'Ora sei carina; poi diventerai una qualsiasi donnetta di mezza età; ma infine, oh, sarai una deliziosa nonnina!'. E insisteva con la voce su quel 'deliziosa', mentre gli spuntavano mille rughine agli angoli degli occhi che socchiudeva, ridendo.
E’ lui che mi ha fatto conoscere vostro padre, allora segretario di una sezione del partito che si trovava dall’altra parte di Milano. E’ lui che, da assessore, ci avrebbe sposati, quando Elena aveva cinque anni.
Il dopo lo conosci, lo hai sentito raccontare tante volte: sposati per otto punti, per riuscire ad avere io il trasferimento a Roma, dove Giuliano lavorava già da più di due anni; l’unica persona a prendere seriamente quella cerimonia, Elena: attenta ad ogni parola, col suo mazzolino di fiori in mano, appena l’assessore Cuomo aveva finito di parlare '…e il fratellino?', mi aveva chiesto, perentoria. Glielo avevo promesso da tempo, il fratellino; 'quando sposeremo papà', le avevo ripetuto spesso.
Il fratellino, tu.
In seguito ho incontrato raramente Carlo Cuomo.
Ricordo un giorno: ci eravamo già trasferiti da Roma a Genova, seguendo gli incarichi sindacali di papà; ero arrivata con gli altri compagni a Milano con un treno della Cgil, non so più per quale manifestazione. Mentre siamo lì, nella solita confusione di bandiere e striscioni da srotolare, prima di formare il corteo, sento alle mie spalle una voce inconfondibile. Lo abbraccio e poi '...di che cosa ti occupi adesso?' domando, indicando i giornali e i volantini nelle sue mani 'Di quelli che non piacciono a nessuno', risponde '…immigrati?…tossicodipendenti?… malati di Aids?'
Lui scuote la testa ridendo, come per dire che no, che di quelli qualcuno si occupa, mentre c’è chi è antipatico anche alle persone apparentemente più aperte… Mi arrendo, e lui mentre si allontana: 'Zingari!'.
Già, gli zingari; tutte le volte che, in seguito, ne ho incontrato qualcuno non ho potuto fare a meno di pensare a lui; ad ogni film di Kusturica che mi è capitato di vedere, era lui che rideva, che cantava alzando il bicchiere a salutare la vita, perfettamente a suo agio tra un gatto nero e un gatto bianco come a un convegno alla Casa della cultura; in un’assemblea di quartiere come tra i libri di una biblioteca; nelle stanze di Palazzo Marino o nei labirinti della politica.
Già, la politica: raramente ho conosciuto qualcuno così profondamente partecipe e nello stesso tempo assolutamente immune da sirene e intrighi, da tutti quei giochi squallidi che hanno allontanato te e continuano ad allontanare tanti giovani come te dal valore di occuparsi della cosa pubblica, del bene della comunità: perché questo dovrebbe essere la politica.
Purtroppo lo è per pochi, sicuramente lo era per Carlo.
Un compagno vero.
Carlo Cuomo |
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Ho avuto il privilegio di conoscere Carlo Cuomo verso la fine della prima metà degli anni 70. Parlo di privilegio perché ritengo che siano poche le persone che attraversano la nostra vita, anche se per poco tempo, e riescono a trasmettere un rigore morale e politico con la serenità che aveva Carlo Cuomo. Una casa sempre aperta a tutti, una cultura messa senza ostentazione al servizio degli altri.
Per anni ho ripensato a lui, alla sua famiglia, ai compagni milanesi come forse un periodo idealizzato dalla mia fantasia di indefesso sinistroide comunista .
Non avevo idealizzato, Haidi mi da la conferma che quello che per me è rimasto un ricordo mai sopito oggi lo traduco in un insegnamento di come la politica possa assumere spessori morali che rimangono immutati nel tempo e scrive la storia di tutti i giorni.
Grazie Carlo
Loris
1 commento:
Non ho cultura politica. La mia è solo una passione. Conoscevo solo per sentito dire la persona di cui narri e ti ringrazio...
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